Nel descrivere Enea nelle note di regia che ogni anno vengono pubblicate sul sito della Biennale in accompagnamento alla presentazione dei film, il suo regista Pietro Castellitto sceglie di fare un’operazione di sottrazione, partendo da quello che la sua opera seconda, dopo la vittoria de I Predatori come miglior sceneggiatura ad Orizzonti, non è: “Enea è un gangster movie senza la parte gangster. Una storia di genere senza il genere”.

Enea è, soprattutto, un film senza un reale filone narrativo, una corsa veloce e feroce tra le strade della Roma bene, che vorrebbe dare un’immagine dell’ennui della borghesia, dei limiti che questa impone a cui prova a creare il suo destino, ma finisce per accartocciarsi in contraddizioni e in un citazionismo continuo e fine a se stesso.

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Come ne I Predatori, Castellitto sceglie di mostrare la Roma che meglio conosce, che affronta, più che come l’eroe greco di cui porta il nome, come un novello Jay Gatsby grazie a feste eccessive fatte di fasti, vestiti di piume, fiumi di droga e canzoni pop italiane. Lo fa al fianco dell’amico di sempre Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio, in arte Tutti Fenomeni), da poco diventato aviatore, suo compagno di vita, gioia, dolori, passioni e velocità. Attorno a loro girano le loro famiglie e i loro amici, anime perdute e colpevoli in una città che sembra sul punto di distruggere qualsiasi cosa le si presenti davanti.

In una scena del film, a Celeste, padre di Enea (anche nella vita vera, essendo che si tratta di Sergio Castellitto), viene chiesto di raccontare cosa anima la sua rabbia, vista come motore unico di ogni essere umano. Enea si inserisce bruscamente nella conversazione, suggerendo che il vero collante di ogni famiglia sia piuttosto il rimorso: le proprietà non comprate, gli amori non inseguiti e tante altre negazioni che distruggono lentamente le persone e i loro rapporti. Celeste risponde di essere salvo da entrambe queste dannazioni perché proveniente da una famiglia povera. Così Enea prova ad aprire un discorso raffazzonato sulla classe a cui la sceneggiatura non dedica mai la giusta attenzione, persa in una continua ricerca di una nuova perla di saggezza da fornire al pubblico sotto forma di aforisma.

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Enea è un film che vuole essere molto di più di quello che realmente riesce a essere: la scrittura è troppo esile per dare una reale stabilità alla natura epica a cui vorrebbe aspirare, la fotografia cerca di strizzare l’occhio a registi del presente quali Yorgos Lanthimos e Ruben Östlund, ricalcando il loro stile ma anche alcuni motivi del loro cinema.

Se Enea è “un film sul desiderio di sentirsi vivi”, come ha spiegato Pietro Castellitto nel corso della conferenza stampa, la vita non è altro che l’opportunità di schiantarsi, di prendere fuoco, di autodistruggersi in ogni modo possibile. Rispetto a I Predatori, che nonostante le sue debolezze aveva una maggiore sicurezza narrativa, Enea è una giostra nauseante di eccessi, che nella sua ricercata magnificenza, finisce per continuare a cambiare faccia, senza trovare un’effettiva identità o uno stampo stilistico definito.

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