Il Festival del Cinema di Porretta Terme da diversi anni promuove la sezione I mestieri del cinema, permettendo agli studenti del territorio di incontrare importanti professionisti del cinema che raccontano loro i loro riferimenti culturali e ciò che ha posto le basi per il loro lavoro. Ospite di questa ventiduesima edizione è stato Roberto Andò, che ha incontrato oggi oltre 200 ragazzi presso il Cinema Kursaal di Porretta Terme.
Intervenendo in streaming in quanto impegnato nelle prove della sua prossima regia teatrale e su impulso delle domande fatte da Andrea Morini di Porretta Cinema, Roberto Andò si è aperto con i ragazzi in merito alla dualità della sua carriera tra cinema e teatro. Spaziando anche sul suo modo di raccontare quest’epoca moderna, incentrata sul fallimento del potere.
Questo quanto detto a dal regista nel corso del suo incontro con i giovani del territorio, a cui il Festival del Cinema di Porretta dedica quest’anno una speciale retrospettiva, proiettando in sala 4 dei suoi più recenti successi cinematografici e la toccante regia teatrale Conversazione su Tiresia, tra le ultime apparizioni di Andrea Camilleri.
Una carriera tra cinema e teatro, in dialogo tra vivi e morti
Io mi sono accostato al teatro in una stagione in cui il teatro veniva contestato. Quando io ho cominciato, c’era una temperatura molto diversa da quella di oggi, costruita su molte opposizioni. Avanguardia contro tradizione era una di queste. E nel teatro si affacciavano personalità che hanno sconvolto la percezione comune. Degli attori che hanno aperto nuove strade al teatro penso per esempio a due figure, che per me sono state anche amici, a cui sono stato molto legato. Parlo di Taddeo Scampa, che è stato un grande attore polacco, inventore di un cosiddetto teatro della morte e di spettacoli memorabili, di cui cito La classe morta, che è stato rappresentato per oltre trent’anni sui palcoscenici di tutto il mondo. Poi direi Robert Wilson, autore americano, che ha completamente divelto questa idea che il teatro fosse parola. Legandolo di più a due nozioni fondamentali: lo spazio e il tempo e, quindi, anche all’aspetto visivo.
Io mi sono accostato al teatro non perché amassi il teatrese, cioè quello che era il teatro convenzionale. Ma perché amava questo altro tipo di teatro. Un teatro vivo, che rompeva le barriere e creava ponti anche con il cinema. Avendo, poi, una grande passione per il cinema, io da quel momento non ho più fatto una distinzione. Ho cominciato a procedere nel mio cammino andando per progressive esclusioni e seguendo vari punti di interesse. Dalla scrittura alla scena.
Tra sala teatrale e sala cinematografica
Perché quella è la distinzione fondamentale tra il teatro e il cinema. Il cinema una volta che tu lo hai fatto e hai imprigionato questi momenti magici di una storia che andrà proiettata sullo schermo, non è più modificabile. Capita sì a volte che, a distanza di anni, degli autori ritornino sulla propria opera con un nuovo montaggio, ma, sostanzialmente, gli spettatori quando vanno in una sala cinematografica non incontrano gli autori, non possono intervenire in quello che avviene.
Invece in una sala teatrale c’è un inc et unt, la scena avviene lì e ora. Questo è il quid del teatro, ciò che lo rende eccitante e anche unico. Soprattutto in un’epoca come questa, la gente continua a radunarsi nelle sale teatrali e a accogliere una storia che quasi sempre ha a che fare con il senso che il teatro sia il luogo in cui i vivi e i morti si incontrano. Il teatro è il luogo in cui i vivi e i morti dialogano. Anche nell’epoca di oggi c’è questo bisogno. L’attore, tutto quello che si dispone sulla scena diventa la mediazione per questo viaggio nel tempo. Mi affascina questo. Come mi affascina il cinema.
C’è una frase di Tadeusz Kantor, un autore polacco, che vi vorrei dire: Per fare teatro bisogna prima trovare il luogo della vita. Io credo che questo sia valido anche per il cinema. In un certo senso, ogni film ci propone un luogo della vita. Così come fa ogni spettacolo teatrale. Vuoi che sia nell’ottica di Cechov o di Pirandello o di un grande autore musicale come Verdi. Vuoi che sia nell’ottica di un autore come Bergman, che per tutta la vita ha inseguito luoghi della vita, come fatto anche tra Truffaut e Godard. Le distanze tra i due mezzi sono linguistiche. È ovvio che il cinema e il teatro presuppongono una conoscenza specifica del mezzo. Sono due codici molto precisi che implicano una grammatica che devi conoscere, tanto più se vuoi creare delle forme libere. Quello di un regista che vuole fare cinema e teatro è un percorso di conoscenza. Deve conoscere entrambi i mezzi e capire quali siano le differenze. Ma, in qualche modo, cercando la stessa cosa: il luogo della vita.
La stranezza del teatro al cinema
Parlando, ad esempio, di La stranezza, in quel film si racconta la genesi di un’opera d’arte, cioè dei Sei personaggi in cerca d’autore, immaginando un retroscena che ha favorito lo scatto attraverso cui Pirandello è arrivato a quella formulazione, a quella idea. In un certo senso, Pirandello in quel film sta cercando il luogo della vita, sa che ha in mente delle tracce, delle ombre. Pirandello è stato un autore straordinario perché ha raccontato come pochi il rapporto con i personaggi. Un autore che scrive, anche un regista, che immagina dei personaggi, in qualche modo è visitato da questi personaggi.
