“C’é un selftape da fare, ti ho girato la mail” diceva il mio agente Valerio Ceccarelli. Descrizione del personaggio: “Anna Galinda. Misteriosa donna milanese. Conduce una doppia vita e attorno alla sua figura si costruisce un intricato delitto. Oggi la cronaca la definirebbe una escort di lusso.” Mi gaso in un secondo. Una manciata di minuti dopo ho già le scene stampate in una mano, la matita e l’evidenziatore verde per cominciare a studiare nell’altra. Ed in testa l’idea precisa di me, sexy come non mai, che salgo su quel taxi e mi allontano con Carlo Monterossi verso il centro di Milano.

Così scrive nel suo blog l’attrice e regista Miriam Previati parlando dei primi passaggi che l’hanno portata a diventare una delle protagoniste di Monterossi, serie tv per la regia di Roan Johnson e prodotta da Palomar in collaborazione con Amazon Studios, da alcuni giorni disponibile su Amazon Prime Video.

Nato dalla penna di Alessandro Robecchi, quello di Carlo Monterossi (interpretato da un a tratti sottotono Fabrizio Bentivoglio, probabilmente un attore che non sarebbe stato scelto dai fan del personaggio letterario che avrebbero preferito un interprete più giovane e dinamico) è un personaggio anomalo nel mondo della narrativa gialla italiana. Non un funzionario di pubblica sicurezza, non un commissario di polizia né un indagatore professionista. Monterossi è un dandi, che vive nell’agio e tra i privilegi che gli sono garantiti dalla sua professione di autore di un programma tv di successo. Non si vergogna a definire l’emittente per la quale lavora la fabbrica della merda, consapevole del fatto che di grandi inchieste giornalistiche difficilmente si parlerà in Crazy Love per il quale scrive gli episodi. Una trasmissione che è un misto tra Verissimo e la peggior tv trash che lucrano sui sentimenti dei protagonisti. Carlo sarebbe anche stanco di dover firmare ed avvalorare quel tipo di intrattenimento. Ma l’insistenza della sua agente e le pressioni della potente presentatrice Flora (una Carla De Signoris a volte sopra le righe, ma convincente nel rappresentare la spregiudicatezza di un certo tipo di presentatrici del dolore) lo porteranno a restare. Sopporta il tutto grazie al supporto di due suoi giovani collaboratori, Oscar (Luca Nucera, capace di una buona interpretazione per questo investigatore un po’ sgangherato e dal passato misterioso) e Nadia (Martina Sammarco, una delle migliori sorprese di questa serie, che ha nelle interpretazioni al femminile uno dei principali elementi di forza).

La sua vita verrà sconvolta da un tentato omicidio ai suoi danni, che lo porterà ad entrare sempre più spesso a contatto con il commissariato diretto dal Commissario Cristina Gregori, facendo entrare nella vita di Monterossi alcuni personaggi che diventeranno sempre più fondamentali come gli ispettori Ghezzi e Carella e l’agente Sannucci. Il tutto sotto le insistenti note di Bob Dylan (interessante il modo scelto dal compositore e produttore tedesco Ralf Hildenbeutel di mixare contributi dalle canzoni più volte richiamate dal personaggio letterario con brani originali composti per la serie)

La prima stagione presenta 6 episodi, equamente divisi a metà nel raccontare due storie tratte da altrettanti libri di Robecchi: Questa non è una canzone d’amore e Di rabbia e di vento. Dalla quarta puntata incontriamo il personaggio per il quale Miriam Previati è stata convinta a tentare il provino. E proprio con lei abbiamo voluto parlare, per farci raccontare di più della sua misteriosa Anna

Anna Galinda incontra Carlo Monterossi in un luogo e momento particolari. Come ti sei posta nel cercare di dare al tuo personaggio comunque la giusta sensualità mista a quel mistero che lo caratterizza?

Preparare Anna Galinda è stato un lavoro intenso e certosino, ho cercato di recuperare una sfumatura alla volta andando nel mio profondo, per poi mescolare il tutto durante le riprese. Anche perché spesso sul set si inseriscono nuove visioni e verità da dover utilizzare (una scelta del regista, gli imprevisti, il mio stato d’animo in quel momento, ecc). La sensualità l’ho costruita allo specchio, ben vestita e truccata, ballando ore ed ore canzoni selezionate appositamente per questo ruolo. La fragilità (anche questa molto importante per lo svolgersi della vicenda, avendo toccato nel profondo Monterossi) l’ho ricostruita immergendomi emotivamente in alcuni momenti del passato che potevano essere affini a quelli di Anna. Il mistero è dato dal lavoro sul testo e dalla fantasia: prima di rispondere con le parole delle battute, il mio cervello rispondeva con altre parole, sottoforma di pensieri (i segreti del personaggio) creando questa atmosfera sospesa. È stato uno splendido viaggio di cui sono molto orgogliosa! 

Miriam Previati sul set della serie tv Monterossi (ringraziamo Miriam per averne autorizzato l’uso)
Hai poche scene, ma il cercare di comprendere chi sia davvero Anna e come rendere onore alla sua memoria sono apicali nella narrazione. Questo ha influito nella tua interpretazione?

