Nessun posto è bello come casa mia”: quando queste parole venivano pronunciate da Dorothy ne Il mago di Oz, rappresentavano la nostalgia e la bellezza incontrastata di quel luogo chiamato casa. È solitamente un posto a cui l’uomo è affezionato, non solo per le persone che lo abitano insieme a lui, ma anche per le difficoltà che spesso hanno accompagnato la sua acquisizione. La casa non è solo un edificio, ma una vera e propria estensione del singolo, aiutando a definire ad esempio il suo status sociale ma anche lasciando trasparire la sua personalità con il suo mobilio.

The House, la nuova serie antologica animata di Netflix, distribuita però come un unico film diviso in tre capitoli, ha come unico fil rouge un edificio. Nel primo episodio, è stato appena appena costruito su una collina e rappresenta il massimo lusso che la zona è capace di offrire. Nel secondo, lo troviamo imprigionato in una via cittadina tra mille altre case e nell’ultimo, è invece l’unica struttura rimasta in superficie in un mondo ormai ricoperto d’acqua. Partendo dalla sceneggiatura di Enda Walsh (Hunger), i registi dei singoli episodi interpretano la casa del titolo come un mondo a parte che rischia di inghiottire dentro di sé i suoi abitanti. Netflix presenta The House come una dark comedy, ma sarebbe più corretto definirla una malinconica e disturbante riflessione sulle possibili trappole che nasconde il luogo dove l’uomo dovrebbe sentirsi più a suo agio.

the house netflix recensione

Il primo segmento intitolato “And Heard Within. A Lie Is Spun”, diretto dal duo belga Emma de Swaef e Marc James Roels, presenta al pubblico l’architetto della casa: l’altezzoso Mr. Van Schoonbeek (Barnaby Pilling). Il suo assistente convince Raymond (Matthew Goode), il patriarca di una povera famiglia dei dintorni a trasferirsi insieme alla moglie Penny (Claudie Blakely) e le figlie Mabel (Mia Goth) e Isobel nella villa senza dover pagare un centesimo. C’è solo un apparente inganno: la casa rimarrà oggetto di continue modifiche da parte degli operai. Se l’edificio presenta degli evidenti vantaggi, come dispense infinite di cibo e un’illuminazione sorprendente per l’epoca in cui la storia è ambientata, è anche vero che un giorno le scale spariscono all’improvviso, impedendo così alle bambine di visitare i loro stessi genitori mentre l’assistente dell’architetto sembra cadere in un vortice di stanchezza e pazzia. I personaggi sono gli unici dell’antologia ad essere umani: le loro proporzioni sono realistiche, ma i tratti come occhi e bocca sono rimpiccioliti e ammassati al centro del viso. L’atmosfera disturbante tuttavia si dissipa presto in una narrazione, che tranne alcuni momenti, segue un percorso estremamente prevedibile.

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Con “Then Lost Is Truth That Can’t Be Won” diretto dalla regista svedese Niki Lindroth von Bahr, ci spostiamo dall’Inghilterra dell’800 al giorno d’oggi e dal mondo degli umani a uno abitato solo da topi antropomorfi. Il protagonista, un agente immobiliare con la voce di Jarvis Cocker, prova a vendere una casa, ma nonostante i suoi stancanti lavori di ristrutturazioni, un’infestazione di insetti (protagonisti anche di un bizzarro numero musicale) continua a non lasciargli tregua. Un giorno però due topi si dichiarano estremamente interessanti all’edificio e in particolare a vedere la stanza da letto. Con le loro frasi ipnotizzanti e i loro modi di fare disturbanti, presto si impongono la loro volontà su quella dell’agente immobiliare. Il capitolo di Niki Lindroth von Bahr mette in diparte le atmosfere più tipicamente gotiche per preferire una commedia assurda e angosciante, aiutata anche dai design esagerati dai personaggi.

L’episodio conclusivo dell’attrice e regista inglese Paloma Baeza, “Listen Again and Seek The Sun”, si discosta completamente dai precedenti: non vuole incutere timore o inorridire, ma piuttosto dimostrare il rapporto di amore e devozione presso la propria casa. Il mondo sembra immerso nell’acqua e il cielo si è ridotto a una debole nebbia rosa. Solo la casa di Rosa (Susan Wokoma), un gatto soriano, sembra rimanere in piedi, ma lei lamenta soprattutto di non possedere i soldi per la ristrutturazione che tanto desidera svolgere, visto che i due attuali inquilini Elias (Will Sharpe) e Jen (Helena Bonham Carter) la pagano rispettivamente con pesci e cristalli. Se loro pensano presto alla fuga vedendo le condizioni in cui riversa il mondo, Rosa preferisce preservare la casa. È il momento in cui I temi dell’antologia emergono veramente per la prima volta, in modo lucido e sentito e non soffocato sotto scelte narrative poco convincenti o assurdità che vogliono solo disturbare lo spettatore.

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The House è un esperimento interessante per Netflix che dimostra di fare attenzione anche all’animazione in stop-motion e non solo a quella digitale, inseguendo il modello Disney. È un progetto che meritava una struttura più precisa, più coesa: il fatto di aver unito tre cortometraggi, che vedono come solo punto in comune la presenza di una casa, in un unico film rischia di confondere più che di intrattenere. Se da un lato diventa una sorta di trappola per convincere anche lo spettatore più lontano dal cortometraggio ad avvicinarsi a questo mondo, dall’altro sarebbe stato più funzionale per i singoli capitoli essere riuniti sotto l’etichetta di serie e diventare così fruibili singolarmente, senza costringere alla convivenza storie tematicamente lontane.

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