Il regista argentino Santiago Mitre osa. Lo fa portando a Venezia79 un film storico di oltre 2 ore. Lo fa presentandosi con un cast di assoluto prestigio in America Latina, ma – fatta eccezione per il suo protagonista, Ricardo Darín, praticamente sconosciuto in Europa. Lo fa andando a ripercorrere una vicenda processuale che ha fortemente influito sul percorso democratico dell’Argentina. Argentina, 1985 è una rivendicazione a non dimenticare il proprio passato, a non perdonarne gli errori, per evitare che quella (terribile) storia possa ripetersi.

I fatti storici

Il 24 marzo 1976, dopo un colpo di stato militare ai danni del governo presieduto da Isabel Martínez de Perón (seconda moglie di Juan Perón. Vi consigliamo la visione della serie Santa Evita), si instaura in Argentina il Processo di riorganizzazione nazionale. Si trattò di un sanguinoso regime dittatoriale, che adottò la forma di uno stato burocratico-autoritario. Gli obiettivi dichiarati del Processo di riorganizzazione nazionale erano combattere la corruzione, la demagogia e la sovversione, e collocare l’Argentina nel “mondo occidentale e cristiano”. Si stabilì un nuovo modello economico-sociale, sulle linee guida del neoliberismo, imposto attraverso una generale violazione dei diritti umani di un settore della popolazione classificato come populista, gauchista (zurdo) e sovversivo.

Il controllo del potere (sia legislativo che esecutivo) era nelle mani del governo dei sette generale, presieduto da Jorge Rafael Videla.In questo contesto, il regime avviò la cosiddetta Guerra Sucia (Guerra Sporca), un programma di sistematica repressione violenta attuato al fine di distruggere la cosiddetta “sovversione”, rappresentata dai gruppi guerriglieri marxisti o peronisti attivi in Argentina, ed eliminare in generale qualunque forma di protesta e di dissidenza nel paese presente nell’ambiente culturale, politico, sociale, sindacale e universitario.

Fortemente indebolito dalla sconfitta nella Guerra della Falkland, il governo venne costretto a concedere libere elezioni. Che si svolsero il 10 dicembre 1983, giorno divenuto noto come il Giorno della restaurazione della democrazia, avviando la presidenza di  Raúl Alfonsín. Dopo la fine della dittatura venne instaurata la Commissione Nazionale sulla Scomparsa delle Persone, CONADEP, che, nell’autunno 1984, pubblicò una serie di rapporti sotto il titolo di Nunca más, in cui si riportavano gli abusi, le torture e il ricorso alle sparizioni (che diedero avvio al movimento per la ricerca di giustizia e verità per i deseparecidos) perpetrate dagli oligarchi militari del regime. Tali rapporti diedero avvio a oltre 2000 processi. Il primo tra questi fu la causa nr. 13 della Corte Federale Democratica. Alla sbarra, i 7 generali, chiamati a rispondere personalmente degli abusi e della sparizione di oltre 30.000 oppositori al regime.

La trama: Julio Strassera e i suoi “ragazzi”

Julio Strassera (Ricardo Darín) è un Pubblico Ministero federale. Che viene chiamato a ricoprire il ruolo più delicato della sua carriera: portare a processo i 7 generali e arrivare ad una condanna esemplare per i crimini contro l’umanità perpetrati dal regime sin dal suo insediamento nel 1976. Il funzionario si troverà nel delicato ruolo di colui che, come un Davide latinoamericano, si troverà a combattere contro la volontà di alcuni membri del nuovo governo democratico, dei servizi segreti e delle forze armate di andare avanti nel nuovo processo politico, dimenticando il proprio passato.

