Presentato in anteprima ad Alice nella città, da stasera in alcune sale di Milano, Roma e Torino e dal 2 novembre in tutta Italia, grazie alla distribuzione di Fandango, arriva La Guerra del Tiburtino III, un film che regala un incredibile equilibrio tra sci-fi e commedia, che già aveva caratterizzato il precedente Go home, l’esordio della sua regista, Luna Gualano.

Alieni di borgata

Parlando del suo film, nelle note di regia Luna Gualano dichiara:

La Guerra del Tiburtino III nasce da una commistione di generi, nello specifico lo sci-fi dalle tinte cupe e la commedia, mescolando due chiavi narrative solo apparentemente distanti tra loro: quella del tipicamente sci-fi e quella della comedy. L’impianto narrativo del film si basa su due filoni cinematografici ampiamente collaudati, come quello dell’infiltrazione aliena (come, ad esempio, lo stranoto L’invasione degli ultracorpi, Essi Vivono di John Carpenter o, per avvicinarci un po’ di più ai nostri giorni, la serie tv/cult
americana BrainDead) e quello che potremmo definire della commedia politicamente scorretta.

Come già aveva fatto in passato, la Gualano usa il genere per parlare della società. E il suo cinema è una sferzata allegorica alla società italiana odierna, alla sua incapacità di rispondere ai bisogni dei propri cittadini e allo stato di abbandono, politico e culturale, in cui vertono le periferie delle città.

Non è, infatti, casuale la sua scelta di ambientare una Guerra in uno dei quartieri meno noti della periferia Est di Roma: il Tiburtino III. Rione costruito interamente tra il 1974 e l’inizio degli anni Novanta, il grigiore dei condomini in cemento armato sono il luogo di una borgata che vive di espedienti, tenuta forzatamente ai margini di una società che si ostina a non voler vedere. Sempre Luna Gualano afferma:

La visione della borgata non è edulcorata, ma è resa per quello che è: un microcosmo all’interno del quale quasi tutti i personaggi si muovono con disinvoltura e familiarità. I protagonisti sono i delinquenti e gli emarginati, e spesso hanno davvero ben poco di eroico nei loro comportamenti. Tutto questo in un sincretismo continuo di azione, fantascienza, risate ed elementi horror e sociali. La scelta di ambientare il film in una borgata romana tra le meno conosciute, risponde sia a esigenze narrative che estetiche. Gli edifici disposti in linea sono prevalentemente di colore grigio, alti dai 4 ai 7 piani, costruiti in cemento armato e pannelli prefabbricati. Gli esterni grigi e impersonali fanno da contraltare agli interni, colorati e
composti da un patchwork di epoche e stili: accostamenti improbabili frutto del risparmio, mobili e accessori tramandati dai nonni o semplicemente recuperati in strada, elementi moderni e vintage che si fondono assieme senza soluzione di continuità.
Gli abitanti del quartiere “infettati” dalle creature extraterrestri, iniziano a comportarsi in modo strano, arrivando a erigere barricate intorno al loro territorio per isolarsi. E rimane intrappolata nel quartiere una famosa fashion blogger, che in confronto agli abitanti del Tiburtino III sembra provenire da Marte. Ma i veri alieni sono altra cosa. Gli alieni sono quelli che vogliono dividere e innalzare muri. Ciclicamente ricompaiono nella società e sta a noi avere la prontezza di riconoscerli.
guerra del tiburtino III film

Quando il genere è donna

Un po’ aliena lo è anche la stessa Luna Gualano. Non solo per il suo continuare a seguire quei riferimenti cinematografici che rendono i suoi film affini al filone sci-fi anni Settanta, senza disprezzare quell’aurea da B movie che ha caratterizzato la filmografia del genere. Ma anche perché lo fa in un contesto come quello attuale in cui essere donna di cinema sembra una missione impossibile.