In uno dei suoi racconti, Colloquio con i miei personaggi, Pirandello racconta che questi personaggi premono alla porta dello studio dove lui lavora e pretendono di essere risolti, di avere qualcuno che li metta in scena, che dia loro una vita. Io, in questo film, ho cercato di raccontare questa ricerca che Kantor definiva trovare il luogo della vita e che un po’, se ci pensiamo, è anche all’origine di 8 e mezzo di Fellini, che è un film sul cinema, su uno che vuole fare un film che poi non farà. Sul modo in cui un creatore vive con i fantasmi.
Riflessioni sul potere contemporaneo
Ci sono due miei film che raccontano in modo diverso l’inadeguatezza del potere, il suo fallimento. A me pare che da molti anni noi viviamo in un’epoca molto diversa da quella che hanno vissuto le generazioni che ci hanno preceduto. Durante le quali sul palcoscenico della storia ci sono stati personaggi ingombranti, ma che esprimevano il potere. La caratteristica del potere di oggi è vorrei ma non posso. Cioè, un’incapacità di attuare le loro decisioni. Oggi noi vediamo anche che le classi dirigenti, quelle che vengono selezionate per andare al potere, sono sempre più mediocri, dalla personalità mediocre.
Personaggi quasi sempre legati al populismo, cioè a quella degenerazione del potere che è il desiderio di annunciare le cose sulla ribalta degli istinti della folla, della massa. Gli eroi di questo tempo, ad esempio, per quanto riguarda l’Italia è Salvini, ma pensiamo che in Argentina è stato da poco eletto un personaggio che andava ai comizi con la sega elettrica.
In quei due film io ho voluto concentrarmi sul declino del potere. Immaginando, in Viva la libertà, quasi una commedia, che questo politico in fuga, il segretario del partito di opposizione, depresso e incapace di dare parole credibili alla gente, fuggisse andando a rifugiarsi da una sua amica. Quello che gli succede è che viene sostituito dal fratello gemello, che, pur essendo uno che è stato per molti anni in disparte perché afflitto da una malattia mentale, si rivela un uomo di grande vitalità, capace di infiammare di nuovo la scena politica.
In Le confessioni, invece, tutto si trasferisce in una riunione del G8. Incontri misteriosi che caratterizzano il nostro tempo, che vediamo raccontati nei telegiornali, in cui i grandi del mondo si riuniscono per decidere le sorti dei passaggi cruciali delle nostre vite.
Ho immaginato che uno di loro, il presidente del Fondo Monetario, si suicidasse. Cercando di capire cosa sarebbe potuto succedere. E, visto che spesso vengono invitati personaggi esterni alla politica (ci sono andati cantanti e attori. Sono state spesso invitate grandi star come Leonardo Di Caprio o Bono Vox), ho voluto inserire anche un monaco che scrive libri, interpretato da Toni Servillo. Tutto si blocca nel corso di questo G8, perché il suicidio di questo politico che prima aveva voluto confessarsi proprio con questo monaco, crea un allarme su cosa potrebbero essersi detti, sulle rivelazioni eventualmente fatte.
Anche questo è un film sulla fragilità del potere. E, soprattutto, sulla dittatura dell’economia, che a un certo punto è sembrata l’unica forma politica. La politica dovrebbe essere un’altra cosa, in quanto nata per dare risposte ai bisogni dell’uomo, mentre l’economia è una scienza prescrittiva che a un certo punto è diventata quasi un diktat.
In questo momento abbiamo un governo di destra, con una leader che ha fatto carriera contestando l’Europa e le linee dell’economia europea. Ma, arrivando a diventare Presidente del Consiglio, si è totalmente conformata alle prescrizioni di questa economia. Ancora oggi, in questo senso, l’economia è oggi l’unico linguaggio della politica. Sono finiti i grandi movimenti libertari e sembra che tutto sia incentrato sul ricondurre i conti in ordine. Le confessioni indagava proprio questi aspetti e lo faceva attraverso la lente dell’umano e la sua variabile. Questo aspetto mi sembra centrale ancora oggi. Un po’ perché, come segnaliamo tutti, c’è un’insoddisfazione per lo stato delle cose.
Il cinema deve raccontare questo peggiore dei mondi possibili
Io penso che in questo momento viviamo nel peggiore dei mondi possibili, non solo in Italia, ma anche per quello che sta succedendo nel mondo. I motivi di sconforto sono tanti e la politica, invece, dovrebbe avere ancora una voce importante per modificare questo stato di cose.
A volte credo che il cinema possa essere in questo momento utile a dare la sveglia. Lo è stato in passato, può esserlo ancora. Anche in questo senso il film che ora sta dominando gli incassi e vive di un favore straordinario da parte del pubblico come C’è ancora domani di Paola Cortellesi segnala che, quando il cinema è un cinema largo, che si occupa di temi importanti per la società, allora può succedere qualcosa che va al di là del film. Che fa tornare il cinema al centro della scena.