Domani, 23 maggio 2024, esce nelle sale, distribuito da Europictures, Io e il Secco, film di Gianluca Santoni interpretato da Andrea Lattanzi, Francesco Lombardo, Barbara Ronchi, Andrea Sartoretti e Swamy Rotolo. Il film, tratto da una storia originale che ha vinto il Premio Solinas, è scritto da Michela Straniero e dallo stesso regista ed è prodotto da Ines Vasiljević e Stefano Sardo per Nightswim con Rai Cinema, in coproduzione con Antitalent e in associazione con Sajama Films.
Io e il Secco, realizzato col contributo del MIC – Ministero della Cultura e con il sostegno della Regione Emilia- Romagna attraverso l’Emilia-Romagna Film Commission, ha vinto ad Alice nella Città 2023 la Menzione speciale ‘The Hollywood Reporter Roma – Uno sguardo sul Futuro’ per la regia, con questa motivazione:
Per il segno già così sicuro, per le inquadrature che denotano personalità e una continuità stilistica con la tradizione più alta del cinema italiano, con l’augurio di proseguire la sua ricerca, e l’attesa per i suoi prossimi passi”.
Il film, presentato anche al Bellaria Film Festival 2024, ha vinto due premi al Riviera International Film Festival 2024 – unico film italiano in concorso – come Miglior Sceneggiatura e l’Audience Casa della Salute Award.
Proprio al Bellaria Film Festival abbiamo incontrato il regista, Gianluca Santoni che ci ha raccontato di più su questo coinvolgente buddy movie.
Con la prima stesura della sceneggiatura di Io e il Secco tu e Michela Straniero avete vinto il Premio Solinas nel 2017. Come e quanto il progetto è cambiato fino alla realizzazione del film?
Tantissimo. Di recente, mi hanno chiesto di leggere il soggetto con cui avevamo vinto il Solinas. Con Michela (Straniero) ce lo siamo andati a rileggere rapidamente e mi ha davvero colpito quanto il film sia diverso. E’ cresciuto molto. Sono cresciuti i personaggi, le sfumature. Ma devo dire che forse le cose, che è a mio parere, sono le più forti del film, cioè il tono e le relazioni tra i personaggi, quelle c’erano già dalla prima stesura.
Partendo da questo sviluppo che può ed è cambiato, cosa di Io e il Secco è ora imprescindibile e cosa, una volta realizzato, cambieresti?
A monte, io ero ossessionato dal tono del film. Mi ero imposto di non fare un film algido, freddo, che non emozionasse. E non volevo fare un film noioso. Volevo che fosse veramente un’avventura. Questa cosa, allo stesso tempo, mi ossessionava ma mi spaventava anche. Perché, anche guardando al cinema che mi piace, non trovavo un film che potessi usare come riferimento. Non c’era. C’erano una serie di film che amo, da cui volevo prendere spunto, ma non uno che fosse veramente una guida per quello che volevo fare. Alla fine, comunque, penso che il tono che volevo sia riuscito.
Ci sono delle piccole cose che forse farei meglio. Come la gestione della macchina in alcune sequenze. In un mondo ideale, avrei usato di più la steadycam. Sono cose legate a questioni tecniche, però. Della scrittura, della recitazione e dell’ambientazione sono estremamente contento.
L’ambientazione ha un ruolo importante in questo film. Anche sullo sviluppo narrativo. Sul tuo modo di veicolare il suo messaggio. La scelta del mare d’inverno della Romagna da cosa deriva?
Io cercavo quei colori e quella desolazione. In scena ci sono sempre pochissime comparse e ambienti enormi, con colori dell’inverno. Cercavo questo perché è quello che i personaggi hanno dentro, nelle loro storie. Per me era fondamentale girare in inverno e sono molto contento che la produzione mi abbia aiutato a farlo. Perché non è scontato.
Fai una scelta molto attenta alla caratterizzazione dei volti dei personaggi. Hai raccontato di aver fatto degli street casting. Come e quanto questa modalità ti ha aiutato? Cosa stavi cercando?
Cercavo delle persone che fossero ancorate ai luoghi che raccontavamo. Persone che, per una ragione o per l’altra, si ritrovano a vivere lì. Non per forza sono nate o parlano esattamente con la calata di quel posto. Ma che stando lì hanno maturato uno scambio tra loro e il luogo che abitano. Questa cosa è una di quelle bellissime del cinema. Perché è un mistero come, secondo me, la macchina da presa si accorge di questo legame. Volevo persone che fossero chiaramente del posto, che parlassero la loro lingua, ma che quel posto ce lo avessero addosso. E dentro.
Credo anche che, con questa modalità, in un paio di casi siamo anche riusciti a trovare dei talenti, che magari non sanno ancora di esserlo.
A proposito di talenti che hai trovato, Francesco Lombardo (il protagonista, Denni, NdR) sicuramente ha tutti gli elementi per diventarlo. Dalla genuina naturalezza, ma con una incredibile profondità. Come hai lavorato con lui? E quanto ti sei fatto supportare dal resto del cast?
La cosa più complessa con Francesco è stato trovarlo. E’ stata una ricerca lunghissima, durata quasi otto mesi. Avevo un’idea molto precisa di come dovesse essere Denni. E Francesco aveva esattamente quelle caratteristiche che stavo cercando. La rabbia, la tenerezza, lo sguardo adulto. E, allo stesso tempo, la dolcezza di un bambino di quell’età. Che fosse anche capace di essere ironico. Quando metti insieme queste cose e ti dici che le vuoi cercare in un bambino che non è un attore, la situazione diventa complessa.
