Cos’è la famiglia queer? E’ difficile dare a questa espressione una definizione univoca e anche solamente spiegarla a chi non la vive in prima persona. Si è soliti vedere la famiglia come qualcosa di fisso nella roccia, qualcosa scelto dalla propria nascita e quindi determinato senza nessuna possibile voce in capitolo. Quando si usa la parola queer in questo contesto, lo si usa nella sua duplice natura: da un lato come slur reclamato dalla comunità LGBTQIA+ e dall’altra come il suo significato più semplice, “strano”. La famiglia queer in effetti è una famiglia strana, è un concetto che in Italia è stato sdoganato in Italia da Michela Murgia, che lo definiva come “un altro modello di relazione, uno in più per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno”. Si tratta di una famiglia dove i soliti dettami non esistono, dove la famiglia non è segnata dal legame di sangue o dalle fedi nuziali: nella famiglia queer la famiglia è condivisione e necessità e amore nella forma più pura possibile, è un legame scelto, non predeterminato, che prescinde dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.

Al centro di Housekeeping for Beginners, il nuovo film del regista macedone-australiano Goran Stolevski, c’è proprio questa tipologia di famiglia: una Comune, più che un nucleo piccolo come si è soliti immaginarlo. Una casa fatta di persone che si vogliono bene nonostante gli screzi e che riescono a vicenda a creare uno spazio sicuro per gli altri anche di fronte alla tragedia. Dita (Anamaria Marinca) perde la compagna Suada (Alina Serban) a causa di una malattia terminale e si ritrova a crescere le due figlie della donna, la piccola Mia (Dzada Selim) e la ribelle Vanessa (Mia Mustafa) insieme alle persone che ruotano intorno alla casa, tra cui l’arrogante Toni (Vladimir Tintor) e il suo giovane fidanzato Ali (Samson Selim).

Credit: Viktor Irvin Ivanov / © 2023 FOCUS FEATURES LLC

Abbiamo avuto l’occasione di intervistare il regista e sceneggiatore Goran Stolevski e la co-protagonista Alina Serban in occasione della première del film, presentato nella sezione Orizzonti alla 80° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dove ha vinto anche il Queer Lion.

Come è nata l’idea per questo film? Hai tratto ispirazione da eventi reali, persone reali?

Goran: Lavoravo come interprete perché ho fatto la scuola di cinema, il che significa che son stato disoccupato per dieci anni.  Un giorno una mia amica, all’epoca un’attrice disoccupata, mi chiama e io non sapevo cosa risponderle, quindi le dico che stavo andando a fare una colonscopia che mi avrebbe portato dall’altra parte della città. Stavo guardando Facebook e ho visto una foto degli anni 70’ postata da un mio contatto: era un ricordo di questo uomo gay che viveva in una casa a Melbourne con otto donne gay. Mi ricordo di averla vista e di aver sentito un senso di casa in quella foto. Era ciò che mi mancava: era una casa affollata, ma anche piena di sicurezza. Bisogna dire che son cresciuto in una casa dove convivevano molte generazioni e anche nella mia classe eravamo in 36 quindi son sempre stato abituato a questa situazione. Anche col cast mi son ritrovato in questa situazione familiare, lavorando con persone con cui son amico da molto tempo.

Come sei stata coinvolta in questo progetto?

Alina: Io vengo da un background molto povero, son stata la prima persona della mia famiglia a laurearmi. So cosa significa sognare anche solamente di avere l’elettricità o l’acqua calda. Mia madre mi ha sempre spinta a credere in me stessa, ignorando quello che dicevano di me e di altre persone Romani come me. Io mi nascondevo nella mia immaginazione e nella mia creatività. Volevo andare a una scuola di recitazione ed esprimermi con il mio corpo. Mi trovavo in una situazione difficile e un prof di filosofia si propose di darmi lezioni per un anno, per permettermi così di avere un posto dove stare e potere così entrare nella scuola di recitazione. L’ambiente a scuola a Bucarest era estremamente ostile per me, gli insegnanti erano misogini, i ragazzi tutti ricchi. Provai a fare dei provini e poco dopo riuscì ad ottenere un ruolo in una serie BBC con Anamaria Marinca [co-protagonista di Housekeeping for Beginners]. La mia prima scena di sempre fu proprio con lei e lei fu capace di incoraggiarmi molto. Ora, 16 anni dopo, mi trovo di nuovo a dividere la scena con lei ed è un onore. In questi anni, ho usato il cinema e il teatro per raccontare le storie del popolo Romani e spero che dopo questo progetto, imparino a considerarmi anche una persona a prescindere dalla mia provenienza.

