Il Cinema italiano continua un fruttuoso dialogo con la letteratura. Succede così che Manfredi Lucibello si ispiri liberamente al romanzo di Alessandra Montrucchio, Non riattaccare, per realizzare il suo ultimo film. Presentato per il concorso lungometraggi al 41° Torino Film Festival, il film è dedicato a Carlo Macchittella, recentemente scomparso, che per primo ha fortemente creduto nella possibilità di produrre una trasposizione cinematografica da quella storia. E che sin da subito ha voluto che fosse il giovane Manfredi Lucibello a lavorare sia sulla scrittura che sulla regia del film.

Piergiorgio Bellocchio e i Manetti Bros., poi, con la loro casa di produzione Mompracem e in collaborazione con Rai Cinema hanno creduto nel progetto, permettendo al regista di poter godere di una splendide seppur inusuali interpretazioni di Barbara Ronchi e Claudio Santamaria.

TFF41 Non riattaccare recensione

La trama

28 marzo 2020. Una notte come tante in una Roma bloccata dal lockdown. Sono ormai settimane che tutto sembra uguale, ripetitivo. Il mondo è fermo. Come ormai da troppo tempo lo è la vita di Irene. Nel buio della sua stanza, non riesce a prendere sonno e non le resta che fissare il soffitto. In attesa che un nuovo giorno abbia inizio, sperando di dare una svolta alla sua vita sospesa. Non sono solo le conseguenze della pandemia a far sentire Irene (Barbara Ronchi) il senso di essere bloccata in una esistenza ormai priva di sbocchi e senza obiettivi. La sua solitudine non ha a che fare con l’impossibilità di lasciare la propria abitazione o di dover rispettare il distanziamento sociale.

Sono mesi ormai che cerca di dimenticare il grave incidente che ha subito e le dolorose conseguenze che le hanno sconvolto la vita. Quando, nel profondo silenzio di quella distopica notte romana, le squilla il telefono, Irene guarda il numero e decide di non rispondere. Tra le tante voci che non vuole sentire sicuramente c’è quella di Pietro (Claudio Santamaria), il suo ex. Ma qualcosa nella voce dall’altra parte del telefono la spaventa.

A Irene non resta che mettersi in viaggio, superare la sua paura e mettersi in macchina, lasciando una città spettrale per raggiungere una abbandonata località di mare, senza mai riattaccare, con la speranza di raggiungerlo in tempo. Il suo Non riattaccare diventa quasi una supplica a infrangere quel silenzio che per troppo tempo ha impedito ai due di salvarsi. A vicenda.

Il Cinema essenziale di Manfredi Lucibello

Classe 1984, Manfredi Lucibello continua a concentrarsi sulla ricerca dell’essenziale. Lo ha fatto quando ha voluto raccontare attraverso il documentario fatti realmente accaduti – il suo primo lavoro per il cinema è Centoquaranta – La strage dimenticata, sulla tragedia della Moby Prince – o personaggi di cui non si è parlato abbastanza – Bice Lazzari – Il ritmo e l’ossessione, pittrice che ha sempre lottato con il suo essere donna indipendente in una società non ancora pronta. Lo ha fatto con il suo primo lungometraggio, ugualmente prodotto dalla Mompracem, Tutte le mie notti, thriller psicologico dove al centro sono segreti, paure, bugie e verità nascoste sono centrali.

Come dichiarato dal regista durante la conferenza stampa al TFF41 in merito a cosa lo abbia spinto a voler raccontare la notte di Non riattaccare, ha affermato:

L’incipit del romanzo Non Riattaccare di Alessandra Montrucchio, da cui è liberamente tratto il film, mi ha folgorato. In quelle pagine ho letto l’occasione per portare avanti il mio personale discorso sul noir, realizzando un film essenziale (inteso come qualcosa di cui non si può fare a meno) a partire dai suoi elementi: una persona, una voce e un’automobile. Ci ho letto anche un’altra opportunità: nel romanzo i protagonisti non hanno un nome ed un passato, io li ho cercati rovistando nelle mie esperienze, nelle
emozioni e nelle mie paure. Così sono nati Irene e Pietro.
Il film racconta la loro storia, durante un viaggio con il piede schiacciato sull’acceleratore. Noi spettatori viviamo ogni istante: non ci sono ellissi o salti temporali. Non ci sono soste. Siamo sempre con Irene, che è presente dalla prima all’ultima inquadratura. Siamo con Irene quando inventa stratagemmi per non fare riattaccare Pietro, seguiamo le sue gesta disperate ed al contempo eroiche. Siamo con lei quando l’indicibile viene a galla, e implacabile costringe i protagonisti a fare i conti con i propri fantasmi. In questa corsa contro il tempo, man mano che l’automobile di Irene macina chilometri, diventiamo testimoni di un viaggio non solo fisico, ma anche interiore, onirico, catartico.

