“Sappiamo quanto la vita fosse difficile per lei di tanti in tanto. So che possiamo solo provare a immaginarlo, ma la gente dappertutto, non solo in Inghilterra, aveva fede nella Principessa Diana. L’adoravano, l’amavano, la consideravano una di loro. Lei era la principessa del popolo e così rimarrà nei nostri cuori e nei nostri ricordi per sempre”

Con queste parole il 31 agosto 1997 l’allora Primo Ministro del Regno Unito Tony Blair onorò Diana Spencer a poche ore dalla sua morte. La breve dichiarazione rilasciata dalla famiglia reale, che si limitava a spiegare lo shock e il turbamento causato dalla notizia, era stato percepito come insufficiente dalla gente che in un momento di sconforto simile cercava il modo per elaborare quel lutto. Diana, grazie alla sua compassione e al suo impegno pubblico, era riuscita a superare il tradizionale dislivello tra regnante e regnato, creando un legame unico e impossibile da replicare con il popolo.

Un tale impatto nella cultura popolare (in tutte le possibili accezioni del termine) non poteva che portare a tutta una vasta serie di rappresentazioni televisive e filmiche della vita di Diana Spencer. Con The Crown, la serie di Peter Morgan che racconta da vicino la storia della famiglia reale inglese, e nello specifico l’arrivo della principessa del popolo qui interpretata da Emma Corrin nella quarta stagione e da Elizabeth Debicki nella quinta (in uscita quest’anno), l’interesse del pubblico si è rinnovato, anche se molti sottolineano come si stia rischiando un eccessivo sfruttamento della sua figura. In questo scenario e soprattutto dopo un raffazzonato musical a Broadway (la registrazione è disponibile su Netflix), arriva finalmente nelle sale italiane, a sette mesi dalla sua partecipazione in concorso alla 78° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Spencer di Pablo Larraín.

Non si tratta del primo “biopic” realizzato dal regista cileno: già in passato aveva affrontato prima la figura di Pablo Neruda e poi quella di Jackie Kennedy. Larraín, soprattutto con Spencer, non vuole però realizzare un docudrama, che si limita a riportare passo per passo una parte della vita di Diana, ma ha preferito partire da frammenti di realtà per poi lasciare spazio all’immaginazione. Spencer decide di concentrarsi su un momento preciso della vita della principessa del popolo – i giorni a cavallo del Natale del 1991 presso la tenuta di Sandringham: le voci del tradimento di Carlo si erano fatte sempre più intense e crudeli e nonostante quelle feste dovessero rappresentare un ipotetico periodo di tregua, la stampa appostata davanti alla sua finestra, guardie di palazzo pronte a giudicare ogni suo movimento sbagliato, i commenti del marito o gli sguardi della regina Elisabetta sono mosse precise per escluderla da un mondo a cui Diana per natura non appartiene.

La sceneggiatura di Steven Knight, conosciuto al grande pubblico per aver creato Peaky Blinders, sceglie di concentrarsi sulla psiche di Diana, inquadrando attraverso una lente immaginifica e propriamente cinematografica le sue paure, i suoi desideri, il suo bisogno di libertà. Spencer attraverso questo approccio, che in mani meno sapienti sarebbe risultato esagerato e fuorviante, trova il modo di discostarsi non solo dal mero biopic ma anche dalla solita immagine di Diana diffusa dai giornali. Tra realtà e immaginazione, Steven Knight riesce a creare e a rende vivo sullo schermo il mondo interiore della principessa del popolo.

Quando venne annunciato il nome di Kristen Stewart come interprete di Diana, molti furono delusi a causa di una scarsa somiglianza fisica e del fatto che l’attrice non fosse inglese e che quindi il suo accento sarebbe stato, a prescindere dalla preparazione per il ruolo, forzato. Kristen Stewart, tuttavia, spesso l’unica interprete in scena, è più che capace di portare sullo schermo tutti i manierismi di Diana, senza mai cadere nella caricatura, e riuscendo a farla sua, nella sua disperazione e nei suoi fugaci attimi di respiro.

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