Prima di iniziare a girare ho letto il libro “Di rabbia e di vento” da cui è tratto il capitolo che mi riguarda, per avere fin da subito un’idea completa del mio personaggio, anche se effettivamente ne avrei rappresentato solo l’ultima serata con Monterossi. Non capita spesso la fortuna di poter avere un quadro completo, il mio background di personaggio. Su questo ho costruito la mia Anna, immedesimandomi nel suo vissuto. Ma devo dire che il bello del cinema è che lo spettatore crede ciò che vede e sente, quindi molto merito lo voglio lasciare anche alla ottima scrittura della sceneggiatura: io mi sono limitata a portare Anna in quell’ultimo incontro, il resto è venuto da sé! 

Quanto conta e ha influito la serialità nella tua carriera?

Conta moltissimo, e sta continuando ad influire molto. La possibilità di partecipare a questi progetti seriali è sia un’ottima gavetta (per me che ho iniziato questo mestiere solo 5 anni fa) che un ottimo trampolino di lancio in termini di visibilità lavorativa (la possibilità di essere riconosciuta dalle maestranze dello spettacolo che possono nuovamente ricercarmi e selezionarmi per altri lavori: casting, registi, autori, produttori ecc), sia per l’approvazione del pubblico a casa, che è sempre bello perché è un circolo di amore. Parlando di Monterossi nello specifico, è stato per me importantissimo arrivare su piattaforma con una grande produzione ed un grande regista, in un cast quasi totalmente di nomi importanti. Non è poco per chi vuole fare questo mestiere, è un enorme step per me e ne sono enormemente felice e grata! 

Dallo scorso anno hai iniziato una nuova avventura: quella di regista. Tuo il cortometraggio Mi chiamavo Eva. Come è arrivata l’esigenza di cimentarti dietro alla macchina da presa?

Sono stata sempre molto inventiva, ho sempre scritto fin da piccola racconti, fiabe, piccoli soggetti, qualche breve sceneggiatura.. A cui, nonostante io sia molto autocritica, ho sempre dato molto valore. E mi dispiaceva tenere tutto nel cassetto.  Entrata nel mondo del cinema ho capito che la mia creatività poteva essere sviluppata anche a livello visivo. Inoltre per me è molto facile pensare alla “messa in onda” di qualcosa che scrivo o che leggo, o anche che semplicemente immagino, e sono una persona anche molto organizzata e pratica (doti importanti per mettere in piedi un progetto). È stato tutto molto semplice, devo dire. Anche se non mi metto sicuramente al livello di chi ha studiato per questo titolo.

Quella di Eva è una storia importante. Un racconto dall’infinita delicatezza, quasi poetico, per parlare di una tematica molto importante. Vuoi parlarcene e raccontarci perché hai voluto usare il cinema per parlarne?

Sviluppare visivamente ciò che scrivo per me è molto importante. Penso che alcuni ragionamenti ed idee che metto in piedi sia opportuno farle circolare perché possono fare bene agli altri. Eva parla di una problematica distribuita a macchia d’olio in tutto il mondo ormai da diverso tempo, il Revenge porn, e credo sia indispensabile e necessario sensibilizzare più gente possibile, soprattutto i giovani. La fragilità dei giovani mi tocca molto, in generale. Spero con l’audiovisivo di riuscire ad entrare meglio nel loro mondo, cercando di farli empatizzare con i protagonisti di cui scrivo. Vorrei metterli  in allerta, in qualche modo migliorare la loro vita. Perché mai come in questi anni sono abbandonati a loro stessi, eppure.. sono il nostro futuro. 

Il tuo lavoro, in tutti i festival a cui hai partecipato, ha sempre avuto un forte impatto con il pubblico. Cosa ha rappresentato per te? E chi pensi siano le persone che dovrebbero assolutamente vederlo?

Il successo avuto con il pubblico si declina nella enorme necessità delle persone di parlare di determinate problematiche, di aprire dialoghi e di non vergognarsi a parlare di sesso e sessualità, che anche nel 2022 sembrano tabù tra giovani ed adulti. Spero di riuscire a distribuire queste idee nelle scuole, anche primarie. Vorrei raggiungere più giovani e giovanissimi. Non con Mi chiamavo Eva purtroppo perché questo è già stato bollato come “troppo esplicito” e viene bloccato alla visione degli under 14.. Ma è proprio qui che bisognerebbe iniziare a fare prevenzione. Addirittura entro i 10, 12 anni. Dove tutto comincia (e ne sto raccogliendo molte prove!!)

Per i tuoi prossimi progetti ti vedremo ancora in equilibrio tra dietro e davanti la telecamera?

Lo spero di cuore! I progetti come attrice proseguono e non ne sono mai sazia. È un amore-odio quello per questo lavoro che mi tiene viva e al quale non vorrei mai rinunciare. Amore perché sono la mia soddisfazione personale più grande, odio perché è davvero un mestiere complicato che ti mette davanti a quotidiane difficoltà emotive. Ma oggi ci sono, e sono pronta ad affrontarle! Come regista ed autrice procedo invece a passo più tranquillo e spedito perché al momento lo vivo ancora come un gioco ed un divertimento. Al momento sono alle prese con la scrittura di un film lungo dove questa volta rimarrò solo dietro la camera. Un film che parla di differenze che alla fine diventano uguaglianza.. Di culture diverse, scelte da dover affrontare, e di amore, ovviamente. Sarà la prima volta su richiesta esterna di un produttore e sono molto entusiasta.

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