Quasi 100 anni di storia. Tra le canzoni popolari italiane più note. Simbolo della resistenza antifascista. In Italia come nel resto del mondo. Canzone alla base di molteplici cover, tradotta in oltre 40 lingue. Tornata in voga tra i giovanissimi grazie ad una riuscita operazione commerciale che la vuole fulcro della colonna sonora della serie Netflix La casa di carta. Una canzone che ha fatto la storia, che la recupera e ricostruisce; ricca di misteri sulle sue origini, di appropriazioni (a volte indebite) su più fronti. Bella Ciao è ora al centro anche di un bel documentario, prodotto da Palomar Production, con la co-produzione di Rai Documentari e Istituto Luce e che arriva in sala, in una proiezione evento dall’11 al 13 aprile, grazie a I Wonder Pictures, prima del passaggio televisivo, il 22 aprile su Rai Tre. Abbiamo visto in anteprima il film e intervistato la sua regista, Giulia Giapponesi.

Lo chiedi a tutte le persone che incontri lungo il documentario. Lo chiedo anche io a te. Quando è la prima volta che hai sentito Bella Ciao?

Sicuramente, ho imparato Bella Ciao quando ero molto piccola e mi ricordo di aver sentito per la prima volta la parola partigiano probabilmente a scuola, senza sapere esattamente cosa volesse dire. Fu mia nonna che mi raccontò che la parola partigiano non fosse una storpiatura di parmigiano, ma significasse qualcosa di ben preciso. E, raccontandomi, cosa fossero i partigiani, mi raccontò non soltanto un pezzo della storia del nostro paese, ma anche una parte di storia familiare. Perché aveva vissuto la resistenza con un marito che è stato un simil-partigiano. [I miei nonni] erano molto poveri, ma si occupavano della propaganda fatta essenzialmente di distribuzione di volantini. Ma già quello era un crimine, infatti arrestarono mio nonno per questa ragione. Queste storie personali io le ho sapute grazie alla scoperta della canzone Bella Ciao. Quindi per me ha una valenza familiare, come successo sicuramente a tante persone in Emilia-Romagna. E non solo.

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Come ha influito la canzone nella tua crescita, tanto da portarti a volerne fare un film?

Bella Ciao è una canzone che a me è sempre piaciuta. Come a tante altre persone. Perché ha questa melodia incredibile, che è sia triste che allegra. La cosa che mi ha sempre affascinato di Bella Ciao è che, ancora oggi, non saprei dire se sia una canzone triste, perché parla di un martirio, o allegra, perché parla di una lotta. E per me in questo risiede un grandissimo mistero. Uno dei protagonisti del documentario che ho intervistato, la cantante turca Ilkay Akkaya, mi ha detto – secondo me con parole molto belle – che Bella Ciao mette insieme benessere e dolore e cantarla tutti insieme fa stare bene, perché ci si unisce nella lotta contro qualcosa che fa stare male. Quindi, il mio rapporto con Bella Ciao è quello di tante manifestazioni, tante cantate. Anche per nulla di speciale, attorno a un fuoco con la chitarra sui colli da adolescente. Fa parte della mia storia individuale, come della storia del paese.

Nel film, oltre ad una ricerca di archivio filmico, c’è una grande ricerca anche dal punto di vista musicale. Moltissime le versioni della canzone, in moltissime lingue, quelle che sentiamo. Come hai svolto questa indagine di repertorio?

La ricerca è stata molto lunga. Partita ben prima della prima stesura del film e arrivata fino agli ultimi giorni di montaggio, che è stato lunghissimo ed durato 8 mesi [curato da Francesca Sofia Allegra, una delle migliori professioniste in materia del cinema italiano, autrice già di grandi successi popolari quali la serie Netflix Sanpa o quella per Prime Video Veleno, nonché di vincitrice di importanti premi per i trailer cinematografici che ha realizzato, NdR]. Credo che la possibilità di inserire tanti brani, scelti con un certo criterio rispetto ai luoghi e i momenti storici in cui è stata cantata, sia stata una possibilità che mi è stata data sicuramente dall’aver trovato come produzione Palomar Doc, Rai Documentari e Istituto Luce Cinecittà. Perché la ricerca d’archivio porta via un sacco di tempo e risorse. Questa ricerca personale è diventata sempre più parte del film, fino poi essere stata disseminata in scene per me chiave del film.

