Da oggi, 13 luglio, arriva in sala Come pecore in mezzo ai lupi, un sorprendente e spietato action su cui la Groenlandia di Matteo Rovere (qui anche produttore esecutivo) ha voluto investire, producendolo in collaborazione con Rai Cinema e affidandone la distribuzione a Fandango.

Una vera scommessa. Perché, se per il soggetto e la sceneggiatura ci si è affidati al pluripremiato Filippo Gravino – che già con Rovere aveva collaborato per Veloce come il vento e Il primo Re, per la regia si è deciso di puntare su un’esordiente dietro la macchina da presa. A dirigere questo incredibile film di genere e a dimostrare che non solo il nostro paese può arrivare con successo a questo tipo di produzioni ma anche che ad occuparsene possa essere una regista donna, troviamo Lyda Patitucci. Che, definita da Benedetta Bragadina per Rolling Stone come la action woman italiana, si è formata come regista di seconda unità specializzata in scene di azione nei set cinematografici più adrenalinici degli ultimi anni: anche lei tra i creatori delle folli scene di corsa di Veloce come il vento, come per la scena dell’assalto al treno di Smetto Quando Voglio – Masterclass o durante le lotte nel fango di Primo Re, ma anche per le scene di calcio in Il Campione. Una prima esperienza direttamente dietro la macchina da presa la aveva avuta dirigendo alcuni episodi della serie Curon.

Ma è in Come pecore in mezzo ai lupi, sua opera prima, che Lyda Patitucci riesce a coniugare la sua esperienza nella gestione di un action movie a quello che reputa centrale nel suo ruolo da regista: i personaggi. Così, infatti, ha dichiarato:

In loro funzione si è concentrato il lavoro, mio e di tutti i preziosi collaboratori che mi hanno accompagnato in questa avventura. […] Due sono gli aspetti che hanno determinato il percorso della creazione di questi personaggi: da un lato l’emotività, i sentimenti alla base delle loro scelte, dall’altro la necessità di (farli) agire in maniera dinamica, credibile, nel contesto criminale in cui si muovono. Dualità che è la chiave stessa del film, sempre in bilico tra azione e relazioni

La trama

Vera (Isabella Ragonese) è un’agente sotto copertura della Polizia. Ha un carattere duro e in apparenza impenetrabile, temprato dai rischi della sua professione e segnato da un passato familiare doloroso. Viene incaricata di infiltrarsi in una banda internazionale di rapinatori, e scopre che uno di loro è suo fratello minore Bruno (Andrea Arcangeli), con cui ha rotto i rapporti da tempo.

Bruno è appena uscito di prigione, una ex moglie con problemi di alcolismo e vuole partecipare ad un colpo orchestrato dalla banda per ricominciare e rifarsi una vita insieme a sua figlia Marta. Dopo anni lontani, Vera e Bruno si ritrovano improvvisamente uno di fronte all’altra, in ruoli opposti e obbligati a mantenere il segreto che li lega. Riemergono ricordi sbiaditi di un’infanzia passata insieme. La consapevolezza di una felicità persa troppo presto. Di due strade che un giorno si sono separate e che le rispettive vite sembrano non riuscire più a far convergere.

Entrambi vivranno questo nuovo incontro con un senso di profonda fatalità. Consapevoli di essere destinati ad un futuro che li vedrà (forse) per sempre non protagonisti in grado di decidere della direzione da far prendere alle loro esistenze. Ma braccati dai fatti. Appunto, Come pecore in mezzo ai lupi.

Come pecore in mezzo ai lupi. La recensione

L’unica cosa che davvero conta, sono i personaggi

C’è un sottile equilibrio che lega le storie di tutti i personaggi. Tutti predestinati a ricoprire un ruolo che sembra non voluto quanto imposto dall’alto: da altri, dalla malattia, dai dettami religiosi, dalle dipendenze, dai rapporti familiari. Se è chiaro che tutti siano pecore incapaci di trovare spazio in un proprio gregge, allo stesso modo sembra evidente che ognuno di loro sia anche il lupo che li divora.