Però, alla fine, ci si riesce sempre. Bisogna solo avere pazienza e capire come fare. Avere la fortuna di avere una produzione che ti supporta in questa lunga ricerca. Che non è un fatto scontato. Con i budget e i tempi che ci sono oggi soprattutto. Per fortuna, Nightswim conosce l’importanza della scrittura e degli attori. E, in generale, si fida molto di chi fa la regia e delle opere che produce. Mi hanno supportato tantissimo.
Il grande lavoro è stato quello di preparare il personaggio. Lo faccio sia con gli attori professionisti che non. Non tanto, con il copione in mano, preparare la scena. Ma proprio il personaggio, attraverso delle scene che non sono quelle del film. Ma che hanno delle dinamiche che somigliano a quelle del film. Per capire se lui fosse capace di tirar fuori in un certo modo delle emozioni e dei toni. Sul set, lui non ha mai avuto il copione e leggeva le battute prima della scena. Era stato preparato e sapeva che poteva aggiungere o cambiare le battute, mettendoci del suo.
Mi sono fatto aiutare tantissimo dagli altri attori. Quando hai un non professionista funzionano solo se hanno vicino degli attori e delle attrici che hanno veramente la capacità di lavorare con loro. Ed è un qualcosa abbastanza rara, perché gli attori che non riescono a vivere la scena nel momento e a entrare in relazione con la persona con cui stanno recitando sono abbastanza rari. Almeno, quelli che riescono a farlo in maniera incredibile. E, per fortuna, Andrea (Lattanzi) e Barbara (Ronchi), ma anche Andrea (Sartoretti) e Swamy (Rotolo), sono tra questi. Sono attori che hanno la grande dote di riuscire a lavorare con i professionisti. Sono anche quelli che riescono a far sembrare i non professionisti più bravi.
Tu arrivi da una lunga carriera di cortometraggi. Ed è durante un tuo cortometraggio (Indimenticabile) che incontri Andrea Lattanzi. Avevi pensato a lui da subito per il personaggio del Secco?
Con Andrea ci siamo conosciuti proprio per il corto Indimenticabile. Era stata un’esperienza molto bella per entrambi. Lui è stato una delle prime opzioni per il Secco. Ma non era l’unica. Generalmente, quello che faccio e che ho sempre fatto anche per i corti, è che quando penso ci sia un attore perfetto per un ruolo, cerco di fare di tutto per convincermi che mi sbaglio. Quindi, provinarne diversi, magari più bravi, li assecondo il più possibile. E, se alla fine tutti questi sforzi sono vani, vuol dire che avevo ragione. Alla fine, è andata così: ho provato a convincermi del contrario, ma Andrea era perfetto per quel ruolo.
Passiamo a una delle particolarità di Io e il Secco: il rapporto tra te e Tiziano Ferro e la sua canzone Sere nere, che ha un ruolo apicale nella storia. Volevi da subito questa canzone.
Abbiamo ragionato insieme a lungo, anche con la produzione, su quella canzone. L’avevamo pensata insieme a Michela, la sceneggiatrice, quando abbiamo capito che volevamo raccontare, prima, il legame tra Denni e la madre e, poi, il legame con il Secco attraverso un brano musicale. Ci siamo resi conto che dovesse essere un pezzo all’inizio triste e tenero, poi qualcosa che raccontasse la rabbia per arrivare alla fine anche a far ridere. Un brano con tante sfumature.
In realtà, mettendoci a scartabellare nei ricordi, ci siamo accorti che non esistano tantissimi pezzi popolari – perché doveva essere anche popolare, creare da subito una connessione con il pubblico – con queste caratteristiche. Lo è Sere nere.
E i Santi Francesi come sono entrati nel progetto? Perché sui titoli di coda del film c’è una loro inedita cover del brano di Tiziano Ferro.
Grazie alla mente geniale – parola che non uso a caso – di Dade, il compositore della colonna sonora. Io e il Secco è anche per lui un esordio, la prima volta che si cimenta nella composizione per il cinema. Lui, oltre ad essere un grandissimo bassista (per i Linea 77, per Salmo), è anche un produttore musicale. A un certo punto, lui mi ha detto che avessimo sentito già troppe volte nel corso del film la versione di Tiziano Ferro di Sere nere e che lo spettatore avrebbe dato come una cosa scontata il risentirla. Ma noi volevamo sorprenderlo. La prima idea era quella di un remix. Poi ha tirato fuori dal cilindro l’ipotesi cover e mi ha chiesto di fidarmi di lui e che i Santi Francesi sarebbero stati perfetti. Io che ho una grandissima stima di lui certo che mi sono fidato. E ho fatto benissimo, perché secondo me il pezzo, come lo hanno interpretato loro, è meraviglioso.
È dall’anteprima a Alice nella città che l’hype su questa cover è altissimo. Non la si trova ancora sulle principali piattaforme. Quando esce?
Da regista di questo film, quello che ti posso dire, con orgoglio, che questo pezzo bellissimo si trova solo nel nostro film. E per sentirlo dovete andare in sala, guardare Io e il Secco e aspettare i titoli di coda del film.