JR Moehringer (attenzione a non mettere i punti nel nome e a non chiamarlo Junior) è cresciuto a Manhasset, a Long Island. Figlio unico abbandonato da subito dal padre, viene allevato dalla madre nella casa dei nonni. Tra quelle mura viveva anche lo zio Charlie, un uomo che nella sua formazione ha rappresentato molto di più di una semplice figura paterna, sostenendolo in tutti i principali momenti della sua formazione. Come uomo, prima, e come scrittore poi. JR, dopo la laurea a Yale e un primo lavoro come fattorino, presso il New York Times, diventerà corrispondente per il Los Angeles Times, arrivando a vincere, nel 2000, il Premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e costume con il suo reportage Oltre il fiume, in cui, raccontando la storia di una delle ultime discendenti di quel gruppo di ex schiavi, pone un faro sulla comunità di Gee’s Bend in Alabama e su cosa avesse rappresentato per tutta la comunità afroamericana. Dopo quell’inaspettato successo (prima di quell’importante riconoscimento Moehringer era praticamente sconosciuto), JR decide di riprendere in mano quello che era stato un progetto iniziato nel 1986: raccontare la sua storia. Perché sia la madre che lo zio Charlie, nel momento in cui lui confessò loro per la prima volta il suo desiderio di diventare uno scrittore, gli avevano detto che l’editoria va verso le autobiografie. Nel 2005, pubblica The Tender Bar (Il bar delle grandi speranze, nella sua edizione italiana), un romanzo di memorie sulla sua giovinezza, in cui si racconta e racconta la sua famiglia proprio fino al momento in cui prende consapevolezza di voler diventare uno scrittore.

Il libro venne considerato come il miglior romanzo dell’anno da importanti testa giornalistiche americane, compreso quel New York Times che non aveva accettato di dargli l’incarico di redattore nei primi anni Novanta, non trovando la sua scrittura adatta la quotidiano.

George Clooney decide di raccontare la storia di JR nel suo ottavo film da regista, The Tender Bar, uno degli ultimi titoli di Amazon Studios, uscito nelle sale americane il 17 dicembre 2020, mentre, da noi, una folle strategia distributiva ha stabilito dovesse andare subito in piattaforma ed è disponibile solo su Amazon Prime Video. Clooney affida al giovane Daniel Ranieri il compito di impersonale un JR undicenne che, dopo l’ennesimo sfratto, torna con la madre Dorothy (una straordinaria Lily Rabe, che offre al suo personaggio una forza, una sensibilità ed un’intensità davvero notevoli) a vivere a casa del nonno. Questa decisione è molto sofferta per la madre, che non ha mai perdonato il fatto che il padre non le abbia permesso di continuare gli studi e di andare all’Università. Ma JR è felice, perché per lui quella casa era una porta girevole di zii e cugini, in cui riusciva a non sentire la solitudine propria del suo essere un figlio abbandonato. Il padre lo ha visto solo una volta, quasi non ne vuole mai citare il nome, usando quello che tutta la sua famiglia gli ha affibbiato per il suo essere un disc jokey radiofonico di un certo successo: la Voce. E con quella voce trasmessa alla radio JR parla, racocntandogli le sue giornate. Pronto a restare deluso ad ogni chiamata in cui il padre gli promette che si sarebbero visti presto, lasciandolo sulle scale del portico di casa ad aspettare fino a notte fonda.

Poi c’è Charlie. JR sa che tutti i bambini dovrebbero avere uno zio Charlie nelle loro vite, perché è grazie a lui che da bambino riesce a sopportare il fatto di essere un bambino senza identità, come lo epiteta uno psicologo della scuola nel constatare il suo rifiuto categorico di farsi chiamare Junior per non dover pensare a quel padre che se ne era andato. Zio Charlie, invece, c’è sempre. Pronto a dargli insegnamenti di vita, spiegando al bambino come debba essere un uomo; a supportarlo nelle sue scelte, senza mai spingerlo in una direzione, ma accompagnandolo verso la strada che sarà lui a decidere di intraprendere. Sarà lo zio Charlie ad alimentare la sua passione per la lettura, dandogli il permesso di prendere i libri che custodisce dietro al bancone del suo locale, il Dickens e intimandogli di finire tutti i libri della sua mastodontica libreria entro l’ammissione a Yale. Charlie sarà l’uomo che aiuterà JR a diventare un uomo, a comprendere il suo cammino, a rispettare le donne, partendo proprio dalla più importante della sua vita, la madre.

