Se dovessimo scegliere un unico aggettivo da attribuire all’ultimo film di Mohammad Rasoulof, vincitore dell’Orso d’oro alla Berlinale 2020, saremmo portati a cercarne uno afferente alla sfera etica anziché a quella estetica: non perché Il male non esiste non sia bellissimo (anzi!) ma perché definirlo “coraggioso” renderebbe assai più onore al lavoro del regista iraniano che con questa sua ottava opera continua il proprio percorso artistico e politico di critica al suo Paese.

Rasoulof – già agli arresti domiciliari dal 2019 – intende qui denunciare la pena di morte, ancora in vigore in Iran, attraverso quattro storie, che del film costituiscono altrettanti capitoli separati ma in dialogo tra loro, legati oltre che dal tema principale da un progressivo ampliarsi di prospettive sulle conseguenze che questa condanna disumana ha su uomini e donne. Si badi: Rasoulof non si concentra su chi subisce la pena di morte, ma sulla disperata umanità che ruota intorno alle esecuzioni, sulle conseguenze dirette e indirette dell’attuazione di una pratica legittimata.

Le quattro vicende sono raccontate con differenti ritmi narrativi per assecondare il pathos dei vari momenti (ad esempio, il traffico caotico della città o il veloce eloquio della moglie del primo protagonista si contrappongono al silenzio e alla quiete della sua solitudine casalinga) e sono messe in scena anche fotograficamente con una cura eccezionale: una palette orientata al blu e ai colori scuri predomina nei momenti in cui i personaggi sono soli ad affrontare le conseguenze delle loro scelte (la guida notturna, la fuga nel bosco), mentre tonalità più calde si scoprono nelle scene all’aperto immerse nei bellissimi e soleggiati panorami iraniani, quando una storia d’amore è vissuta pienamente o un gruppo familiare si trova riunito. Attraverso vicende di singoli individui, il messaggio di Rasoulof si rafforza in una critica al regime e in una sfida al sistema: è lui stesso il primo a mettersi in gioco (nel cast è presente anche la figlia Batan) e a rischiare personalmente conseguenze pesantissime per alzare la voce e dire “no”. Prova ne sia la condanna a un anno di carcere inflittagli dopo la vittoria a Berlino corredata dal divieto di girare film per due anni.

Il male non esiste film recensione

Il male non esiste è cinema politico: la ribellione illustrata nel film è un atto politico (lo si vede chiaramente nel terzo episodio); l’indipendenza ­– vista e cercata come affermazione di una volontà individuale e collettiva – è il risultato di una presa di coscienza, rischiosa ma necessaria, della propria responsabilità verso la legge e verso la morale. Tuttavia l’opera non è un film-saggio, nonostante vi si esprima una chiara messa in discussione dei valori e delle pratiche imposte a uomini e donne dai poteri religiosi, politici e militari (e non ci riferiamo solo alla pena di morte: la critica all’imposizione del velo mossa proprio da una donna, nel primo episodio, è solo apparentemente leggera). Rasoulof si dimostra abile narratore di storie personali e riesce a rendere alla perfezione gli stati d’animo dei suoi personaggi grazie a una solida sceneggiatura, a una grande attenzione per i dettagli e a un’eccellente padronanza registica: la corsa disperata e sfinente del soldato nel suo ostinato rifiuto provoca un’ansia asfissiante; l’arrancare dell’innamorato ribalta la corsa verso l’amore in una corsa dalla fine dell’amore stesso; la fuga in auto della coppia sulle note di Bella ciao cantata da Milva porta in sé un enorme carico di significato (la libertà dell’individuo dal suo incubo e la libertà dell’uomo dall’oppressore); lo sguardo verso il ritratto del “martire”, nella sua lunga durata, rivela il cambiamento di prospettive di una vita.

Ed è forse in un altro sguardo la chiave di questo film che all’inizio potrà sembrare ostico a qualche spettatore: in quello sguardo catatonico rivolto al semaforo diventato verde, in quell’immobilità di un uomo annichilito che è l’immobilità di una nazione, di una condizione umana schiacciata dalla costrizione di una colpa della quale si è involontariamente responsabili.

Una “banalità del male” nell’Iran di oggi.

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