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Nel tuo documentario Bella Ciao – Per la libertà non segui un filo cronologico nella narrazione sulla canzone. Cosa ti ha spinto a questo?

Perché questo non vuole essere un documentario storico. Non è un film che può essere inserito in un solo canale o in una storia unica. E non è semplicemente di costume. Quindi, il dargli un inizio, in un senso o nell’altro, avrebbe portato probabilmente il pubblico a categorizzarlo. Che non era quello che volevamo. Inoltre, credo anche che questo avanti e indietro negli anni restituisca anche di più quello che è il mosaico della storia di Bella Ciao: più voci che si incrociano tra loro.

Nell’introdurre i protagonisti del tuo documentario Bella Ciao – Per la libertà scegli di non usare didascalie per presentarli. Come mai?

La scelta è legata ad un ragionamento simile al precedente. Di solito guardiamo dei documentari in cui ci interessa ricordare chi stia parlando, perché è l’esperto, ad esempio, di crimini familiari. In questo caso, non c’è una figura più esperta di un’altra. Non c’è qualcuno in grado di parlare di Bella Ciao più degli altri. Ognuno racconta il suo parere su Bella Ciao. E se ci dimentichiamo che chi sta parlando è la rappresentante kurda non è tanto importante, perché lo è quello che sta dicendo. Mettere nome, cognome e sottopancia mi sembrava qualcosa di troppo limitante per il discorso che volevo invece affrontare. Ci sta che lo spettatore si senta un attimo disorientato. Ma è la storia stessa di Bella Ciao a disorientare nella sua universalità.

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Le voci di Bella Ciao – Per la libertà

Tra lo scorrere delle immagini del documentario Bella Ciao – Per la libertà di Giulia Giapponesi ci sembra di cogliamo due messaggi, entrambi alla base non solo dello sviluppo narrativo del film, ma anche dell’idea che si vuole dare del ruolo della canzone nella storia e nel mondo. Da una parte, che la Resistenza appartiene a tutti i paesi del mondo. Questo non riguarda solo la necessità di mantenere vivo la memoria di cosa sia stata la Resistenza partigiana in Italia, seppur la regista – grazie ai racconti di alcuni importanti testimoni e superstiti delle barbarie perpetrate dal Regime durante la dittatura mussoliniana – sottolinei come Bella Ciao sia intrinsecamente legata a quell’esperienza storica, tanto da diventarne uno dei più iconici simboli. Ma la regista ci ricorda anche, attraverso le parole del cantautore Vinicio Capossela, che Bella Ciao sia per eccellenza una canzone antifascista, con il fascismo che è una forza latente ed oscura, sempre ed ancora viva ed attuale. In questo contesto, la canzone si pone come una salvavita, che scatta nel momento in cui si lotti contro qualsiasi forma di ingiustizia. Diventa così, in tutto il mondo e per molti popoli, un modo per unire le voci. E tante sono le voci che ascoltiamo in tal senso. Da quella degli ex-partigiani, che portano il ricordo di quando abbiano sentito per la prima volta le note della canzone; alle testimonianze delle ricerche fatte per svelare i misteri legati alle tutt’ora non chiare origini di Bella Ciao. La preziosa indagine di recupero del patrimonio dei canti popolari italiani svolta da Cesare Bermani; gli studi storico-narrativi di Carlo Pestelli, la ricerca didattica di Marcello Flores D’Arcais; fino alle contestate teorie negazioniste dell’avvocato Luigi Morrone. Tutte testimonianze del fatto che, seppur non si possano ripercorrere didascalicamente le fasi di creazione della canzone, non si possa arrivare a negare come e quanto Bella Ciao abbia influito sulla consapevolezza che il paese ha avuto di quel determinato periodo storico e ad esso la ricolleghi.