Lei stessa pone e chiarisce la questione, affermando:

Le donne dovrebbero sentirsi libere di narrare qualsiasi storia e creare qualsiasi tipo di personaggio, senza sentirsi obbligate a raccontare tematiche considerate “femminili” dalla società. In un mondo ideale non dovrebbe importare a nessuno se dietro una macchina da presa ci sia un uomo o una donna. L’importante dovrebbe essere il risultato, non il genere di chi lo ha creato. Purtroppo, però, il nostro non è un mondo ideale, e la realtà ci insegna che c’è ancora molta strada da fare per raggiungere una parità ideale in termini di rappresentanza.

Il risultato si vede tutto in La Guerra del Tiburtino III, in cui la costante voglia di arrivare alle nuove generazioni si accompagna alla scelta di un linguaggio che punta volutamente ai giovani: fatto di gergo volgare e accentuato romanesco che sono apicali nella comunicazione tra i protagonisti del film come tra gli spettatori. Un invito a non sottovalutare questi giovani, il loro modo di comunicare e di far sentire la loro voce. Di non relagargli a ciò che di loro pensiamo di intravedere in pochi minuti di un video su TikTok. Ma di comprenderne le paure e il disagio di vivere in una società che pare non disposta ad ascoltare le loro istanze. Anche per questo, La Guerra del Tiburtino III ci porta nell’orrore della fantasia, trasformandolo in metafora dell’orrore sociale dei nostri giorni.

E piace questo rinnovato coraggio delle registe italiane di non accettare di farsi relegare ad una narrazione che sia solo romanzo o commedia. Lo dimostra Luna Gualano con questo film. Lo abbiamo visto fare, negli scorsi mesi, a Lyda Patitucci con l’action movie Come pecore in mezzo ai lupi e a Laura Luchetti con la sua trasposizione cinematografica di Pavese in La bella estate (questi ultimi entrambi in concorso al V Premio Nazionale Elio Petri). Le Tre Elle del cinema italiano. Che ci fanno ben sperare in un futuro in cui le registe donna avranno sempre più possibilità e libertà di esprimere il loro lavoro.

guerra del tiburtino III film

La trama

Al Tiburtino III, nell’estrema periferia romana, un piccolo meteorite cade dal cielo e viene raccolto da Leonardo De Sanctis (Paolo Calabresi). Da quel momento, la monotona vita dell’uomo, la cui unica attività degna di nota per la sua famiglia sembra quella di portare a spasso il cane Boomer, cambia radicalmente. Trasformandolo in Regina, monarca assoluta della popolazione aliena che vuole conquistare quello strano mondo. Anche accettando di dover vivere momentaneamente in involucri così imperfetti come quelli umani. Sua moglie Marica (Paola Minaccioni) nemmeno si accorge dei cambiamenti nel comportamento del marito. È troppo impegnata ad accogliere le sue clienti nel salotto di casa, facendo concorrenza a Selene (Carolina Crescentini), sua acerrima nemica e proprietaria dell’unico salone di bellezza del quartiere.

Sempre messo in secondo piano, il figlio Pinna (Antonio Bannò), uno spacciatore del posto, che vive di piccoli espedienti, giri a vuoto in macchina con l’amico di sempre Panettone (Federico Majorana) e qualche Specialone servito al bancone della bisca di Chanel (Francesca Stagnì). Come se non bastasse un’invasione aliena, il quartiere viene sconvolto dall’arrivo di una persona che è quanto di più lontano si potesse immaginare già prima dalle logiche del Tiburtino III. Si tratta di Lavina Conte (Sveva Mariani), cittadina di Roma Nord e famosa fashion blogger, che segue l’improvviso e insolito hashtag #tiburtinoiii per cercare di riacquistare i follower perduti e salvare le sue sponsorizzate. A Pinna e a questo suo improbabile e sgangherato gruppo, il compito di salvare il mondo.

