Dopo essere stato presentato in anteprima alla passata edizione di Alice nella città, arriva oggi in sala Takeaway, opera seconda del regista friulano Renzo Carbonera, prodotto da 39 Films, Interzone Pictures in collaborazione con Rai Cinema e distribuito dalla Fandango di Domenico Procacci.

Il film, che racconta la drammatica storia di una giovane maratoneta che vive in un piccolo borgo di montagna fortemente colpito dalla crisi economica del 2008, segna anche l’ultimo ruolo da coprotagonista di Libero De Rienzo, prima della sua tragica e prematura scomparsa di luglio 2020. E vi anticipiamo subito che è un elemento questo che non fa che aggiungere struggimento durante la visione. Perché ci è impossibile non vedere e sottolineare quanto il cinema italiano abbia perso un grande interprete con la sua morte. Capace come era di dare carica, senso e spessore a tutti i suoi ruoli, anche in questa veste così drammatica, anche interpretando un personaggio spietato come quello dell’allenatore Johnny in Takeaway.

Carlotta Antonelli (uno dei volti giovani – seppur ormai con una considerevole carriera tra cinema e tv – più interessanti dell’attuale panorama italiano) è Maria, un’atleta di marcia, che sogna di avere successo in campo sportivo. Un desiderio, quello di Maria, condiviso col padre (Paolo Calabresi, bello vederlo in un ruolo così complesso, lontano dalla spalla comica a cui spesso il cinema lo ha relegato), che a differenza della madre (una intensa Anna Ferruzzo, che alterna amore materno alle sue fragilità psicologiche) è sicuro che un giorno la figlia riuscirà a raggiungere quel successo che merita.
Il compagno della giovane, Johnny (Libero De Rienzo, appunto), è un uomo adulto, molto più grande di lei, e un tempo era un preparatore atletico. Per questo motivo ha in casa diverse sostanze illegali, che in passato ha somministrato ai giovani atleti come “aiuto”. Uno di questi suoi ex pupilli è Tom (Primo Reggiani), un ragazzo che accusa Johnny di avergli rovinato la salute e di conseguenza la carriera con il doping e che cerca un contatto con Maria, temendo che l’allenatore la stia trascinando sulla stessa scia malata.

L’ambiente attorno al quale questi personaggi complessi si muovo e intrecciano le loro vicende è quello di un paesaggio desolato. Dove non è solo la montagna a restituire un senso di profonda solitudine. Ma anche i danni provocati al turismo dei piccoli borghi dalla crisi economica, che ha devastato non solo quelle che erano prima floride attività commerciali e ricettive, ma che ha profondamente influito sugli equilibri di intere famiglie, rendendole fragili e in balia di una spasmodica ricerca di riscatto e successo, seppur momentaneo e distruttivo.

Con Takeaway Renzo Carbonera ci porta dentro il mondo dello sport malato. Dentro il complesso settore dell’atletica dilettantistica che ambisce al professionismo, perdendo il senso valoriale che l’attività sportiva può avere sulla formazione dei suoi giovani atleti e, anzi, sfruttandoli e deviandoli. Lo fa non solo mostrandoci la facilità con la quale i giovani atleti vengono avvicinati al doping, ma anche mostrandoci come spesso appaia come l’unica strategia per poter eccellere, laddove l’impegno non sembra più sufficiente.

Da una parte, Maria cerca di superare un grave infortunio per poter tornare presto in pista, dove vuole primeggiare a tutti i costi. Solo così sente di poter ridare un senso ad un’esistenza che sembra disgregarsi e di cui non vuole perdere il controllo. Dall’altra, il rapporto morboso con Johnny, il suo esserne fisicamente e psicologicamente succube, le permette di abbandonarsi, di non permettere allo sconforto di impossessarsi più di lei. Anche se questo la porterà a mettere a rischio il suo bene più prezioso: la salute del suo giovane fisico di atleta.

Non c’è riscatto, non esistono giustificazioni, non c’è una volontà di redenzione nello svolgimento narrativo di Takeaway. E tutto questo viene confermato dalla scelta di ambientazioni cupe, deserte e desolate, fredde come la neve sulle montagne, a rappresentare un velo di silenzio ed omertà su ciò che tutti sanno, ma che nessuno vuole veramente affrontare. C’è però uno dei personaggi femminili più forti che si siano visti quest’anno. Perché Maria non è, come può apparire in una fase iniziale del film, semplicemente in balia degli eventi. Sembra essere totalmente consapevole delle sue azioni e delle conseguenze che le sue decisioni avranno sul suo fisico e sulla sua carriera. Ma le affronta, convinta che il successo sia il solo elemento a poter dare senso al suo tutto in disgregazione: la sua famiglia si potrà riunire nella gioia della vittoria; il suo compagno resterà al suo fianco, facendola sentire protetta; l’aria della montagna smetterà di essere soffocante. Takeaway è un film sulle illusioni. E su quanto esse possano trascinarci in un baratro di disperazione e autolesionismo. Un incredibile messaggio mandato ai giovani d’oggi, non solo agli sportivi, nella speranza che comprendano che non è nella ricerca della via facile a tutti i costi che troveranno la soluzione, ma piuttosto nella capacità di autodenunciare le proprie debolezze e fragilità. Affrontandole.

La distribuzione, purtroppo, ha al momento deciso di presentare Takeaway in sole 14 sale cinematografiche su tutto il territorio italiano. Numeri bassissimi, che ci fanno temere che i dati al botteghino non sapranno premiare un film come questo, capace di smuovere le coscienze dello spettatore, offrendo in cambio un altissimo livello interpretativo.

Articoli simili