Chi è fruitore di cinema da lunghi anni  trema un po’ davanti a riproposte di personaggi  ormai consolidati  nel nostro immaginario  che si vogliono immutabili. Maigret per noi italiani rimanda inevitabilmente a Gino Cervi, alla sua pacatezza, alla sua ironia, alla sua capacità di essere uomo prima che  essere commissario senza revolver. Le sue inchieste sì,  ma soprattutto la sua umanità, il rapporto  con  la moglie, il piacere per il cibo.

Non propone pericolose innovazioni interpretative, spesso forzate, e restituisce
l’immagine che abbiamo interiorizzato di lui. Gerard Depardieu vince la sfida insieme ad altri interpreti eccellenti. Col  suo corpaccione  eternamente contenuto in un cappotto con maniche alla  raglan,  svolge la sua inchiesta con la consueta pacatezza e capacità deduttiva. La trama originaria  non viene rispettata  alla lettera ma  se ne fa un libero adattamento in cui compare, in flash back, una vicenda sentimentale di Maigret che si intreccia con il caso che sta seguendo.

maigret-film-recensione

Oltre che sulla storia e la qualità degli interpreti,  l’attenzione si concentra sulla fotografia che si impone come dato estetico di maggior rilevanza: colori stremati senza luce eternamente  sfumati in  una nebbia invisibile  ma pervasiva per rendere la  Parigi anteguerra . Domina la narrazione un sentimento  estenuato di nostalgia, di  struggente rimpianto per un’epoca divenuta remota come quella dei dinosauri.
L’ennesimo esempio di voglia di ritorno al passato che in molti resiste.

Articoli simili