La Santa Piccola di Silvia Brunelli è un miracolo a tutto tondo. Dopo essere stato selezionato come progetto vincitore dell’investimento produttivo del laboratorio Biennale College Cinema ed essere stato presentato al Lido durante la 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film ha intrapreso un viaggio in tutto il mondo e mentre in questi giorni inizia un tour per le sale di tutta Italia, a giugno verrà presentato al prestigioso Tribeca Festival di New York.

Tratto dal libro omonimo di Vincenzo Restivo, il debutto nel lungometraggio di Silvia Brunelli è un fresco coming of age ambientato in un placido rione napoletano. Lino (Francesco Pellegrino) e Mario (Vincenzo Antonucci), amici da sempre, passano le giornate tra lavori occasionali e incontri con gli amici, finché durante una processione la sorella di Lino, la piccola Annaluce (Sophia Guastaferro), riporta in vita una colomba. Da quel momento la gente del quartiere inizia a trattarla come una santa, recandosi nell’appartamento della famiglia per pregare e portare offerte votive.

La Santa Piccola è una creatura rara nel cinema italiano, non solo per la sua vicenda produttiva, ma anche per il suo essere capace di rinnovare un genere estremamente visitato ma al contempo frainteso, grazie a una comprensione delle mille idiosincrasie dei giovani, veicolata dal sorprendente duo protagonista. Abbiamo intervistato la regista e co-sceneggiatrice Silvia Brunelli per farci raccontare il percorso del film fin dalla sua nascita.

Come ha scoperto il libro di Vincenzo Restivo e cosa L’ha affascinata di questa storia?

Non conoscevo il romanzo; mi fu sottoposto dai produttori di Raindogs Film, Valentina Quarantini e Marco Luca Cattaneo perché erano sicuri che mi potesse interessare. Infatti, il libro ha dei punti di contatto con un cortometraggio che avevo scritto, ispirato ad alcuni fatti di cronaca a cui il romanzo accenna. Fu questo il mio primo “incontro” con il testo di Restivo.

Può spiegarci il percorso che ha fatto con Biennale College per lo sviluppo del film?

Il percorso di Biennale è una sfida continua che ti costringe a metterti costantemente in gioco e alla prova. Si tratta di scrivere, preparare, produrre e post-produrre un film in 11 mesi. È un programma di sviluppo in cui per ogni fase di scrittura viene ridotto il numero dei progetti selezionati. Ho affrontato il percorso in Biennale insieme a Francesca Scanu che mi ha affiancato come producer e come co-sceneggiatrice. Con Francesca e con Raindogs siamo arrivati con un soggetto allo stato embrionale tratto dal libro, ma abbiamo vinto con una sceneggiatura che parla un linguaggio e una storia diversa rispetto a quella di partenza. Il tutto con tempistiche davvero brevi e rapide. Biennale College, come dicevo, è una vera sfida!

Come avete trovato gli attori protagonisti del film e soprattutto la Santa Piccola, Sophia Guastaferro?

Per il cast principale abbiamo fatto molti casting, facendoci aiutare anche dal Teatro Sanità di Napoli. Vincenzo e Francesco sono stati incredibilmente i primi che abbiamo provinato, e hanno alzato l’asticella al massimo fin da subito. Ho cercato qualcuno che li superasse perché non potevo credere di averli trovati immediatamente, ma nei mesi a seguire nessuno mi ha dato l’anima di Lino e Mario, cosa che loro hanno fatto sin da subito con naturalezza. Sophia è stata l’ultima attrice che ho scelto e sono davvero contenta di lei, che era alle prime armi e La santa piccola è stata la sua prima esperienza. Quella bambina ha il talento e, soprattutto, l’intelligenza che le permette di ascoltare e capire al volo ciò che le si chiede. È stata perfetta.

Il film nasce come un omaggio a Napoli. Potresti parlarci del tuo legame con questa città?

Conosco Napoli perché negli ultimi anni l’ho vissuta per motivi lavorativi. Ciò che mi affascina è la sua incoerenza che le da una vita pulsante, è spirituale e carnale, sacra e profana, nobile e povera allo stesso tempo. È una città che sembra una creatura disordinata e sofferente ma che sa regalare attimi di profonda bellezza e genuinità. Per me è impalpabile in questa sua doppia personalità, è come una signora misteriosa. E poi, per me dove c’è il mare c’è sempre un richiamo particolare.

Il tuo film gioca su due piani ben precisi: sacro e profano. Potresti spiegare come hai deciso di giostrarli e di farli convivere nell’universo de La Santa Piccola?

Credo che l’impresa di tenere legati insieme i due opposti sia riuscita perché non ho voluto edulcorare nulla, né in un senso né in un altro, in fase di realizzazione del film. Ho cercato in tutti i modi di non tradire la storia che c’era su carta, di rimanerle fedele sapendo che alcune scelte potevano essere rischiose, e di non sgonfiare la portata delle idee che ci hanno guidato in fase di scrittura.

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