In occasione della proiezione de El Nido di Mattia Temponi, presentato in concorso alla ventunesima edizione del Festival del Cinema di Porretta Terme, abbiamo avuto il piacere di intervistare l’attrice protagonista Blu Yoshimi.
Come ti sei avvicinata a questo progetto?
Mattia ha scritto il film più o meno sei/sette anni fa e i provini son partiti poco dopo. Io feci il provino e mi innamorai all’istante del film e del mio personaggio, Sara. L’ho trovata subito pazzesca, dotata di un’umanità mostruosa. La grande legge per mantenere la serenità come attori prevede di dimenticarsi i provini appena fatti, ma quello per El Nido mi era rimasto nel cuore. Era passato un po’ di tempo e ancora non avevo saputo niente, quindi ho deciso di cercare Mattia Temponi e di scrivergli su Facebook. Ero conscia che si trattasse della cosa meno professionale che potessi fare, ma volevo far parte di quella storia. Così scoprì che stavano per rifare i provini e quindi dopo un secondo round, il ruolo è diventato mio. Mattia, anni dopo, mi ha svelato che dopo il mio provino, è stato cambiato il finale per il mio personaggio e considero questo come un segnale che io e lei eravamo fatte per stare insieme.
Trovi di avere dei punti in comune con lei?
Io e Sara siamo tanto diverse. Credo tuttavia che nel mondo esterno, Sara sia solamente il mio lato più rock, più aggressivo. Ha degli aspetti che ho anch’io ma in misure diverse. Mi ha toccata soprattutto l’abuso psicologico che subisce nella storia, il fatto che meccanismi malsani e tossici colmano il suo vuoto interiore. Sono certa sia una storia in cui moltissime ragazze si rivedono. Io vedo in Sara tanti meccanismi di difesa, nel profondo è una bambina impaurita che non ha avuto strumenti per poter avere relazioni sane.
Come è stato per te recitare in un film di genere e se hai riscontrato delle differenze rispetto a film come commedie o drammi, più tipici del contesto italiano?
Trovo il genere come qualcosa di molto interessante, perché ti da la possibilità di parlare di temi anche molto profondi in maniera semplice e “lineare”, senza ricorrere a troppi sotterfugi. Qui ad esempio c’è una pandemia, ma ci sono degli aspetti che ti fanno capire come si stia effettivamente parlando d’altro. Si tratta di una sorta di gioco mascherato, dove si celano i molteplici strati della storia. A livello attoriale, questo film mi ha dato tantissima libertà. Durante le riprese Mattia mi ha detto di tornare a giocare perché quello è il modo in cui potevo credere davvero a ciò che stavo facendo
A livello di percezione non ho sentito una grandissima differenza. Il mio lavoro è credere a qualcosa e quindi è lo stesso, che io sia uno zombie o che debba fingere di essere incinta. El Nido però mi ha concesso una particolare libertà e mi ha permesso di prendermi dei rischi.
Com’è stato per te un set così piccolo che per quasi tutta la storia ha solo due personaggi?
Per me è stato veramente un sogno, alcuni hanno l’hanno definito una pièce teatrale ed è un paragone molto veritiero. Abbiamo girato il film in un teatro di posa e io e il mio co-protagonista avevamo un’immensa responsabilità. Il tema di lavoro dietro le quinte è stato fondamentale per creare l’atmosfera del film, dai costumi alla scenografia, passando per il trucco e la fotografia. È stata una fortuna poter osservare l’avanzamento e l’evoluzione del lavoro in diretta e soprattutto entrare nella stanza di Sara e conoscerla anche in quel modo. Di solito quando sei su un set, sei su delle location, mentre lì vivevo letteralmente nella sua camera tutto il tempo e quello mi ha aiutata nell’immedesimazione, perché potevo vivere la sua intimità. A me piace stare dentro i personaggi, sentire la realtà dei loro sentimenti, delle sensazioni che provano sulla loro pelle.