Lui e la sua famiglia si troveranno a subire minacce da parte di collaborazionisti, “fascisti e iper-fascisti” di governo e ben insediati nelle principali istituzioni democratiche. Strassera scopre di essere solo in questa sua battaglia di giustizia. Gli vengono concessi meno di 6 mesi per raccogliere prove e testimonianze. I suoi colleghi con maggiore esperienza lo abbandonano, per motivi politici o per la volontà di rischiare un processo scomodo. Al suo fianco, invece, un giovane funzionario alla sua prima causa importante, Luis Moreno Ocampo (uno strabiliante Peter Lanzani, giovane e promettente attore; tra quelli da noi poco conosciuti, ma che nel suo paese ha già avuto modo di mostrare le proprie capacità autoriali). Luis arriva da una famiglia dal glorioso passato militare (suo nonno fu il primo Comandante della Marina) e fortemente legata al regime di Videla (la madre seguiva le funzioni religiose accanto al dittatore), ma è un avvocato. E in quanto tale crede nel potere della legalità e nella necessità della giustizia.

I due selezioneranno una serie di giovanissimi avvocati della Procura. Tutti alle prime armi. Diventeranno i ragazzi di Strassera, il pool in cui nessuno credeva. E che ha tolto il velo di ipocrisia che era calato sugli abusi del regime di Videla e dato voce alle vittime. Alle famiglie dei deseparecidos, che accettano di non indossare in tribunale il loro caratteristico fazzoletto bianco, pur di non concedere alla difesa di avviare inutili polemiche al solo scopo di bloccare il procedimento giudiziario contro i loro assistiti.

Per la prima volta dalla fine di un regime, l’Argentina ascolta in un’aula di tribunale i 709 testimoni che hanno accettato di raccontare delle violenze e torture subite. Il processo si conclude nel febbraio 1985 con le condanne all’ergastolo per Videla e Massera. Come disse il PM Strassera nel corso della sua requisitoria, quel processo e le relative condanne emesse furono la prima occasione in cui le istituzioni democratiche argentine presero nei confronti del proprio popolo: nunca más. Davanti a quei crimini, l’Argentina diceva “mai più”.

La recensione: la grande storia, per un grande film

Argentina, 1985 non è un film di riconciliazione storica. Anzi, l’intento sembra invece quello di palesare le responsabilità di tutti coloro che ricoprivano cariche di governo durante la dittatura. E che cercarono di nascondere i crimini perpetrati non solo durante il regime, ma anche dopo la restaurazione democratica.

Santiago Mitre rifiuta l’idea di strutturare il suo film come un mero resoconto storico. Non accetta nemmeno che le vicende debbano seguire unicamente un registro drammatico. Permette ai suoi protagonisti di abbandonarsi a momenti di svago (vediamo spesso il pool di avvocati in riunione attorno ad una birra o seduti al ristorante) e portando in scena una pungente ironia. Ma non accetta di dare assoluzioni. Semplicemente perché non sarebbe possibile farlo. Impossibile assolvere chi ha lasciato che oltre 30.000 argentini venissero torturati. Che si abbassasse la testa di fronte alla loro sparizione. Che non si ascoltassero le urla disperate delle madres de Plaça de Mayo (le mamme di Plaça de Mayo – ormai divenute abuelas – protagoniste delle prime manifestazioni per avere notizie e giustizia per i propri cari scomparsi durante il regime).

Mirte non perdona il regime o chi con loro ha collaborato. Ma perdona l’Argentina. Assolve il suo paese. E lo fa proprio affidandosi a due figure apicali come quelle di Strassera e Ocampo. Uomini coraggiosi. Sostenitori della giustizia. Capaci di mettere in pericolo le proprie esistenze pur di dare voce alle vittime dimenticate e condannare i loro carnefici.

America, 1985 è emozione e commozione pura. Un film dotato di un impianto narrativo capace di coniugare alla perfezione realtà storica, atti giudiziari e di offrire ai propri protagonisti uno speciale compito: rappresentare non solo gli uomini al centro della vicenda processuale, ma un intero paese. Un paese che vuole sapere. Un’Argentina che per poter crescere democraticamente ha bisogno di conoscere, analizzare, indagare sul proprio passato. Per non dimenticarlo. E per non permettere mai più che possa tornare. Un inno alla democrazia. Una richiesta di giustizia senza sosta. Un film che merita un premio a Venezia79. Se non altro per premiare uno dei migliori attori che la mostra ci abbia presentato quest’anno. Quel Ricardo Darín che non potrà che diventare un atorazo (così lo chiamano in patria) anche qui da noi.

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