Il tempo è un mistero. Non è facile trovarne una definizione univoca che racchiuda tutte le sue sfumature. Nell’antica Grecia vi erano addirittura quattro parole per parlarne: Chronos per il tempo cronologico, Kairos per un momento speciale, Aion per il tempo eterno e Eniautos per indicare un anno preciso. Da questa confusione semantica scaturisce L’ordine del tempo, il nuovo film di Liliana Cavani presentato fuori concorso all’80° Mostra d’arte cinematografica di Venezia in occasione della consegna del Leone d’oro alla carriera alla regista. Nella prefazione del saggio omonimo di Carlo Rovelli, da cui è nata la sceneggiatura di Cavani e Paolo Costella, si dice “L’intera Fisica è la scienza di come le cose evolvono nell’Universo secondo l’Ordine del Tempo”. Nel film, tuttavia, la Fisica diventa un pretesto, un concetto lanciato in mezzo alle frasi dei personaggi per confondere altri, per cercare di afferrare massimi sistemi senza però mai capirli realmente. Il tempo stesso è una giustificazione per le scelte, spesso assurde nonostante la situazione, e la famosa riflessione promessa fin dal principio rimane solo in superficie, se non quando cade nella più totale banalità.

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L’ordine del tempo, nella sua forma filmica, colloca un gruppo di amici in un luogo imprecisato della costa romana in una villa sul mare, in occasione del cinquantesimo compleanno di Elsa (Claudia Gerini), un avvocato in una relazione apparentemente felice, che però rimpiange ancora il primo amore. Mentre son lì riuniti tra balli, chiacchierate e tradimenti, ai telegiornali si inizia a mormorare di un asteroide che potrebbe colpire la Terra di lì a poco. Il fisico Enrico (Edoardo Leo) cerca di nascondere la gravità della situazione, mentre la domestica della famiglia (Mariana Tamayo) soffre in silenzio ascoltando una radio cilena, l’unica capace di dire la verità. Potrebbe essere il loro ultimo giorno sulla Terra e i personaggi reagiscono come qualsiasi umano reagirebbe: restano isolati in questa casa al mare, senza interagire con nessuna persona a loro cara, parlando delle loro relazioni e ballando su canzoni di Leonard Cohen.

C’è chi nega la caduta dell’asteroide perché la borsa lo avrebbe previsto, c’è chi tira in ballo la Shoah, c’è chi preferisce ricongiungersi con amori del passato e programmare viaggi in Tibet. Nessuna persona in L’ordine del tempo si comporta in modo ragionevole: la situazione in cui vivono è fuori dall’ordinario, ma la scrittura didascalica, la necessità di parafrasare ogni singola cosa che succede sullo schermo, i ragionamenti che, in modo molto poco profondo, potrebbero essere paragonati ai commenti di qualsiasi pagina Facebook dedicata alle teorie cospirazioniste, privano i personaggi di ogni umanità per renderli meri automi.

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Il film stesso sembra essere il prodotto di un automa, costruito da un generatore automatico che si diverte a inserire nuove sottotrame nei momenti più casuali e a dimenticarle dopo cinque minuti. Sul finale forse arriva l’elemento più insensato, che per ragioni di correttezza non verrà anticipato, anche perché merita di essere esperito in tutta la sua totale follia. Oltre alle assurdità, è anche costellato di alcune inspiegabili imprecisioni: in una scena, Enrico, mentre parla con Pietro, il personaggio di Alessandro Gassmann, dice “Scusa, Alberto”. Nel film non esiste nessun personaggio di nome Alberto.

Nelle sale dal 31 agosto, L’ordine del tempo potrebbe essere descritto, come hanno fatto altri molto correttamente, come il punto di incontro tra Perfetti Sconosciuti e Don’t Look Up. Il film, tuttavia, non riesce a imitare la forza e l’intensità di nessuno dei due, bloccandosi in un eterno girotondo di banalità e confusione, che cercano nella Fisica un appiglio incerto che possa dare una maggiore autorità alle proprie idee.

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