La settimana scorsa abbiamo presentato il racconto familiare di Kenneth Branagh e del suo Belfast. Oggi parliamo di un’altra famiglia, quella arcobaleno di Leone, protagonista adolescente di Il filo invisibile di Marco Simon Puccioni, disponibile su Netflix.
Leone (Francesco Gheghi, già protagonista sia per Padrenostro di Alfonso Noce che per Mio fratello rincorre dinosauri di Stefano Cipani, mentre l’esordio lo deve al suo ruolo in Io sono Tempesta di Daniele Luchetti) è un ragazzo di 16 anni come tanti altri. Le giornate spesso esageratamente riempite di attività da svolgere (oltre la scuola, segue corsi di approfondimento linguistico e di arrampicata); pochi amici e con quelli che ha un rapporto a tratti scostante; i primi amori che arrivano e, con loro, la difficoltà di comprendere come tenere in equilibrio sentimenti e ormoni adolescenziali. Inoltre, Leone ha una gran voglia di apparire normale. Convinto come è che la sua stessa nascita e la composizione della sua famiglia siano elementi che gli rendono difficile il farsi accettare da tutti. Perché, come accennavamo, quella di cui si parla in Il filo invisibile è una famiglia arcobaleno e i genitori di Leone sono Simone (Francesco Scianna) e Paolo (Filippo Timi), due uomini che solo di recente sono potuti convolare a nozze, ma che sono una coppia da ormai vent’anni.
Proprio il giovane protagonista ci racconta le origini del suo concepimento e ci descrive la sua famiglia, attraverso un progetto di documentario che deve realizzare per la scuola insieme all’amico Jacopo (Emanuele Maria Di Stefano, giovanissimo attore che avevamo già visto lo scorso anno in La scuola cattolica di Stefano Mordini e che qui ci offre, a nostro giudizio, la miglior interpretazione tra quelle che abbiamo visto in Il filo invisibile, capace in modo attento e convincente di offrire ritmo e dinamicità ad un personaggio non sempre convincente come quello di Leone). Una famiglia omogenitoriale, ma anche allargata. Che arriva a comprendere Tilly (l’attrice americana Jodhi May), sua madre biologica, con la quale il legame e rapporto è sempre stato chiaro e mantenuto vivo nelle videochiamate con gli Stati Uniti. Ma che vede avere un ruolo fondamentale nella gestione dei suoi complessi equilibri anche Monica (Valentina Cervi), miglior amica e confidente di Paolo, da Leone reputata alla stregua di una zia.
Ma, come tutte le famiglie, quella di Leone non è una famiglia perfetta. Simone e Paolo si stanno separando. Per motivi che sono comuni a tutte le famiglie: difficoltà di far fronte agli impegni, stanchezza nel gestire le beghe burocratiche di una coppia il cui legame non è pienamente riconosciuto dalla legge, mancanze affettive che portano al tradimento. Questo getta Leone in una profonda crisi personale. Infatti, se da una parte lo vediamo guardare alla fine dell’amore tra i suoi genitori con (eccessivo) distacco, il protagonista si concentra sul cercare delle risposte intime a suoi problemi individuali: da una parte, vuole far colpo sulla nuova arrivata a scuola, Anna (Giulia Maenza) e convincere, una volta per tutte, i suoi compagni che il fatto che i suoi genitori lo siano non implica che anche lui sia omossessuale. Dall’altra, seppur terrorizzato in fondo dalle conseguenze che una risposta potrebbe avere su di lui, Leone si scopre a voler conoscere chi sia il suo padre biologico, come a voler mettere un punto di chiarimento sulla sua esistenza.
Già da questi elementi possiamo iniziare a segnalarvi quelle che per noi sono state alcune delle principali criticità riscontrate in Il filo nascosto. Seppur riconoscendo il coraggio – anche e soprattutto in un contesto sociale e legislativo così fumoso e non benevolo nell’accettare i diritti delle famiglie arcobaleno e delle coppie omogenitoriali – di Marco Simon Puccioni nello scegliere un film in cui è evidente che il target di riferimento sia quello dei coetanei di Leone e punti ad aprire gli occhi sul pubblico adolescente davanti a questi altri modi di essere famiglia, si trova purtroppo a farlo cadendo in una visione stereotipata sia delle dinamiche proprie di una crisi di coppia che della stessa famiglia arcobaleno che vuole portare ad esempio.
Il valido tentativo di far comprendere quanto quella di Leone sia una famiglia normale porta ad una narrazione a volte macchiettistica, non sempre approfondita e scarsamente incisiva delle reali dinamiche che contraddistinguono la battaglia per il riconoscimento delle famiglie arcobaleno. C’è, quindi, un eccesso di banalizzazione di una situazione che appare nelle cronache più complessa di come la si vuole far apparire nella seppur piacevole commedia di Il filo invisibile.
Allo stesso modo, guardando al protagonista, lo spettatore non riesce ad entrare pienamente in empatia con lui. Rilevandone, invece, il fastidio dettato dal suo mostrarsi quasi indifferente alla crisi che sta coinvolgendo i suoi genitori ed egoista anche nel suo relazionarsi ai suoi amici.
Discorso a parte merita, invece, uno di quelli che consideriamo uno degli aspetti più interessanti del film. La sua colonna sonora, realizzata da Pivio e Aldo De Scalzi. Tra pezzi di accompagnamento scenico tradizionali, ad attirare la nostra attenzione sono stati in particolare tre brani. Due di questi sono cantati da una delle collaboratrici storiche del duo genovese, Barbara Eramo, capace, sin dall’inizio con Goodbye Shame e quasi sul finire con You and Me, di dare quel senso di struggente emozione che Il filo invisibile cerca di portare nella narrazione. Il terzo brano è Rusckow, cantato dallo stesso Aldo De Scalzi: una ballata quasi country, con un’interpretazione profonda come profondo è il momento che vuole andare a raccontare. Interessante, soprattutto nella sua capacità di andare a marcare il carattere adolescenziale del target a cui il film si rivolge, l’inserimento del brano La canzone nostra, interpretata da Mace, Blanco e Salmo, un trio di musicisti capace sicuramente di attrarre l’attenzione del pubblico più giovane.
Con il gran pregio di riuscire ad essere un film leggero, Il filo invisibile è consigliabile per una visione casalinga e senza impegno. Spiace, invece, vedere come potesse essere un’occasione per portare su un nuovo piano narrativo una questione che sempre più coinvolge la nostra società. E che non sia riuscito a cogliere tutte le sfumature arcobaleno di tante delle nostre famiglie.