Di film, per lavoro o per diletto, ci capita di vederne davvero tanti. Non tutti sono riusciti ad entrare nella nostra lista dei migliori film dell’anno. Ma quelli che trovate qui sono i peggiori film del 2023. O meglio, quelli che Giada Sartori e Joana Fresu de Azevedo hanno dovuto vedere, ma che avrebbero preferito non dover vedere.

Comandante (Edoardo De Angelis)

Alle patatine fritte usate per inquadrare i belgi saliti a bordo, noi rispondiamo tirando fuori un mandolino e cantando a squarciagola Ohi vita. Non sono tanto le due ore vissute in un sommergibile a darci il senso di claustrofobia, quanto lo stridere di dichiarazioni urlate (semo mona noi??) e messaggi di dichiarata italianità che sanno tanto di nazionalismo.

Un Pierfrancesco Favino talmente fuori parte che forse gli avremo preferito Adam Driver.

peggiori film 2023

Beau ha paura (Ari Aster)

Dopo Hereditary e Midsommar, Ari Aster torna con quella che ha definito la sua opera più personale: Beau ha paura, l’epopea di un uomo che cerca di evitare il confronto con sua madre.

Allontanandosi dall’horror, il regista prova una commistione di commedia nera e paranoia con sprazzi di cieca violenza per trasmettere i suoi traumi infantili. Vittima di una sceneggiatura priva di ogni direzione e una durata eccessiva che fa cadere lo spettatore nello stesso turbamento del protagonista, Beau ha paura è un’imbarazzante seduta di terapia dai toni freudiani.

Adagio (Stefano Sollima)

Non ci aveva convinto già dalle prime immagini. Ma vedere una sparatoria in stile americano tra le scale mobili della Stazione Tiburtina di Roma ci ha fatto proprio capire che un certo tipo di racconto cinematografico (improbabile) della capitale ormai ci è davvero indigesto.

E, spiace dirlo, inizia a mancarci il Sollima capace di tenerci incollati per 22 episodi di Romanzo Criminale e di portarci nelle profondità di Suburra. Qui a stento capiamo cosa dicano gli attori nelle loro biascicate interpretazioni.

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Nuovo Olimpo (Ferzan Özpetek)

In un periodo in cui ogni regista decide di raccontarci la sua vita, Ferzan Özpetek usa il suo alterego Enea (il Damiano Gavino di Un Professore) per rimuginare sul passato. Lo scenario è la Roma degli anni Sessanta, piena di terrazze come in ogni film di Özpetek che si rispetti.

Qui in un cinema gestito dall’eccentrica Titti (Luisa Ranieri), Enea incontra Pietro (Andrea Di Luigi), si amano, si lasciano, si pensano per sempre. Nuovo Olimpo è un melodramma che insegue un amore idealizzato e mai credibile, racchiuso in frasi degne dei baci Perugina e una recitazione poco convincente (premessa: quest’ultima affermazione non riguarda le splendide Luisa Ranieri e Aurora Giovinazzo).

Il mondo dietro di te (Sam Esmail)

Avevamo bisogno di un nuovo film distopico sulla possibile fine del mondo e le sue cause? No. Ci serviva che Michelle e Barack Obama producessero un film per dimostrarci quanto potere diamo a chi gestisce l’arsenale più potente del mondo? No. Sentivamo il bisogno di vedere che anche Julia Roberts, Ethan Hawke, Mahershala Ali e Kevin Bacon possano recitare male se diretti male? No.

Unica consolazione: ci siamo commossi ripensando a Friends e stiamo per rivedere tutte le stagioni dirette da Aaron Sorkin di West Wing.

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A Good Person (Zach Braff)

A Good Person poteva essere un bel film. Un dramma sulla crisi degli oppiodi (sì, l’ennesimo) guidato da Florence Pugh, una delle attrici più promettenti della sua generazione, e dal veterano Morgan Freeman. Logicamente nulla può andare male, no?

A Good Person è l’ennesima dimostrazione del fatto che non dovremmo mai giudicare un film dai suoi interpreti, specialmente quando dietro c’è un regista e sceneggiatore come Zach Braff (J.D. in Scrubs) che sembra aver letto la prima guida trovata in rete su come fare un film drammatico, un po’ Oscar-bait, per poi seguirla alla lettera creando l’opera più melensa, esagerata e forzata dell’anno.

Saltburn (Emerald Fennell)

Se provassimo a riempire di cliché queer, qualche belloccio nudo, un paio di personaggi fuori di testa e tanta droga Downtown Abbey cosa potrebbe succedere?

Che avremo una cosa di una inconcepibile bruttezza, senza capo né coda e con un finale che ci fa sentire l’impellente bisogno di spaccare lo schermo lanciandogli addosso il telecomando. E il titolo del film sarebbe Saltburn.

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Il ritorno di Casanova (Gabriele Salvatores)

Un regista ormai anziano possibilmente in crisi trascina coloro che lo circondano nel suo ennesimo gioco egocentrico. È la trama de Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores, ma potrebbe essere la trama di altri mille film.

L’ennesimo chiaro tentativo di replicare e di appropriarsi di ha come risultato un film che appartiene al passato ma che non ha la forza per trascenderlo e diventare eterno, figlio di un trattamento derisorio del mondo femminile e vittima di un linguaggio estremamente artificioso e inumano.

Rossosperanza (Annarita Zambrano)

Una generazione di figli di papà, viziati, convinti di poter coprire qualsiasi stupida bravata fatta con l’intervento di mammà o la mazzetta di papà può essere giustificata solo con il fatto che nessuno è stato amato abbastanza? Forse.

Ma di sicuro non lo scopriremo guardando l’incongruente Rossosperanza. Che ci fa sperare ben poco in realtà. Se non che la tigre se li divori tutti facendo finire il film il prima possibile.

Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco (Zack Snyder)

Zack Snyder decide, per qualche ragione sconosciuta all’uomo, di provare a fare il suo Star Wars. Lo fa con l’aiuto di Netflix che gli da 160 milioni di dollari per girare due capitoli che andranno direttamente sulla piattaforma. In un altro contesto un simile coraggio sarebbe da applaudire, ma nel caso di Rebel Moon dovrebbe essere passibile di denuncia.

Rebel Moon è, per citare Samuele Bersani, la “copia di mille riassunti”, un film senza la più minima creatività che prende da altri universi per creare un world-building esilissimo e personaggi che è giusto augurarsi siano il frutto di un’intelligenza artificiale e non di una mente umana. Come ogni progetto di Snyder che si rispetti, è già previsto un Director’s Cut di quattro ore che è già stata brevettato come nuova forma di tortura.

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