Presentato oggi nell’ambito della sezione Biennale College Cinema come unico titolo italiano della selezione di quest’anno, L’anno dell’uovo è il primo lungometraggio di finzione di Claudio Casale. Autore che già aveva raccolto numerosi consensi festivalieri con i suoi toccanti ed approfonditi cortometraggi tra documentario e finzione, alla ricerca di un nuovo modo cinematografico per raccontare la realtà e i cambiamenti sociali del nostro paese, Casale con L’anno del nuovo affronta la sua opera prima portando uno stile narrativo asciutto, visivamente di impatto e sempre pronto a sperimentare con la macchina da presa.
La trama
Adriano (Andrea Palma) e Gemma (Yile Yara Vianello, in sala dal 24 agosto anche con La bella estate di Laura Luchetti) sono una giovane coppia in attesa del primo figlio e hanno deciso di farlo nascere in un luogo protetto, in cui le pressioni dettate dal lavoro, dai vincoli sociali e dal profitto non possano influire né sulla serenità del loro apprestarsi a diventare genitori né sui primi mesi di vita del loro bambino.
Si sono quindi rivolti alla comunità dell’Uovo: un gruppo spirituale che, sotto la guida di Guru Rajani (Regina Orioli), vive misticamente in contemplazione della fertilità e trascorre in comunione i momenti dei pasti, di meditazione e di preghiera, come un’unica grande famiglia unita sotto l’ombra dell’Uovo dorato che troneggia nel tempio e nelle case di ognuna delle giovani coppie ospitate.
Ma quando finalmente entrambi si sentono parte della comunità, un fatto imprevisto trasforma quel luogo incantato, di condivisione e serenità, nel teatro di una nuova solitudine. Gemma e Adriano si troveranno immersi in un dolore sconosciuto e difficile da affrontare, così vicini ma troppo distanti per vedersi. Solo allora, riceveranno un dono che potrà cambiare il loro modo di guardare ogni cosa e di pensarsi. Non solo come compagni di vita, ma anche come individui con un previso ruolo nel mondo
L’uovo come culla di noi stessi
Con un’aurea mistica guardata in tutte le sue idiosincrasie e contraddizioni, gli spazi della comunità dell’Uovo diventano una duplice prigione per i protagonisti che la popolano. Da una parte, un luogo in cui cercare riparo dalla paura che un momento così speciale come quello in cui ci si appresta a diventare genitori dall’altra. Dall’altra, un rifugio in cui dimenticare se stessi e le proprie incombenti responsabilità. Lasciando che tutte le ansie e i contrasti vengano racchiusi all’interno dell’uovo stesso, come a farle magicamente sparire.
In questo troviamo uno degli aspetti più interessanti dello sviluppo creativo di L’anno dell’uovo. Se, infatti, la semplicità dell’immagine ci rimanda alla genuinità e, al tempo spesso, all’ingenuità di Gemma e Adriano facendoceli guardare in modo quasi distaccato, è nello stratagemma visivo di portare lo spettatore dentro al corpo di Gemma e dentro ai cambiamenti interni dell’uovo che Claudio Casale sperimenta e osa di più. Non nei dialoghi filosofeggianti dei suoi protagonisti. Non negli incitamenti mistici della guru. Ma nel silenzio di un turbinio di colori ed immagini ipnotiche che sono e danno ragione dei turbamenti interni, fisici come spirituali, dei due giovani.
Il talento è giovane. E sta per schiudersi.
Da sempre i titoli che ottengono il sostegno produttivo di Biennale College Cinema sono produzioni giovani ed indipendenti. Che hanno il coraggio, per prime di credere nei giovani talenti esordienti. Nel caso di L’anno dell’uovo, Claudio Casale si è affidato alla Diero Film, casa di produzione sarda che, grazie al lavoro dei produttori esecutivi Francesca Vargiu, Matteo Pianezzi e Corso Codecasa, non solo ha voluto osare – con successo – una così importante vetrina festivaliera per presentare il proprio primo progetto di lungometraggio, ma lo ha voluto fare anche (o soprattutto) per dare voce ad uno dei più interessanti giovani autori del panorama della cinematografia breve italiana.
Il regista Claudio Casale non risparmia nemmeno a questa sua opera prima quella sagacia e pungente consapevolezza di far parte di una generazione che arranca tra complesse dinamiche sociali ed una ormai intrinseca capacità di trovare un proprio spazio nel mondo. Siamo certi che L’anno dell’uovo saprà ritagliarsi quello spazio. Anche per rappresentare una generazione che aspetta solo il momento giusto per potersi schiudere.