Fifa: tutte le rivelazioni dello scandalo

Sono partiti proprio ieri i discussissimi Mondiali di calcio in Qatar. Che si portano dietro, già dall’assegnazione da parte della FIFA della massima vetrina mondiale sullo sport più amato del mondo, una scia di scandali, sfociati recentemente anche nelle accuse all’Emirato di mancato rispetto di diritti umani e accuse per le condizioni di lavoro a cui hanno dovuto sottostare gli operai che hanno lavorato (in tempi record) alla costruzioni degli stadi che stanno ospitando le nazionali calcistiche del mondo.

Il 9 novembre Netflix ha rilasciato una nuova serie crime, FIFA: tutte le rivelazioni (nuovo episodio della serie antologica Uncovered) che sta riportando alla luce tutti gli scandali che hanno colpito la Federazione, mostrando come si tratti di un sistema corrotto e che si regge sullo scambio di favori e mazzette sin dai suoi albori. Dalle lotte interne per il potere agli intrecci con la politica internazionale per acquisirne sempre di più.

Tra testimonianza dirette di ex funzionari e dirigenti, interviste a giornalisti ed inquirenti che si occuparono dello scandalo, si torna indietro fino agli anni Settanta, quando alla presidenza FIFA arriva il brasiliano pallanuotista João Havelange, fautore del nuovo corso della Federazione e dell’inizio del sistema di corruzione che la coinvolge e che lo costringe, nel 1998, a siglare un accordo privato con la FIFA per non essere denunciato alle autorità. Ha così inizio l’era di Jerard Blatter, gerarca della Federazione dal fino al 2015. Quando le inchieste dell’FBI sul dilagare della corruzione interna lo portano alle dimissioni. Non prima di aver sostenuto e macchinato per rendere possibili tre assegnazioni per svolgere i mondiali dubbie: quella al Sud Africa, alla Russia e, infine, proprio al Qatar.

Tutto (quello che vuoi) chiede salvezza

Nel 2020, lo scrittore Daniele Mencarelli pubblica, per Mondadori, Tutto chiede salvezza, toccante autobiografia in cui racconta, quasi come se fosse un diario di autoanalisi, la settimana di ricovero coatto che visse da poco più che adolescente. Il romanzo gli valse il Premio Strega Giovani.

A due anni di distanza, Netflix affida allo sceneggiatore e regista Francesco Bruni la trasposizione seriale di quella toccante testimonianza. Caso più unico che raro nel panorama internazionale, dopo 4 settimane il titolo è ancora nella top 10 tra quelli più visualizzati sulla piattaforma. Il motivo di questo successo è chiaro e presto detto: i 7 episodi che narrano dei protagonisti della nave dei pazzi è la migliore serie italiana che si sia vista negli ultimi anni.

Francesco Bruni riesce ad avere con sé alcuni dei volti più validi del nostro attuale panorama attoriale. Portando alla ribalta un volto promettente come quello di Federico Cesari (protagonista, capace di regalare al suo Daniele quella fragilità mista a strafottenza che già era centrale nel romanzo e che diventa trainante nella serie). O confermando il valore di una Fotinì Peluso che avevamo già potuto apprezzare nel film, dello stesso regista, Cosa sarà. Ma la forza della serie sta anche nella scelta dei comprimari: da un incredibile Vincenzo Crea, nei panni di uno dei pazienti che anima la camerata ospedaliera; al professor Andrea Pennacchi, portato a rappresentare la maturità della follia. Senza dimenticare la straordinaria capacità di Raffaella Lebboroni e Filippo Nigro nel dare un volto umano al gelido sistema sanitario nazionale. Da sottolineare l’intensità emozionale trasmessa da Arianna Mattioli (toccante, capace con poche battute, ma espressioni che sembrano dirne mille), Lorenza Indovina e Michele La Ginestra, semplicemente perfetti nel portare in scena la rabbia che non riesce mai a coprire l’apprensione e la preoccupazione di una famiglia che si ritrova a dover combattere con lo squilibrio mentale di un proprio caro.

Allo stesso Daniele/Federico il compito di farci capire, da subito, con una sola frase il messaggio della serie: che cura c’è peì com’è la vita? Perché, se quelli che Daniele incontra in ospedale sono ‘fratelli offerti dalla vita’, che vivono tutti sulla stessa barca che naviga in tempesta, allora capiamo che il tentativo costante della società in cui viviamo di normalizzare le emozioni di tutti diventa vano di fronte alla consapevolezza che ognuno di noi, in quella nave dei pazzi ci naviga a vista ogni giorno. Non esiste cura per la vita. Solo voglia di viverla, con coloro che ci vengono offerti e che sanno accettarci.

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Ragazze vincenti – L’arte del reboot

Nel panorama contemporaneo, nel mezzo di una moria generale di idee originali, diversi autori hanno deciso di ripescare dal passato per creare sequel, prequel e tante altre sfumature di storie già rodate. Lo sceneggiatore e produttore Will Graham e l’attrice Abbi Jacobson si distanziano da quest’operazione con il loro reboot, o come preferiscono definirlo, re-immaginazione di Ragazze Vincenti, il cult firmato da Penny Marshall. Decidono di usare la storia di una piccola squadra di baseball, composta da sole donne formatasi a causa della partenza di tutti gli uomini per il fronte, per parlare dell’esperienza queer, del trattamento a cui erano soggette le persone nere, delle discriminazioni e delle difficoltà quotidiane nell’inserirsi da protagoniste in una società che fino a quel momento le aveva messe in secondo piano.

Il vero miracolo di Ragazze vincenti, rispetto a tanti progetti storici simili, è quello di non mostrare il passato come un luogo riservare solo alla sofferenza ma anche alla gioia, alla comunità. La rappresentazione in Ragazze vincenti non è mero tokenism, non si ferma a una sola entità che dovrebbe raccogliere su di sé un intero spettro di esperienze di vita. Qui Abby Jacobson e Will Graham hanno lavorato per mostrare persone con modalità estremamente diverse di vivere la loro sessualità e di esternarla verso l’esterno. Le discriminazioni son messe in secondo piano per dimostrare che tutti noi possiamo essere parte della storia anche se quasi mai son state raccontate le loro vite.

Undone – Frammenti di affetti

Si pensa spesso che nel marasma delle produzioni l’autorialità possa avere un potere a dir poco salvifico. Un autore è un brand e un brand porta con sé una promozione quasi indipendente da quella che può fare la piattaforma di distribuzione. Per quello risulta strano che Undone, una serie Prime realizzata dagli stessi autori dietro a BoJack Horseman, Kate Purdy e Raphael Bob-Waksberg, sia stata praticamente ignorata dal grande pubblico.

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Dopo essere sopravvissuta a un tragico incidente stradale, Alma (Rosa Salazar) scopre che la sua percezione della realtà è cambiata. Può spostarsi nel tempo e nelle dimensioni e per questo suo padre (Bob Odenkirk), morto tempo prima, le chiede di investigare la sua morte. Attraverso la tecnica del rotoscope Undone sembra voler creare un’esistenza frammentaria e alterata, in cui il quadro generale rappresenta la verità ma piccole modifiche rendono il tutto disturbante e irrequieto. Undone si discosta dai toni sarcastici di BoJack Horseman per concentrarsi sull’esperienza femminile con toni più malinconici, guardando, soprattutto nella seconda stagione, al modo in cui i traumi si tramandano nel corso degli anni.

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