Come siete riusciti a costruire la queer family centrale al film?

Goran: Si procede per prove ed errori, ma allo stesso tempo penso non si tratti nemmeno di un processo conscio. Abbiamo parlato per ore e si è creata tra di noi una connessione naturale. Sul set c’è sempre questa battuta per cui io sono la madre e il produttore il padre. Quando faccio il regista, non voglio dare degli ordini, vogliono accudire queste persone ed essere dalla loro parte. Spesso la recitazione può essere un’esperienza molto solitaria, anche se si hanno dei partner di scena, e volevo creare quel senso di sicurezza, sia individuale che di gruppo. Spesso incentivavo gli attori a passare del tempo insieme, non solo a provare ma anche a vivere insieme.

Quando leggo una sceneggiatura insieme al mio cast mi piace soffermarmi su ogni frase, per essere sicuri di essere tutti sulla stessa pagina per quello che riguarda le intenzioni della parola scritta. Possiamo parlare tutti insieme, fare domande, seguire il nostro istinto e l’improvvisazione. Ognuno sente il proprio ritmo. Penso sia soprattutto importante avere attori che riescono a rendere possibile questo ambiente: mi piace legarmi a loro prima come persone che come attori.

Cosa significa “famiglia” per voi? Sia come famiglia scelta che come famiglia di sangue.

Goran: Io son stato molto fortunato perché son cresciuto in una famiglia molto grande, con questo senso di famigliarità e caos. Con tutte queste generazioni era facile che i rapporti di età si mescolassero e che considerassi cugini e zii più come fratelli. In Australia non mi son mai sentito realmente a caso, è un paese troppo dispersivo e vuoto. Son felice di avere come famiglia ora mio marito e i nostri scaffali dei libri, ho quella sicurezza granitica che cercavo da tempo e posso inseguire la bellezza in tutte le sue forme.

Alina: Io, come dicevo prima, ho vissuto la solitudine di non avere una famiglia. La vita mi è successa come al mio personaggio, ma sono la persona che sono oggi anche grazie a questo. Soprattutto son riuscita a crearmi una famiglia queer, dove ci sono persone da tutti i background, dove abbiamo condiviso la rabbia per le discriminazioni che subivano gli altri. Mi hanno sostenuta durante i Q&A di un mio spettacolo dedicato alla schiavitù, sapendo che era un tema difficile e che molti lo avrebbero criticato. Son stati la mia rete di supporto, anche se non avevamo rapporti di sangue ed è ciò che ho amato anche nel film. Ci sono amicizie molto più forti di legami famigliari, persone che chiameresti alle 3 di notte e sai che risponderebbero.

Credit: Viktor Irvin Ivanov / © 2023 FOCUS FEATURES LLC

Nei tuoi film tutti i protagonisti sembrano vivere un particolare senso di individualità.

Goran: Mi sono accorto anch’io che tutti i miei film mettono al centro delle persone che agli occhi della società sono degli outsider, sia nel senso interiore che esteriore. Non si tratta di un’ideologia, i sentimenti sono universali. Spesso quando parliamo di artisti o protagonisti abbiamo un’idea molto precisa in mente di chi possa esserlo e a me piace vedere qualcuno che possa essere faccia della condizione umana e la sua specificità non lo rende meno universale. Inoltre c’è sempre questa idea che i personaggi debbano essere gradevoli e io invece apprezzo che si possano arrabbiare, che possano lottare e volere di più. Quando abbiamo fatto delle prime proiezioni del film, una persona ci ha chiesto perché Dita fosse così arrabbiata e penso che se qualcuno si trovasse nella sua posizione lo sarebbe ugualmente.

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