Se il grande pubblico finora ha pensato di conoscere tutto di Elena Ferrante, dopo aver divorato tutti gli episodi delle tre stagioni di L’amica geniale e pensando che tutto il suo mondo fosse racchiuso tra le vie del Rione di Lila e Lenù, con The Lost Daughter (La figlia oscura) dovrà ricredersi. Perché nel romanzo come nel film – in uscita domani, 7 aprile, e di cui vi presentiamo la nostra recensione dopo averlo più che apprezzato in concorso alla passata Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – scopriamo una linea narrativa profondamente diversa rispetto a quanto finora conosciuto della misteriosa scrittrice italiana nota e tradotta in tutto il mondo.

Potrebbe stupire il fatto che la trasposizione cinematografica di un testo così poco conosciuto sia stato scelto per un (coraggioso) esordio alla regia. Ancora di più se si pensa che a seguire questo percorso sia un’attrice di fama e dalla ancora promettente carriera. Ma, ripensando alla sua filmografia come interprete, alla sua sensibilità e alla grinta che ha sempre dimostrato nella sua pluridecennale carriera, ci stupiamo meno nel trovare per la prima volta dietro la cinepresa di La figlia oscura Maggie Gyllenhaal.

Un esordio coraggioso

Attrice, unica nel suo genere e sempre meravigliosa, di tante iconiche iconiche pellicole (si pensi solo ai suoi determinanti ruoli in Mona Lisa Smile o in The Secretary); donna del suo tempo; madre da ancora troppo poco per riuscire a fare i conti con i propri errori e da troppo per non comprenderne il peso e la responsabilità; professionista sempre grintosa, determinata a far comprendere al settore il suo valore. Maggie Gyllenhaal ha creduto talmente tanto in questo progetto da mettersi anche in sceneggiatura, per essere certa di riuscire a dare al suo La figlia oscura tutte quelle sfumature emotive e personali che le avevano suscitato la lettura del romanzo della Ferrante. Lei stessa entra, nelle sue note di regia, parlando del legame con il testo originario, dice:

Quando ho letto il romanzo La figlia oscura, ho provato una sensazione molto strana e dolorosa, ma anche innegabilmente autentica. Per la prima volta, qualcuno descriveva ad alta voce alcuni aspetti segreti dalla mia esperienza di madre, di amante e di donna in questo mondo. E ho pensato a quanto sarebbe eccitante e pericoloso creare un’esperienza analoga non nella quieta solitudine della lettura di un romanzo, ma in una stanza piena di essere viventi, pensanti e dotati di sentimenti. Che effetto farebbe stare seduti accanto alla propria madre o al proprio marito o alla propria figlia o alla propria moglie nel momento in cui esperienze e sentimenti comuni tenuti finora segreti venissero portati alla luce? […] Quando quelle esperienze vengono trasferite su uno schermo, affiora anche l’opportunità di sentire un conforto: se qualcun altro prova questi pensieri e sentimenti, forse non sono solo.
La figlia oscura film recensione
La trama

Durante una vacanza al mare da sola, Leda (Olivia Colman, che ha vinto numerosi premi e ottenuto una nomination agli Oscar per la sua interpretazione) rimane incuriosita e affascinata da una giovane madre (una inedita e strabiliante Dakota Johnson) e dalla sua figlioletta mentre le osserva sulla spiaggia. Turbata dal loro rapporto e dalle evidenti difficoltà manifestate da quella giovane madre, Leda è sopraffatta dai suoi stessi ricordi personali. Da quei sentimenti di terrore, confusione e intensità provati nelle prime fasi della maternità e le conseguenze che queste hanno avuto su tutta la sua vita. Un gesto impulsivo sconvolge Leda e la proietta nello strano e sinistro mondo della sua stessa mente, dove è costretta ad affrontare le scelte non convenzionali che ha compiuto quando era una giovane madre.

Succede così che incontriamo anche Leda da giovane, rappresentata dalla potente e struggente sguardo di Jessie Buckley (anche lei recentemente nominata agli Oscar per questo ruolo nella categoria Miglior attrice non protagonista). La giovane attrice e cantante irlandese – che siamo ormai abituati a vedere in una vastissima gamma espressiva di ruoli, dai film di genere alle commedie, puntando ad un cinema d’autore sempre capace di esaltare le sue doti interpretative – è perfetta per descrivere lo spaesamento di Leda.

Le sue giovani speranze, mal riposte in un amore che è capace di soffocare le sue ambiziosi e che la porta e riporre nella maternità delle speranze di felicità. Che non riesce a trovare. Anzi, sarà proprio il suo non riuscire a conciliare la donna che ambisce ad essere con il suo ruolo di madre di due bambine a portarla a sconvolgere la sua esistenza. Vivendo i suoi giorni nel rimpianto di ciò che sarebbe dovuto essere e nel rimorso di ciò che invece sono state le sue sofferte decisioni.

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Nel presentarle allo spettatore, Maggie Gyllenhaal non chiede assoluzione per le sue protagoniste. Non nasconde la durezza caratteriale della Leda adulta, sottolineandone anzi quella cattiveria e mancanza di empatia in cui si è auto-reclusa, quasi a volersi punire per il dolore che ha arrecato nel suo passato. Né pretende che il pubblico arrivi a giustificare le scelte fatte dalla Leda giovane. Senza, però, non permettersi di sottolineare quanto un incontro travolgente ed appassionato possa essere capace di stravolgere la convinzione che ognuno di noi può avere di se stesso.

Uomini che amano le donne

La figlia oscura è sì una storia intrinsecamente al femminile, quasi di introspezione emotiva che cerca di indagare sulla complessità dell’essere donna oltre che madre. Ma, nella sua trasposizione cinematografica, non arriva a negare il potente ruolo che l’incontro con alcuni uomini possono avere sullo sviluppo narrativo come sulle esistenze delle due Leda.

Perché, se da un lato la Leda adulta viene riportata alla ragione grazie alla dolcezza di Lyle (il custode dell’appartamento che affitta per le sue vacanze. Un Ed Harris profondo ed incisivo nelle sue seppur limitate apparizioni), è nel dirompente incontro del Professor Hardy che la Leda giovane ritrova se stessa, il coraggio di ritagliarsi un ruolo altro, capace di proiettarla nella possibilità di vedersi non più solo come madre ma, finalmente, di nuovo donna. Con le sue ambizioni, rimettendo al centro le sue passioni ed ambizioni. E non stupisce che, per ricoprire questo ruolo maschile così determinante nella vicenda, Maggie Gyllenhaal scelga un attore che, oltre ad essere di una prorompente espressività e dalle acclamate doti interpretative, è anche l’uomo che ha scelto di avere accanto a sé: il marito Peter Sarsgaard.

La figlia oscura ci riporta ad una realtà in cui le donne sembrano schiacciate dall’obbligo di rispondere a canoni quasi ancestrali, antichi. Anelando ad una perfezione che non è naturale. E Maggie Gyllenhaal, con questa sua prima e strabiliante regia, sembra volerci dimostrare che nessuna donna sia poi così diversa dalle due Leda. E che dovrebbero poter avere al loro fianco uomini più simili a Lyle e al Professor Harris.

Dopo l’anteprima mondiale a Venezia78 e la visione direttamente su Netflix in moltissimi paesi, La figlia oscura arriva in sala in Italia grazie a BIM Distribuzione. Là dove tutto deve essere, come merita di essere, ingigantito.

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