In occasione dell’anteprima bolognese dell’attesissimo Everything Everywhere All At Once diretto dai Daniels, dal 6 ottobre nelle sale italiane grazie ad IWonder, abbiamo avuto il piacere di intervistare l’interprete Ke Huy Quan e il produttore Jonathan Wang.

Sembra che al cinema non vediamo che multiversi in questi periodi. Che differenza c’è con gli altri multiversi e come hai vissuto questa moltitudine di personaggi?

Ke: Per prima cosa, come dico sempre, il 2022 è l’anno del multiverso, ci sono molti film sul multiverso ma il nostro è un po’ differente, perché si tratta soprattutto di una famiglia incapace di comunicare. Il multiverso diventa per loro un luogo dove viaggiare per ritrovarsi. Everything Everywhere All At Once pone anche molte domande interessanti su quelle che sarebbero potute essere le altre strade della nostra vita, se solo avessimo preso delle decisioni differenti. Penso che i Daniels, che hanno scritto e diretto questo film, abbiano fatto un lavoro incredibile, perché è un film capace di mescolare generi: è un film di fantascienza, una commedia romantica, la storia di una famiglia, un dramma, un horror e tanto altro. Sono così felice e grato del modo in cui il pubblico sta rispondendo a questo film.

Nel film ci sono molte scene di lotta. Come le hai affrontate? Come ti sei preparato?

Ke: Avevamo un action team molto bravo, guidato dal nostro stunt coordinator Timothy Eulich, e le coreografie realizzate da Andy Le e Brian Le di The Martial Club. Grazie al mio background nelle arti marziali – ho studiato taekwondo per molti anni –, ero a mio agio a girare sequenze di azione, ma non ero familiare con il particolare stile di lotta utilizzato qui, il wushu. Mi sono allenato molte settimane con il nostro action team. Avevamo un budget molto ristretto e una schedule di riprese estremamente fitta, di solito una sequenza di lotta come quella iniziale con il marsupio si gira in settimane mentre noi l’abbiamo girata tutta in un giorno. Per questo era necessaria la pratica, massimo avevamo due ciak a sequenza.

Hai descritto diverse volte questo come il ruolo che hai aspettato per tutta la vita. Volevo sapere cosa ti ha colpito nello specifico della sceneggiatura e se ci sono degli aspetti in cui ti sei ritrovato.

Ke: Ho iniziato a lavorare ad Hollywood negli anni 80 e son stato fortunato a lavorare con registi come George Lucas e Steven Spielberg. Era tuttavia difficile per un attore bambino ottenere ruoli in età adulta e soprattutto era difficile lavorare in quanto persona asiatica. Nel corso degli anni ho letto molte sceneggiatore che non avevano bei ruoli per persone asiatiche, erano ruoli molto marginali. Qui si tratta di una storia che dall’inizio alla fine parla di una famiglia asiatica. Waymond è un personaggio intrigante, pieno di strati e sfumature, ma nello specifico mi sono innamorato della sua gentilezza e della sua empatia. Spero che il pubblico veda il film ed esca dalla sala prendendo come esempio questa gentilezza. Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato “Non prenderanno mai me per questo ruolo, ci sono così tanti attori asiatici pieni di talento” ma Jonathan ha una storia buffa in merito.

Jonathan: I Daniels erano interessati a qualcuno con un background nelle arti marziali, ma che allo stesso tempo non rappresentasse lo stereotipo del maschio alpha. Abbiamo pensato a persone come ad esempio Jackie Chan, ma nessuno sembrava davvero giusto. Un giorno ero a casa di Daniel Kwan e mi ha mostrato una foto di Ke e un video di lui che faceva arti marziali e sapevamo che era perfetto. Abbiamo cercato per capire se recitasse ancora e abbiamo contattato il suo agente per un’audizione. Più tardi abbiamo scoperto che Ke aveva deciso di assumere un agente solo una settimana prima di quella chiamata. Se avessimo provato a cercarlo una settimana prima non lo avremmo mai avuto nel nostro film.

Com’era l’atmosfera sul set?

Eravamo come una famiglia. Facevamo esercizi di riscaldamento insieme: urlavamo, ballavamo, facevamo cose pazze insieme. Quando la giornata lavorativa cominciava lavoravamo duro. Con Jamie Lee Curtis e James Hong è impossibile restare seri, perché sono alcune delle persone più divertenti che io abbia mai incontrato. Alla fine di ogni settimana Jonathan e i Daniels davano dei premi al cast, alla persona che lavorava più duramente o chi aveva avuto la scena più dura da girare. Facevano una piccola premiazione e tutti si alzavano in piedi per applaudire. Era un momento molto divertente e gioioso.

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Come è stato collaborare con i Daniels?

Lavoriamo insieme da 12 anni. Abbiamo iniziato con i video musicali e poi abbiamo proseguito con i corti e i lungometraggi. Partendo da quello che ha detto Ke, penso che l’aspetto più importante per loro sia l’ambiente profondamente familiare che son capaci di creare. Sul set non ci sono gerarchie, non ci sono sedie riservate con i nomi e tutti sono uguali. Ci sono davvero pochi geni attivi al giorno d’oggi e i Daniels appartengono a questo gruppo e il caso ha voluto che fossero due.

