Il grigio e il blu, i colori del lavoro operaio, dominano questo documentario croato che narra l’ultimo anno di vita di una fabbrica di macchine utensili. Siamo a Ivanić, una città vicina a Zagabria, nel 2019. Qui negli anni Settanta venne costruita l’ITAS, una unità produttiva che contava circa duemila operai, metalmeccanici. L’azienda era autogestita, secondo il modello di Tito, e operava in regime di mercato protetto. La fine del socialismo e l’esposizione al libero mercato logorarono sempre di più la fabbrica, minacciata di chiusura nel 2008 e salvata dopo una protesta strenua da parte degli operai, che ne divennero proprietari e azionisti. Quindi inizia una lunga agonia, la diminuzione continua delle maestranze, la disorganizzazione, la concorrenza del mercato globale, i debiti.

Protagonista instancabile nel suo disperato tentativo di tenere vivo questo corpo in agonia è Dragutin Varga, capo officina e rappresentante dei lavoratori, nel ruolo di sé stesso. Ha una presenza scenica impressionante, il bel volto di antica sapienza, di quando l’idea del lavoro comprendeva il concetto di dignità, estremo esponente di quella che un tempo si chiamava aristocrazia operaia. Deve lottare contro i giovani che aspettano solo di trovare un posto migliore per andarsene e contro gli anziani, sempre più delusi dal progetto di autogestione che sta scappando da tutte le parti. Il suo antagonista è il direttore, accusato di incapacità, malversazione e poi cacciato.

L’ultimo anno di lavoro è ricostruito con fedeltà, con gli operai e le operaie grandi interpreti di sé stessi. Toccante la cerimonia dell’8 marzo, quando le lavoratrici vengono convocate, viene ricordata l’origine di quella che non è una festa ma una commemorazione, poi viene loro regalata una rosa, viene offerta una torta (il pane e le rose) e un regalo ben confezionato. Aspri i continui confronti tra lavoratori, espressi con toni duri ma pacati, e ancora più conflittuali gli attacchi al direttore. Si apprezza il coraggio di raccontare una storia di lavoro, di rievocare i fantasmi degli operai che sono spariti dalla nostra vita quotidiana. Ci sono ancora, ma muti e invisibili, quasi negati, come se l’etica e l’estetica della fabbrica appartenesse a un passato sconveniente.

Tvornice radnicina (La fabbrica dei lavoratori) – vincitore del Premio Alpe Adria Cinema 2022 per il Miglior Documentario al 33° Trieste Film Festival e attualmente disponibile nella piattaforma dedicata su MY.movies.it – funziona sia come storia che come testimonianza, commuove e fa riflettere, descrive con chiarezza e rapidità il declino della fabbrica tradizionale e la perversione del lavoro globalizzato. Girato quasi tutto con primi piani, scava dentro caratteri e personalità, si sofferma brevemente su alcune immagini simboliche (i cataloghi dell’azienda nei favolosi anni Settanta spezzano il cuore, i calendari murali, i tavoli sempre ingombri di utensili e carte), inquadra gli spazi del lavoro senza compiacimenti così come sono, grigi e anonimi. Srđan Kovačević ha impiegato cinque anni per girare il suo documentario, il cui finale sospeso lascia però poche speranze per una soluzione positiva sul futuro della fabbrica.

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