E sa bene che il sostegno di Dorothy non gli mancherà nemmeno quando, a differenza dei sogni materni, decide di non studiare legge, ma di cercare di diventare uno scrittore. Perché, in fondo, JR è da quando è un bambino che racconta ciò che vede e vive, pubblicando La Gazzetta di Famiglia, un giornale casalingo in cui riporta i principali fatti avvenuti in casa.

La famiglia di JR cerca di fare di tutto durante la sua crescita per fargli sentire il meno possibile il peso di quella importante assenza nella sua vita che non smette nonostante tutto di farsi sentire. Non lo lascia mai solo, ma piuttosto libero di trovare la propria via. Segue questa linea educativa anche l’apparentemente burbero nonno (che piacere rivedere Christopher Lloyd, in un ruolo che ci permette di assaporarne la bravura e andare oltre ai nostri ricordi nerd che tendono a farcelo ricordare quasi solo per il Doc di Ritorno al futuro), che stupisce tutti accettando di accompagnare il bambino alla colazione padri/figli, per togliere il nipote da un inaccettabile imbarazzo.

JR cresce attorniato da questo inesauribile e infinito affetto della sua strampalata famiglia. Clooney affida la parte del protagonista prima della sua partenza per Yale a Tye Sheridan, che, se ci aveva stupito per la sua spietatezza in The card counter (ultimo film di Paul Schrader, presentato in anteprima mondiale a Venezia78), in The Tender Bar scopriamo capace di molte più sfaccettature di quelle che avevamo colto finora. Sheridan sostiene meravigliosamente con la sua interpretazione il difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta di JR, offrendo al suo personaggio una profonda carica emotiva, data dalla capacità dell’attore di rappresentarne sia i drammi che la leggerezza nell’affrontare le sfide che la vita gli pone davanti.

Una nota a parte merita, indubbiamente, la prestazione di Ben Affleck, chiamato ad interpretare l’importante, delicato e così determinante ruolo di Zio Charlie. Clooney si affida a lui, riaccompagnandolo per mano all’interno di un qualcosa che da troppi anni non riusciva più a trovare: una storia adatta alla sua bravura. Sa essere sfacciato e riacquistare quella faccia da schiaffi con cui avevamo imparato a conoscerlo durante i primi film della sua carriera; riesce ad essere amorevole e rigido allo stesso tempo nella sua relazione con il piccolo JR con anche solo impercettibili movimenti delle labbra o dello sguardo; lascia spazio ai colleghi, per riprenderselo – in modo talmente totalizzante che lo spettatore ne resta rapito – quando la scena lo vede al centro. Un bel ritorno alle scene per Affleck. Che speriamo possa continuare ed essere valorizzato anche con i suoi prossimi lavori.

George Clooney non si limita con la sua regia a raccontare una storia già scritta. Ma sembra quasi voler dare nuova linfa al dibattito sul sogno americano. Perché se – come dimostrato dalla vita e dalla carriera di JR Moehringer – è vero che ognuno può riuscire da solo ad realizzare i propri sogni ed obiettivi, non è così scontato che lo possa fare da solo. Ma avrà bisogno di saper chiedere aiuto, di accettare il sostegno dei propri cari come dei propri amici. Imparando da loro ad essere riconoscenti di ciò che si è ottenuto.

Un vero peccato non aver potuto in Italia godere di questo intenso e bel film sul grande schermo. Lo avrebbe sicuramente meritato. Ma dategli una chance anche su piattaforma. Sarà una più che una piacevole visione. Nella peggiore delle ipotesi, vi farà tornare la voglia di tirare fuori dal cassetto quel vostro romanzo che nascondete da tanto. E scoprirete che, come per JR, essere uno scrittore è il modo di non essere mai soli.

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