Ieri notte si son tenuti di nuovo in presenza i Golden Globe, la cerimonia durante al quale la Hollywood Foreign Press Association assegna riconoscimenti alle migliori produzioni cinematografiche e televisive dell’anno. L’anno scorso non vennero trasmessi a causa dello scandalo emerso nel febbraio 2021: una serie di articoli su New York Times e su Los Angeles Times portò alla luce degli evidenti problemi all’interno dell’HFPA, che andavano dalla corruzione alla completa mancanza di diversità, dando così vita a premiazione che di natura non potevano essere imparziali e capaci di rispecchiare la varietà dell’industria. Dal 2021 l’associazione ha cercato in molteplici modi di riabilitare la sua immagine, promuovendo attività di beneficienza, diversificando i membri e promuovendosi a paladina della rappresentazione e delle minoranze, senza però mai mostrare un sincero pentimento per gli accadimenti passati.

La cerimonia, tenutasi al Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills (California), ha segnato un ritorno al passato, seppur confuso nelle intenzioni. La scelta del comico Jerrod Carmichael (se avete possibilità, recuperate il suo bellissimo speciale Rothaniel) come presentatore è stata un’arma a doppio taglio: se da un lato questi è stato capace di “svecchiare” la cerimonia, dandole un tono più gioviale, dall’altro ha smascherato subito l’ipocrisia dell’HFPA. Come ha detto subito durante il monologo di apertura, è probabile che l’associazione l’abbia scelto per una questione di diversità più che altro e Carmichael ha avuto modo di usare il palco come un modo per evidenziare in prima persona la natura contraddittoria di questa tentata redenzione.

Per quanto riguarda le premiazioni, già le nomination non annunciavano grandi sorprese. A causa della struttura dei Golden Globes che prevede una forzata divisione tra commedia e dramma, son entrati nella competizione titoli innocui che non avrebbero avuto spazio altrimenti (vedi: The Menu, White Noise, e Good Luck to You, Leo Grande), ma i vincitori erano più o meno abbastanza annunciati. Cate Blanchett, dopo la Coppa Volpi, ha ottenuto l’ennesimo riconoscimento per la sua interpretazione di Lydia Tár in Tár di Todd Field e si avvicina sempre di più al suo terzo Oscar. Potrebbe sorprendere Michelle Yeoh (Miglior Attrice in un film musical o commedia). Un altro vincitore ormai sicuro, sempre proveniente dal successo di Venezia, è Colin Farrell, qui Miglior attore in un film musical o commedia, con The Banshees of Inisherin, film di Martin McDonagh che nel corso della serata ha vinto anche il premio come Miglior Sceneggiatura. Definire la competizione di Colin Farrell dopo i Golden Globes risulta difficile: il premio come Miglior attore in un film drammatico è andato a Austin Butler per l’Elvis di Baz Luhrmann, tuttavia rimane in ballo l’incognita Brendan Fraser. L’attore, protagonista di The Whale, ha ricevuto una nomination dall’associazione, dopo essere stato vittima di molestie sessuali dai parti del passato presidente Philip Berk nel 2003. L’HFPA ha sempre sminuito la reazione di Fraser, senza mai scusarsi veramente, e l’attore ha dichiarato in un’intervista a GQ che sarebbe tornato solo se ci fossero stati dei forti cambiamenti nel direttivo. Solo i Critics Choice e i SAG Awards potranno rivelarci di più sull’attuale situazione della corsa agli Oscar. Se invece la situazione Miglior attrice non protagonista è più confusa che mai e la vittoria di Angela Bassett sembra rientrare in quella strategia per svecchiare i Golden Globes, l’Academy sta già preparando l’Oscar per Ke Huy Quan, Waymond Wang in Everything Everywhere All At Once.

Sul fronte dell’animazione, non stupisce la meritatissima vittoria di Guillermo del Toro e del suo Pinocchio. Se dovesse vincere anche agli Oscar sarebbe la prima vittoria per un film in animazione non digitale dal 2006. RRR, l’epico film d’azione di S. S. Rajamouli, dopo essere stato ingiustamente escluso dalla corsa come Miglior Film Internazionale agli Oscar, dimostra ai Golden Globes di aver comunque conquistato Hollywood, vincendo il premio come Miglior Canzone Originale. A proposito di Miglior Film Internazionale: l’annunciato scontro diretto tra All Quiet on the Western Front (Germania) e Decision to Leave (Corea del Sud) ha dovuto fare i conti con Argentina 1989 (Argentina), che si è rivelato molto più forte di quanto i bookmarker credessero.

Sul fronte seriale, questi Golden Globes son stati segnati dall’assenza dei due maggiori player degli ultimi anni: sia Ted Lasso per le comedy che Succession per i drama non avevano episodi eleggibili per quest’anno. Abbott Elementary, deliziosa sitcom di Quinta Brunson ambientata in una scuola elementare di Philadelphia, ha riempito il vuoto lasciato dalla serie con Jason Sudeikis, vincendo tutti i premi possibili, tranne Miglior Attrice non Protagonista, riconoscimento andato “a sorpresa” a Julia Garner per l’ultima stagione di Ozark. Molto più incerta invece la situazione delle serie drammatiche: Better Call Saul, arrivato anch’esso alla sua ultima stagione, è arrivato da favorito ed è uscito a mani vuote. Il premio come miglior attore protagonista, seriamente prenotato da un attore qualsiasi del cast di Succession, è andato a Kevin Costner per Yellowstone, una serie amatissima dal pubblico americano ma con scarso successo a livello di riconoscimenti finora. Vince di nuovo Zendaya per Euphoria (la stagione è uscita un anno fa e sinceramente ci stupisce che nei mesi successivi non sia uscito nulla in grado di far cambiare idea al corpo votante). E’ stata invece eletta come miglior serie drammatica House of Dragon, che probabilmente inizierà a seguire il percorso della sua capostipite Game of Thrones.

Per quello che riguarda le miniserie, tutto ciò che conta sono i premi a Jennifer Coolidge e Amanda Seyfried, rispettivamente miglior attrice non protagonista per The White Lotus e miglior attrice protagonista per The Dropout. Il resto (vedi: il premio a Dahmer) non conta o almeno cerchiamo di ignorarlo.

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