La recensione

Uomini che si muovono come automi tra le vie di un quartiere che è grigio dentro. Che sopravvivono succhiando batterie. Le cui interiora vengono infestate da vermi striscianti che arrivano da chissà dove. Donne che portano avanti la baracca, ma si sentono perse se non hanno un uomo affianco. Come se il loro stesso essere riconosciute dalla società dipendesse da quello. Ma che scoprono di avere in mano l’arma per salvare il mondo. E non hanno paura di usarla. Giovani che, da una parte, vedono nello spaccio il solo modo di tirare a campare e, dall’altra, che vogliono apparire per non doversi davvero guardare dentro.

Mondi agli opposti, che vivono barricati nelle loro diversità, incapaci di parlarsi. Barboni che bivaccano, offrendo esibizioni di Adriano Celentano per un euro di carità. Ragazze che devono accettare inconsapevoli ma costanti manifestazioni di razzismo nei propri confronti pur di tirare avanti. La Guerra del Tiburtino III sembra cominciata ben prima che un meteorite portasse tra i palazzi una forma di vita aliena. E sarebbe bello poter dire che la battaglia si esaurisca con i titoli di coda di questo bel film di Luna Gualano. Se non fosse così chiaro che quella guerra è parte intrinseca del vivere quotidiano nelle nostre città.

Nel creare il suo orrore di fantasia che parla della nostra società, Luna Gualano può affidarsi ad un cast di alieni. Da una parte, Paola Minaccioni e Paolo Calabresi. Attori che da anni lottano per mostrare che oltre ad una innata comicità hanno un’incredibile capacità di portare ai loro personaggi anche una incredibile velatura di malinconia, in un registro interpretativo mai banale. Dall’altra, capitanati da Antonio Bannò – che sembra diventato l’attore feticcio della Gualano e scelto anche questa volta per il fatto che pochi altri riescono a trasferire sul grande schermo tutta la fragilità della gioventù romana – un promettente gruppo di giovani attori. Tutti capaci di rispondere con dedizione alla richiesta di spensierato senso di spaesamento mista a voglia di non soccombere dei loro personaggi.

Che in tanti amici abbiano voluto credere in questo film lo si percepisce anche da alcuni camei eccezionali su cui La Guerra del Tiburtino III ha potuto contare. Dalle poche pose di un Francesco Pannofino, che viene infettato due volte finché non interviene la moglie a portarlo via. A una Carolina Crescentini più borgatara che mai, che vive in un mondo fatto di unghie laccate, voglia di seguire le nuove tendenze, seppure nell’incapacità di comprenderle.

E, semmai ci si chieda se e quanto la produzione della Mompracem abbia creduto in questo film, basti pensare al fatto che a Pier Giorgio Bellocchio spetti la parte del Ministro Paolone, chiamato a portare quell’aurea di qualunquismo un tanto al chilo a cui la politica italiana ci ha abituati. O al fatto di poter riconoscere i volti di Antonio e Marco Manetti (aka i Manetti Bros.) nei due alieni che aspettano in fila pippando batterie.

La Guerra del Tiburtino III è un film fatto di amici e famiglia. Anche per il fatto che, in co-sceneggiatura e alla colonna sonora la Gualano si fa affiancare da Emiliano Rubbi, suo compagno anche nella vita, con il quale sta costruendo un fruttuoso percorso cinematografico. E che offre al suo film delle sonorità particolari, che sanno unire il Theremin anni Cinquanta al punk hardcore più moderno.

Come già accaduto con il precedente film, anche La Guerra del Tiburtino III è impregnato di riferimenti ed elementi fortemente romani. Si pensi alla comunicazione media affidata a emittenti televisive locali o a quella Radio Rock che si esprime nella voce del direttore Emilio Pappagallo e che è casa di una striscia settimanale tenuta dallo stesso Emiliano Rubbi.

Ma nonostante il film emani romanità da tutti i pori, siamo fiduciosi del fatto che una attenta distribuzione di Fandango riesca a portare questi alieni di borgata in giro per tutto il paese. Dove il pubblico li aspetta.

Articoli simili