Il Capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen) non ha sogni, ma piani. Finita la sua carriera nell’esercito tedesco con una misera pensione, decide di tornare nella sua terra natia, la Danimarca, per compiere una missione in nome del re: costruire una colonia nella brughiera dello Jutland. È un terreno sterminato ma inabitabile, avverso a qualsiasi tipo di coltivazione. Dovesse essere in grado di vincere contro la natura, ci sarà un titolo nobiliare ad aspettarlo al suo ritorno. L’unico magistrato con giurisdizione su quell’area, il crudele Frederik de Schinkel (Simon Bennebjerg), non accetta di buon grado l’iniziativa di Kahlen e cerca di scoraggiarlo con tutti i mezzi a sua disposizione.

Tratto dal romanzo Kaptajnen og Anna Barbara di Ida Jessen (ancora inedito in Italia), La terra promessa di Nikolaj Arcel capisce il western molto più di tanti film che attingono all’immaginario di quel genere con distintivi e cowboy senza però coglierne lo spirito. La conquista di un terreno selvaggio, una terra sostanzialmente di nessuno (nonostante l’ingerenza di de Schinkel) se non della natura, è una missione di onore per Kahlen, un modo per provare il suo potenziale e per assicurarsi un futuro.

Purtroppo in una terra di nessuno le leggi non proteggono dalle ingiustizie e solo la violenza sembra avere potere. Usare il linguaggio e i topoi del western porta La terra promessa in un terreno conosciuto al pubblico, nonostante l’ambientazione nella Danimarca di fine 1700, e aiuta ad evitare inutili convenevoli narrativi.

Con una durata ridotta per una storia dal respiro così epico, La terra promessa, da oggi in sala con Movies Inspired, misura in modo sapiente il suo tempo, ragionando una mossa per volta ma senza mai perdere di vista il piano del suo protagonista. È un film meticoloso e cerebrale, ma non per questo prova a tralasciare o a celare la sofferenza per il trattamento subito da Kahlen.

Interpretato da un magistrale Mads Mikkelsen, il suo volto in apparenza imperscrutabile è solo uno scudo, un modo per proteggersi da un mondo spesso a lui avverso e soprattutto per essere preso sul serio dall’alta società a cui vorrebbe appartenere. Nella brughiera, nella terra dove in apparenza nessuno può giudicarlo, le sue difese cadono pian piano, ma son sempre il suo orgoglio e il forte desiderio di riscatto a guidarlo. La sua controparte, Frederik de Schinkel, è uno dei personaggi più ciecamente crudeli degli ultimi anni: un uomo spaventoso per la violenza di cui è capace e per la sua folle imprevedibilità e la sceneggiatura firmata da Arcel insieme a Anders Thomas Jensen decide giustamente come presa di posizione morale di non concedergli alcuna umanità.

Quando venne presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia l’anno scorso, La terra promessa suscitò un po’ di ilarità a causa del titolo originale, Bastarden. I due titoli sono forse uno degli indicatori più diretti della duplice faccia dell’opera di Arcel: da una parte La terra promessa, una missione ascrivibile al Cristianesimo, un Messia che guida un territorio verso un periodo migliore, dall’altra Bastarden, più ruvido e brutale come la natura in cui si muove il suo protagonista che non risparmia nessuno.

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