Lagos, Nigeria. La vita tranquilla e solitaria di Bambino viene sconvolta dall’incontro con il giovane fotografo Bawa: le domande che l’uomo non era nemmeno in grado di porsi rischiano ora di trovare una risposta. Il dramma del protagonista di All The Colours of the World Are Between Black and White, primo lungometraggio di Babatunde Apalowo, è costituito infatti non tanto dall’incapacità di accettare la propria diversità nell’orientamento sessuale, ma proprio dall’impossibilità di pensarla, di definire tale diversità. Bambi (così, affettuosamente, lo chiamano i vicini, conquistati dalla sua mitezza e generosità) non riesce nemmeno a chiedere a Google: la stringa di testo rimane incompleta, le parole non ci sono, non possono essere pronunciate, né tantomeno scritte. In un Paese in cui l’omosessualità è illegale, punita con il carcere e in alcune zone addirittura con la pena di morte, scoprirsi attratti da una persona del proprio sesso può legittimamente suscitare sconcerto e paura. La comunità parla, la città ha occhi, tutti sanno tutto e se qualcuno viene sospettato di omosessualità non ci si astiene dal picchiarlo pubblicamente. È quanto accaduto a un amico del regista, spinto a girare questo film proprio dal desiderio di raccontare tale storia.

All The Colours of the World Are Between Black and White riesce a comunicare alla perfezione il senso di staticità, quasi di stagnazione, della vita di Bambi, claustrofobicamente imprigionato in una vita in cui non può esprimere sé stesso: Apalowo costruisce un film quasi interamente con inquadrature fisse, soprattutto campi stretti che rinchiudono il protagonista nell’unica stanza della sua casa che ci è dato vedere. Spesso la macchina da presa lascia fuori campo gli interlocutori di Bambino e le uniche inquadrature in movimento sono riservate alle corse in motorino successive all’incontro con Bawa.

All The Colours of the World Are Between Black and White

La nostra recensione

Questa presenza altra, aliena, irrompe nella quotidianità di Bambi e gli apre le porte di una nuova vita, gli prospetta un nuovo orizzonte. E dunque, se prima il suo lavoro di delivery guy lo portava in tutta la città come un ospite che poi si rintana nel suo solitario rifugio a fine turno, ora i campi si allargano, le inquadrature abbracciano l’ambiente e fanno in modo che Bambi ne sia circondato, ma non oppresso, che ne faccia davvero parte. La prospettiva che si offre a Bambino è quella di far parte di qualcosa che non ha nome ma che forse non è sbagliato come si vuole far credere: la riflessione di Bawa (“If it feels this way, this good, it must be right”) è stupefacente nella sua semplicità, esattamente come la perfetta costruzione dello spazio cinematografico di questo bellissimo film, un film che ha lo sguardo di un documentario ma la potenza di un romance, un’opera che descrive uno stato di fatto ma che porta la speranza di un cambiamento necessario.

All The Colours of the World Are Between Black and White

Bambino deve trovare il coraggio di spogliarsi delle sovrastrutture che gli impediscono di pensare chiaramente e vivere liberamente. È pertanto significativo che Bawa sia un fotografo: nell’acconsentire a farsi fotografare nudo, Bambi opera quel gesto metaforico necessario a cambiare prospettiva e a concretizzare quella fuga dalla realtà che fino a quel momento aveva relegato in fantasie necessarie quantomeno a isolarsi dalle negatività del mondo esterno, come quando finge di suonare la chitarra o di fumare per non sentire i litigi dei vicini di casa.

Inoltre, è innegabilmente forte e degno di nota il fatto che Apalowo, nel rendere Bawa autore del processo di cambiamento di Bambino, voglia trasmettere il messaggio che è l’arte, in particolare l’arte che rivela tramite uno sguardo che mostra (la fotografia e quindi anche il cinema), ad avere la potenzialità di far cambiare lo stato delle cose.

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