Quando si parla di fantascienza, di certo non si pensa, perlomeno subito a un’opera come Die Theorie von Allem, il film del regista tedesco Timm Kröger presentato in concorso all’80° Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Un presentatore, nella prima scena, introducendo il timido Johannes Leinert (Jan Bülow) in occasione della presentazione del suo romanzo associa la fantascienza più a universi come quello di Flash Gordon che alle nevose montagne svizzere. Davanti ai suoi commenti, l’autore nega sommessamente che quella sia fantascienza, anzi quella non è nemmeno una storia, ma un ricordo.

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Johannes è un semplice dottorando in fisica, isolato a causa della maggiore maturità ma desideroso di soddisfare una famiglia esigente, quando, nel mezzo della scrittura della sua tesi, accetta di seguire il suo tutor (Hanns Zischler) sulle Alpi Svizzere, dove lo scienziato iraniano Sharam Amiri svelerà una nuova teoria di meccanica quantistica, denominata “la teoria del tutto”. Quando però gli uomini arrivano nel lussuoso resort, viene annunciato che il congresso non ci sarà, quindi gli ospiti decidono di prendere quel periodo come un momento di svago per sciare, provare nuove teorie e insultarsi a vicenda in nome di passate faide. 

Sopra l’albergo nel mentre le nuvole sembrano annunciare tragedie e degli strani uomini con cappello e cappotto le fissano cercando delle risposte. Johannes si lascia incantare da una misteriosa pianista, Karin (Olivia Ross), che sembra sapere molto sul conto dell’uomo, anche se in apparenza non si sono mai conosciuti in precedenza. Da vacanza la settimana bianca si trasforma lentamente in qualcosa di spettrale, costellata da morti ed eventi al limite del paranormale.

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Die Theorie von Allem funge, come spiega il suo regista, da Gatto di Schrödinger, essendo un’opera che si diverte a giocare con i contrari, con spazio chiaroscurali che gettano fumo negli occhi del suo protagonista e dello stesso spettatore. Johannes è contemporaneamente un genio e un timido paranoico, Karin è un possibile amore ma anche una possibile rovina. Il caos scalpita sotto una superficie ordinata ed esce dagli spazi più bianchi e controllati. Il bianco e nero trasforma ogni immagine in un tetro nascondino di tranelli, dove ciò che non si vede è più importante di quanto viene messo in primo piano.

È facile cogliere nel film di Kröger, scritto in collaborazione con Heino Deckert, il desiderio di riprendere alcuni grandi maestri del passato come soprattutto Hitchcock, ma nonostante sia un’opera che dal punto di vista prettamente stilistico calca forse fin troppo da vicino il cinema degli anni ‘50, riesce a trovare una sua necessaria originalità, tra la paranoia tipica del periodo del dopoguerra in cui Die Theorie von Allem è ambientato ma anche una vena misteriosa, sfuggevole, che guarda anche al genere spionistico. Se il film sacrifica in parte la caratterizzazione dei personaggi e semplifica i loro rapporti (l’effettiva origine della storia d’amore tra Johannes e Karin è molto nebulosa e rende difficile interessarsi al loro rapporto), lo fa in nome di una missione più complessa e coinvolgente che prova a spiegare il Tutto che l’uomo affronta ogni giorno, smontandolo per poi rileggerlo in chiavi inedite.

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