Dopo l’anteprima internazionale in concorso alla scorsa edizione del Locarno Film Festival, arriva in sala giovedì 24 agosto Rossosperanza, che vede la regista Annarita Zambrano tornare dietro la macchina da presa dopo il suo esordio nel 2017 con Dopo la guerra. Prodotto da Mad EntertainmentMinerva PicturesTS ProductionsRai Cinema e distribuito da Fandango, il film si presenta come una favola nera che ha come protagonisti quattro giovani della Roma bene degli Anni ’90. Quattro ragazzi abbandonati dai propri genitori, che preferiscono rinchiuderli in in una clinica per giovani problematici, piuttosto che affrontare la vergogna dei crimini di cui i loro figli sono accusati.

La vendetta di Annarita Zambrano

Zena, Marzia, Alfonso e Adriano sono figli reietti di una piccola-medio borghesia che, ispirata all’eccesso di perbenismo misto a voglia di eccellere e di mantenere i privilegi del proprio stato sociale, cerca di annullare la voglia di ribellione di una intera generazione. Mettendola a tacere e segregandola in una prigione dorata, Villa Bianca, costruita proprio per nascondere quei ragazzi definiti come problematici e criminali, ma essenzialmente bisognosi di attenzioni.

La regista Annarita Zambrano decide di ambientare il suo Rossosperanza non casualmente negli Anni ’90. Quelli in cui lei stessa aveva l’età dei suoi protagonisti e proveniva da una di quelle disattente famiglie che tanto spietatamente descrive. In una recente intervista alla rivista Elle, la Zambrano ha dichiarato:

l film è tratto da storie più vere del vero. I personaggi sono naturalmente trasfigurati dal racconto, ma si ispirano ai miei amici di un tempo e soprattutto all’ambiente che ci circondava. Le famiglie. Non posso fare nomi e cognomi, ma era un habitat profondamente legato al potere, alla corruzione, intriso di una violenza estrema, sia fisica che morale: la stessa che ha finito col contagiare anche noi, che in fondo anelavamo solo alla libertà e non riuscivamo a capire perché per loro, gli adulti, rappresentassimo un problema.
Rossosperanza Annarita Zambrano Film

Entrando nel profondo dei propri personaggi e della loro violenza, aggiunge nelle sue note di regia:

La violenza era come un cancro nelle nostre viscere privilegiate, si nutriva del potere dei nostri padri divorando la nazione. Ora tutto sembra più comico che tragico. Rossosperanza è nera come le nostre anime e rossa come il sangue che ha lavato i nostri peccati.

Madri assenti, se non addirittura disinteressate ai propri figli, laddove non fosse possibile presentarli come trofei. Padri talmente tanto uguali nel loro essere distanti e nelle loro recriminazioni da essere tutti rappresentati in Rossosperanza dallo stesso attore, Andrea Sartoretti, chiamato una volta a cercare di nascondere l’omossessualità di Alfonso (un intenso ed esordiente Leonardo Giuliani), una di liberarsi dell’eccentrica apatia di Zena (una Margherita Morellini non sempre capace nella sua monoespressività di dar voce alle tante sfaccettature del proprio personaggio), un’altra di esaltare di fronte ad un pubblico festante la propria ricchezza attraverso il possesso di bestie feroci, senza rendersi conto che sua figlia Marzia (Ludovica Rubino, sicuramente la più convincente all’interno di un cast ancora forse troppo acerbo per una prova attoriale così complessa come quella che viene richiesta loro in Rossosperanza) era finita tra le fauci di una di queste.

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Gli effetti speciali non bastano

Seppur di incredibile impatto visivo, le splendide illustrazioni e le incisive animazioni realizzate da Alessandro Rak e Dario Sansone non sono sufficienti ad impedire che Rossosperanza, con la sua totale assenza di linea temporale che rende il filo narrativo spesso ingarbugliato e confuso, diventi poco più di un tentativo non riuscito di critica sociale. I suoi protagonisti, che si ambisce a presentare come schiacciati dalle regole familiari e sociali, risultano bambini capricciosi in cerca di attenzioni. Inoltre, a nessuno di loro viene mai davvero data la possibilità di presentarsi al pubblico, succubi di una rappresentazione spesso abbozzata di ciò che dovrebbero essere. La loro voce schiacciata dall’assenza di dialoghi strutturati, costretta in battute che variano dal no sense alla banalità.

Un film che poteva essere la rivalsa di una generazione davvero dimenticata. Che finisce per essere dimenticabile.

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