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Dall’altra, il documentario ci ricorda, con forza, che per vivere bisogna resistere. Nel farlo, ci porta dentro ai più disparati contesti storici, tristemente legati ad alcuni dei conflitti bellici più sanguinosi degli ultimi decenni e nei meandri di quelle che sono ancora le dittature del mondo. In questo modo, ascoltiamo la voce di Mohammed Ohammed Hameed, performer e autore di una speciale versione di Bella Ciao, adattata nel testo e nella musica all’esperienza del conflitto iracheno. O la toccante testimonianza della combattente kurda Hazal Koyuncuer, che racconta della forza gioiosa che il cantare la canzone sia in grado di dare ad un popolo che vive in costante stato di assedio. Potente anche, nel suo valore simbolico, il racconto di un episodio misterioso come la trasmissione pirata, il 20 maggio 2020, della canzone dai minareti delle mosche della città Turca di Smirne. Il solo averne parlato sui suoi profili social ha comportato per l’attivista politica turca Banu Ozdemir la gogna mediatica, l’arresto e un processo per offesa ai valori religiosi della comunità islamica attivista politica.

Bella Ciao. Una storia oltre la musica

Nel caso in cui non ne fossimo già convinti, Bella Ciao – Per la libertà ci ricorda che siamo di fronte ad un qualcosa capace di andare oltre il mero valore musicale della canzone. La trasformazione in hit dopo che a cantarla in televisione è l’ex-partigiano (anche se della Resistenza Francese) Yves Montand nel 1963 o la polemica e lo scandalo suscitato dalla consacrazione pop(olare) durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1964, non circoscrive ed esaurisce la potenza rievocativa che l’eseguire quella canzone abbia continuato a suscitare. Ce lo ricorda Moni Ovadia, che sottolinea l’importanza di continuare a cantarla per non dimenticare ciò che è stato. O Cisco, l’ex frontman del gruppo folk dei Modena City Ramblers, che riporta del fallito tentativo dei direttori del Concerto del Primo Maggio del 2001 che giudicavano la canzone troppo divisiva e che il gruppo ha comunque cantato, scatenando l’entusiasmo del pubblico presente.

Bella Ciao è ormai una canzone di tutti. Con una valenza capace di travalicare i confini temporali e geografici. E qui sta, a nostro giudizio, la potenza del documentario di Giulia Giapponesi. La quale, non negando il fatto che l’inserimento della canzone tra i brani principali della serie tv cult Netflix La casa di carta stia portando tantissimi giovani a conoscerla ed ascoltarla per la prima volta, ci porta a sperare che questa banalizzazione seriale possa essere uno stimolo per i ragazzi di oggi per (ri)scoprirne la storia. E per non dimenticare quanto la lotta antifascista sia stata al centro della nostra libertà attuale e stia continuando in molti luoghi del mondo.

Bella Ciao – Per la libertà sarà in sala, in una serie di speciali proiezioni evento, dall’11 al 13 aprile, grazie a I Wonder Pictures, casa di distribuzione di Andrea Romeo, che del documentario è anche produttore creativo. Ovviamente, vi consigliamo di andare a vederlo al cinema in quei giorni. Ma vi ricordiamo anche che il documentario verrà trasmesso in prima serata, il 22 aprile, su Rai Tre. Proprio per celebrare il valore e la memoria della Resistenza italiana, in occasione delle prossime celebrazioni per il 25 aprile. Ricordandoci che il mondo sia ancora pieno di Resistenze per le quali unire le voci nella lotta. Cantando e battendo le mani sulle note di Bella Ciao.

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