Parlando della costruzione dei personaggi e delle scelte di casting svolte, la regista Lyda Patitucci afferma:

Dalla prima lettura della sceneggiatura mi sono interrogata su chi fossero Vera, Bruno, Marta e tutti gli altri; sui loro caratteri, aspetto, le relazioni che li legavano, la maniera di comunicare o semplicemente di stare al mondo. Anche se raccontavo un momento preciso della loro vita, la necessità era quella di conoscere, o meglio immaginare anche il loro passato perché risuonasse nel film e fosse una base forte da cui partire, per farli muovere nella storia ed interagire fra loro in maniera profonda. Due sono gli aspetti che hanno determinato il percorso della creazione di questi personaggi: da un lato l’emotività, i sentimenti alla base delle loro scelte, dall’altro la necessità di (farli) agire in maniera dinamica, credibile, nel contesto criminale in cui si muovono. Dualità che è la chiave stessa del film, sempre in bilico tra azione e relazioni.
In parallelo ad un intenso lavoro di casting tra Italia e Balcani, abbiamo ragionato sul loro look e caratterizzazione, inizialmente in astratto poi, mano a mano che il cast si formava in maniera sempre più concreta. Ma è solo quando ho iniziato a lavorare con gli attori che i personaggi hanno preso forma e soprattutto vita, hanno iniziato ad avere esigenze, caratteristiche, aspetti che prima non erano neppure ipotizzabili e che hanno determinato le scelte della loro stessa rappresentazione. Mi sono messa al servizio loro e della storia, supportata da un gruppo incredibile di attori che si sono dati completamente, tanto dal punto di vista fisico che emotivo.

Sta proprio in questa costante tenuta in equilibrio tra azione e sentimento, tra scene di scontri fisici anche molto cruenti e delicati momenti di riscoperta di un rapporto sorella/fratello come nella dolcezza espressa da Bruno nel rapportarsi a sua figlia Marta il vero valore di Come pecore in mezzo ai lupi. La crudezza del genere impongono alla trama alcuni momenti in cui l’impatto della violenza può risultare quasi esagerata agli occhi dello spettatore. In particolare, una scena di un brutale pestaggio ai danni di Bruno e che hanno come drammatica testimone sua figlia. Ma è nella capacità di andare così a fondo nell’anima dei suoi personaggi che la Patitucci ci offre con la sua opera prima qualcosa di stilisticamente nuovo.

Se, da una parte, colori, ritmo narrativo, anche un alto livello di violenza usato nel girare le scene, è tipico del genere stilistico, il valore stilistico e registico della Patitucci viene esaltato dal suo non permettere allo spettatore di mollare mai lo sguardo da cosa e come i personaggi stanno vivendo in quel momento in scena.

Come pecore in mezzo ai lupi. La recensione

Ed è così che ci sembra che Isabella Ragonese quella cicatrice e quel piercing sopra al labbro li abbia sempre avuti. Senza sorprenderci di quanto una delle più poliedriche ed intense attrici del nostro cinema sappia mettersi in gioco con una parte che finora non ci sembrava potesse cucirsi addosso con così tanta maestria.

O che non ci stupiamo dell’eccessiva magrezza di Andrea Arcangeli – in fondo, non molto distante da quella che gli abbiamo già visto nella serie Romolus. Senza dare il giusto peso alla crescita interpretativa di questo giovane attore di meno di 30 anni. Che negli ultimi anni – tra start-up, antica Roma, campi di calcio e cavalcate nella Barbagia di inizio Novecento – ha saputo ritagliarsi una credibilità a tutto campo.

Poi abbiamo le interpretazioni – incredibili – dei comprimari. Un Tommaso Ragno che nel suo algido sguardo mettere tutta la distanza del suo personaggio nei confronti di due figli che non ha mai veramente tutelato, ma che è sempre stato disposto ad incolpare per ogni loro azione disperata. Impossibile, poi, non accennare all’intensità messa in scena dalla piccola Carolina Michelangeli, che mette nella sua Marta tutta l’arrendevole consapevolezza di non poter trovare protezione in un mondo di adulti derelitti e confusi. E che capirà che sarà lei a dover decidere del futuro di Vera.

Come pecore in mezzo ai lupi forse non è la visione più rassicurante dopo un aperitivo in spiaggia o a conclusione di una afosa giornata di mezza estate. Ma è sicuramente il tipo (e genere) di film che il nostro cinema meritava di poter dimostrare di essere in grado di realizzare.

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