Se non foste un produttore e un attore, cosa sareste oggi?

Jonathan: Mio padre era un pasticcere, era un uomo cinese molto stoico che non mi dava consigli ma semplicemente desiderava che non lavorassi nella gastronomia, ma magari in un’altra vita mi sarebbe piaciuto lavorare in quel campo, diventando pasticcere o chef.

Ke: Io ho cominciato come attore e ho preso una pausa di circa 20 anni, ma sono tornato proprio perché amo questo mestiere così tanto. Essere attore mi permette di provare così tante altre vite e non penso che vorrei una vita diversa. Magari in un’altra vita mi piacerebbe essere qualcuno come Michelangelo, capace di creare opere ammirate per secoli a venire, ma non so dipingere! Un giorno Jonathan e i Daniels dovranno creare per me un universo in cui so dipingere.

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Il film è stato concepito nel post-Marvel o è stato già pensato in precedenza e la Marvel ne ha reso più facile la produzione?

Jonathan: In breve, il film è stato concepito molto prima che il multiverso venisse introdotto nella Marvel. Subito dopo la realizzazione di Swiss Army Man nel 2016, i Daniels ebbero l’idea per questo film. Era una sceneggiatura molto complicata e tra cambi di attori, il Covid e la difficoltà nel trovare finanziamenti ci son stati molti ritardi che hanno portato la produzione e la successiva uscita nel cinema a slittare.

Il multiverso che mostrate in questo film è un multiverso estremamente diverso da quello che il pubblico è abituato a vedere. Qui il caos è molto umano e quotidiano più che fantascientifico. Come vi hanno presentato il progetto?

I Daniels hanno scritto una sceneggiatura incredibile. Nel mio primo meeting creativo con loro ho chiesto che cosa significasse il bagel e loro avevano una risposta per tutto. Al giorno d’oggi noi siamo assaltati e bombardati dalle informazioni e i Daniels desideravano trovare la bellezza in tutto questo caos. Al centro però c’è questa famiglia che si ama molto, ma non sa esprimersi. L’ho letto e nonostante la storia intricata ho capito subito qual era il loro scopo. I Daniels non puntano a semplificare, loro credono nel motto “more is more” e forse non è mai abbastanza.

Everything Everywhere all at once è un film basato sulla dualità, pensi che il fatto che i Daniels siano un duo abbia aiutato in quest’ottica?

Dentro il film ci sono molte dualità e il multiverso è una dualità dentro una dualità dentro una dualità. Se pensi al linguaggio visivo o ai temi presenti nel film, ad esempio c’è il bagel e poi il piccolo occhio che la protagonista indossa sulla fronte. Dentro il film c’è un altro film con un finale a se stante. Nel nostro mondo ci sono così tanti contrasti e il film ci invita a fare esperienza di queste dualità in modo da provare empatia verso il nostro prossimo. Non so se sia merito della duplice natura dei Daniels però indubbiamente è l’argomento principale del film.

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Si tratta di un film estremamente citazionista che dimostra apertamente il suo amore per il cinema. Volevo sapere quale fosse la vostra citazione preferita o a quale dei film presenti foste più legati.

Ke: Son stato molto toccato dall’omaggio a Wong Kar-Wai presente nel film. Ho avuto il piacere di lavorare con lui come assistente alla regia sul set di 2046 e di vedere Tony Leung davanti alla macchina da presa e i Daniels hanno creato un intero universo per omaggiare il suo immaginario.

Jonathan: Ho amato particolarmente il mondo di Raccacoonie, che è un omaggio ovviamente a Ratatouille ma anche a mio padre. Molti genitori asiatici sbagliano i titoli dei film, proprio come fa il personaggio di Michelle Yeoh nel film. Mio padre chiamava Sherlock Holmes “Shookie Hookie” o Good Will Hunting “Outside Good People Shooting”. Mi piace vedere sullo schermo quella parte, proprio perché è così personale. A livello di stile, mi piacciono molto le sequenze che ricalcano lo stile dei film di Hong Kong.

Nella gran parte dei film provenienti dall’America c’è il desiderio di dire che tutto andrà bene. Secondo voi perché è così e come funziona invece il messaggio ottimista del vostro film?

Ke: Penso che un messaggio come “Andrà tutto bene” sia implicato nel nostro film e nello stesso concetto di multiverso. Specialmente adesso è un momento in cui molte persone stanno avendo difficoltà e dare un messaggio ottimista, anche nella finzione cinematografica, è importante. Io credo che le persone possano essere realiste e al contempo ottimiste. Si tratta indubbiamente di un lusso, ma sarebbe bello se tutti potessero esserlo.

Jonathan: Everything Everywhere All At Once è un film ottimista, ma non è interessato alle formule solite del cinema. Chiede allo spettatore fiducia, nonostante le stranezza della trama e della forma. Magari non tutto ha senso all’inizio, ma poi nel finale vedevo il rapporto tra Joy e Evelyn capiamo comunque che tutto andrà bene.

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