Uscito alla metà di dicembre 2021, inizialmente schiacciato dall’incredibile successo al botteghino di Spider-Man: No Way Home, ancora in alcune sale cinematografiche è possibile trovare House of Gucci, adattamento cinematografico dal libro House of Gucci. Una storia vera di moda, avidità, crimine di Sara Gay Forden, con cui Ridley Scott intende ripercorrere le vicende che portarono, nel 1995, Patrizia Reggiani ad essere accusata di aver assoldato dei sicari per uccidere Maurizio Gucci, suo marito nonché Presidente della nota casa di moda Gucci.

Un mistero ed un’intricata vicenda giudiziaria tutta italiana quella che ha coinvolto Casa Gucci. Come difficile fu l’inchiesta, partita nel 1995 dopo l’omicidio davanti alla sua abitazione di Milano di Maurizio Gucci, che portò, solo due anni dopo, all’arresto dell’ex moglie Patrizia Reggiani, accusata di essere la mandante dell’omicidio del Presidente della casa di moda, da cui scaturì una condotta a 26 anni di carcere per quel delitto e la sua uscita per buona condotta nel 2016. La Vedova Nera (così venne definita dalle cronache dell’epoca), sia durante il processo che nel corso dei suoi anni di detenzione, ha sempre continuato, nonostante le schiaccianti prove presentate, a professare la propria innocenza.

Girato prevalentemente in diverse location italiane, Ridley Scott costruisce un cast di all stars per la sua ricostruzione cinematografica della vicenda Gucci, analizzando non solo i risvolti che hanno portato dal tragico delitto di Maurizio Gucci, ma cercando di ricostruire anche il successo ottenuto a cavallo tra gli Anni ’80 e gli Anni ’90, le complesse dinamiche familiari che hanno fortemente influito sulle frequenti scalate aziendali fino a lambire le questioni finanziarie ed organizzative interne, che hanno portato la Famiglia Gucci a perdere il controllo sulla nota casa di moda.

In House of Gucci si sceglie di far partire la narrazione dal travolgente (anche se forse non poi così casuale) incontro tra Patrizia Reggiani (una Lady Gaga che ha fatto discutere per il marcato accento – non propriamente italico – con cui ha caricato tutta la sua interpretazione, ma che è in odore di nomination ai prossimi Academy Awards per la stessa), responsabile delle attività di segreteria della piccola azienda di autotrasportatori paterna, e Maurizio Gucci (Adam Driver, reduce quest’anno, sempre con Ridley Scott, del cruento ruolo di Jacques Le Gris ricoperto in Last Duel), rampollo prediletto dell’azienda di moda di famiglia nonostante, inizialmente, cerchi di allontanarsi dalla sua gestione. La passione tra i due sarà immediata, portando Maurizio ad allontanarsi dalla sua famiglia pur di poter rafforzare il legame con Patrizia, arrivando a sposarla nonostante il forte parere contrario del padre, Rodolfo Gucci (un Jeremy Irons decisamente sottotono, costretto ad un recitazione artefatta a causa di un personaggio descritto in modo fastidiosamente esasperato nelle sue fobie psichiche). Sarà poi, invece, proprio la neo-sposa a cercare di convincerlo non solo ad un riavvicinamento, ma ad entrare sempre più con mansioni apicali nella struttura aziendale. Portandolo, una volta deceduto il padre, ad assumere il controllo totale di Gucci, fino all’estromissione di tutti gli altri membri della famiglia. Solo il tradimento di Maurizio e l’entrata nella sua vita di una donna più giovane, per la quale deciderà di chiedere il divorzio dalla moglie, farà nascere in Patrizia un turbine di gelosia ed odio. Che culmineranno nella ricerca, grazie alla veggente ed amica Giuseppina Auriemma (è quasi irriconoscibile in questo ruolo Salma Hayek, relegata ad un personaggio minore nella struttura narrativa scelta da Scott, ma che perde nel sottovalutare il reale ruolo della donna nella vicenda), dei sicari a cui affidare l’omicidio di Maurizio, cercando così di salvaguardare il proprio status quo minato dalla separazione dal Patron di Gucci.

Oltre ai già citati, ad accompagnare i protagonisti nelle varie fasi della vicenda troviamo il consulente storico della famiglia Gucci, Domenico De Sole (Jack Huston), ad rappresentare la spietatezza di un sistema aziendale più vicino al conseguimento delle proprie mire finanziarie individuali che non ad un assetto valoriale della casa di moda e Tom Ford (un poco credibile Reeve Carney, che non riesce a dare giustizia al fascinoso stilista ed imprenditore americano), chiamato a personificare non solo l’avvio della fine della Famiglia Gucci nel management aziendale, ma anche il nuovo corso che la casa di moda percorrerà nella sua nuova era.

Capitolo a parte nel racconto delle interpretazioni (non propriamente eccelse) che compongono il cast di House of Gucci, abbiamo i personaggi di Aldo Gucci (Al Pacino), zio di Maurizio nonché, fino al suo arrivo ai vertici in azienda, amministratore delegato di Gucci, e di Paolo Gucci (Jared Leto), figlio di Aldo, con improbabili idee stilistiche (in realtà, seppur indicate come volgari rispetto all’eleganza imposta dal marchio di allora e sgraziate a causa di un’eccessivo ricorrere a nuance pastello, tendenzialmente vengono presentate come sono ora le linee delle recenti collezioni Gucci) e la velleità di diventare il nuovo stilista di punta della casa di moda di famiglia. Purtroppo, sia quella di Pacino che quella di Leto (a cui, almeno, riconosciamo una sempre costante ed incredibilmente camaleontica dote di stravolgere il proprio fisico al servizio del ruolo ricoperto), risultano interpretazioni esasperate, mai perfettamente centrate, a volte stridenti con il contesto e la compostezza propria, invece, dei personaggi che sono chiamati a interpretare.

Ma House of Gucci non può essere giudicato come un totale insuccesso. Prima di tutto perché, in una stagione cinematografica complessa e tribolata come quella che ha accompagnato le uscite sotto le festività natalizie 2021, ha avuto il merito di coinvolgere gli spettatori in una visione che andasse oltre la rassicurante prestazione del nuovo prodotto targato Marvel che ha portato il nuovo Spider-Man ad essere il miglior incasso mondiale 2021 in termini di incasso al botteghino. Ma anche perché con il suo film Ridley Scott ci offre una visione su quella che è stata considerata come una delle famiglie più potenti nel mondo della moda milanese, prima, e mondiale in generale. Una rappresentazione forse spesso marcatamente stereotipata (non sono passate inosservate le aspre critiche che traspaiono al sistema dell’evasione fiscale e della spregiudicatezza fiscale nel nostro Paese), ma che riesce a far rievocare nello spettatore le tradizionali immagini della Milano bene e da bere che quegli anni hanno saputo rappresentare nelle cronache (mondane e non solo) nostrane.

Inoltre, il film non manca di cercare di fornire elementi di analisi e conoscenza aggiuntivi su una vicenda ancora per troppi aspetti oscura come quella dell’omicidio di Maurizio Gucci, cercando di dare una nuova immagine a Patrizia Reggiani. Presentata qui non solo come spietata mandante per interesse economico dell’uccisione del marito. Ma anche come donna capace con la sua intelligenza di manovrare uomini ai vertici apicali di un’importante azienda mondiale e di guidarne le azioni stesse. Trascinando tutti, lei compresa, in un baratro di gelosie, follia e disperazione.

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