Quasi in tempo reale, Manfredi Lucibello lascia che Irene e Pietro si prendano i 90 minuti di quel frenetico viaggio tra il quartiere romano di Monte Verde e Santa Marinella per riscoprirsi. In un cambiamento di ruoli che determinerà il loro futuro. Se, infatti, fino ad allora la fragilità di Irene ha portato alla fine della loro relazione, sarà proprio quella telefonata in quella strana notte a riportarla in vita. Proprio mentre Pietro scopre che solo quella donna che ha lasciato sola possa salvarlo.

Non riattaccare, nonostante l’apparente staticità di gran parte del film che si svolge nello stretto abitacolo di una macchina che sfreccia a tutta velocità lungo un’autostrada deserta, ha il ritmo frenetico delle emozioni vissute dai suoi protagonisti. Che scorrono lungo l’altoparlante di un telefono, che diventa per loro un rifugio, un luogo in cui ritrovarsi finalmente liberi proprio quando sembra tutto ormai perso.

Barbara Ronchi: una complice solitudine

TFF41 Non riattaccare recensione

La complessità del personaggio di Irene trova tutte le sue sfaccettature perfettamente sublimate da una intensa interpretazione di quella che ormai non esitiamo più a definire uno dei volti del futuro del Cinema italiano: Barbara Ronchi. Nei suoi gesti, nella sua capacità di riuscire a esprimere tanto del suo personaggio anche nella semplicità di due mani che stringono e allentano la presa sul volante, come nella potenza della sua abilità di lasciare che la sua voce cambi anche radicalmente registro, sta tutto il peso di un ruolo a cui il film deve tutto il suo successo.

Raccontando di come, una volta chiamata dalla produzione e dopo aver accettato il ruolo di Irene, si sia preparata alla parte, Barbara Ronchi non ha esitato a raccontare come la solitudine di questo ruolo la spaventasse.

La sensazione è quella di vedere un’attrice da sola per 90 minuti. In realtà, non mi sono mai sentita così in compagnia come nel fare questo film e con questa troupe. Quando ho accettato la parte, ho chiesto di poter preparare il mio personaggio, leggendo tutto il copione in teatro, dove ho provato anche più volte, insieme a Manfredi Lucibello, per due settimane. Questo mi ha permesso di arrivare sul set con la consapevolezza totale di quello che sarebbe stato il film, scena dopo scena. Il mio non è un monologo, ho sempre parlato con la voce di Claudio Santamaria. Che mi ha fatto compagnia per tutto il tempo. Permettendomi di mostrare la lunga notte di una donna persa prima di allora, con qualcosa che rivive proprio grazie a quella notte e a quella voce.

In voice over per la quasi totalità di Non riattaccare, Claudio Santamaria riesce, alternando profondità vocale a gemiti e toni striduli di debolezza, a giocare con la propria voce. Permettendo al suo personaggio di mascherare le proprie fragilità con i lunghi silenzi di chi torna a parlare con sincerità dopo molto tempo. Un lavoro interpretativo incredibile, per un attore che confessa di essere stato aiutato nella preparazione del ruolo di Pietro dal fatto che lui stesso è stato un uomo salvato da una donna.

Se l’impatto visivo della narrazione sta tutto nell’espressività di Barbara Ronchi e quello emotivo nella fragilità trasmessa dalla voce di Claudio Santamaria, la colonna sonora affidata a Francesco Motta ha il pregio di coprire i silenzi, con inserti di musica elettronica che accentuano il contrasto tra il lento procedere di due esistenze fragili e l’urgenza di mantenere in vita una storia che non sono pronti a concludere

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