Questo film parla di pandemia, seppur si tratti di una pandemia diversa da quella avvenuta nella realtà. Come hai vissuto la realizzazione?
All’inizio dovevamo girare ad aprile 2020, quindi proprio nel centro della pandemia, poi le riprese son state posticipate di qualche mese. Onestamente era troppo vicino nel tempo per me per poterlo vivere davvero con consapevolezza. Erano passati troppi pochi mesi dal primo lockdown e sicuramente in quel periodo ho assaggiato delle cose che sarebbero servite per Sara e le ho mantenute. Attorno a noi succedevano tante cose senza che potessimo capirle davvero. Come penso in tanti non avevo una idea forte di quello che era successo, neanche un’idea debole ma piuttosto confusionaria. Per me El Nido non parla davvero di una pandemia. La pandemia sono le circostanze in cui qualcosa di simile avviene. Si tratta soprattutto della storia di un abuso. Un dato molto preoccupante che molti hanno ignorato è stato l’aumento vertiginoso dei casi di violenza domestica. La pandemia era una condizione critica, ma tutti ignoravano cosa succedeva dentro quelle case.
Se tu potessi creare il tuo nido come sarebbe?
Tendenzialmente punterei a non creare un nido, perché non vorrei rinchiudere nessuno se possibile. Per me sarebbe un posto con le porte aperte, chiaramente autosufficiente, dove tutto è riciclato e riciclabile. Deve essere a impatto zero, so che ci sono già delle realtà simili ma sono poco diffuse. Vorrei anche un piccolo prato, tantissimi libri e un proiettore. Mi piacerebbe un posto dove si può dipingere, si possono scattare foto… Insomma, il mio nido sarebbe un posto autosufficiente dedicato alla creatività. Adesso bisogna cercare qualcuno disposto a crearlo!
Questa è la tua seconda esperienza a Porretta. Da quando sei venuta al Festival con Piuma, che passi in avanti pensi di aver fatto?
La prima volta ero qui con Piuma e sicuramente è stato stupendo. È uno dei miei film del cuore, però è passato comunque un po’ di tempo. Sembra ieri ma son passati sei anni. Rispetto alla me diciannovenne, adesso sto cercando di esistere così come sono, giudicandomi un pochino di meno, lasciandomi libera di fare errori, di non piacermi e di essere imperfetta. In questa profonda accettazione mi son resa conto che i passi che faccio son solo miei e solo io li posso fare in questo modo. A volte penso che avrei potuto fare di più, ma non è quello il punto. Sono contenta di dove sono e ho fiducia in me.
Cosa vorresti dal tuo futuro artistico?
Tantissime cose, voglio crescere, voglio sperimentare il più possibile. Voglio mettermi a confronto con i grandi e collaborare con i giovani. Sto scrivendo anche qualcosa di mio e vorrei avere il tempo per dedicarmici. Vorrei il coraggio di buttarmi, di fare qualcosa di nuovo anche per me.
A Porretta i film vengono mostrati a una giuria di giovani. Che lezione speri abbiano appreso dal film?
Vorrei tanto poterlo chiedere a loro. Spero che capiscano quanto è importante prendersi cura di se stessi per non incappare poi in situazioni tossiche o orrorifiche come quella di Sara. Credo che lei sia una figura molto rappresentativa di questa gioventù. Tutti dovremmo fermarci e chiederci ogni tanto “Ma tu come stai?”. C’è paura di denunciare le situazioni scomode, ma anche di stare accanto a qualcuno in un momento difficile. Dovrebbe esserci più solidarietà tra noi giovani, soprattutto visto che gli adulti non dimostrano empatia. Basti pensare ai piani politici di tutte le fazioni, nessuno citava i giovani e la loro salute mentale. Ci sono dati molto gravi che riguardano i nostri coetanei: un tasso di suicidio molto alto, tantissimi casi di disturbi alimentari e tanto altro. Bisogna creare una catena tra noi giovanissimi e supportarci.