Il connubio tra cinema e sport sta prendendo sempre più spazio. Succede anche al TFF40, dove ieri l’entusiasmo del pubblico ha accolto La Bella Stagione, documentario di Marco Ponti sulla gloriosa stagione della Sampdoria.

Lo sport è bello perché ogni gara di qualunque disciplina è una storia sempre diversa con uno inizio canonico, uno sviluppo variabile e un finale incerto. È una storia in gran parte vera (a seconda delle decisioni arbitrali), che si presume sincera (fino agli esami antidoping) e soprattutto è una storia di persone, dove spesso il carattere prevale sulla tecnica e sulle doti atletiche. È anche una storia millenaria se è vero che in tutte le letterature si descrivono gare. Forse è per questo che negli ultimi anni film e docufiction legate allo sport hanno successo, stanno proponendo nuovi canoni narrativi e cercano di presentare i protagonisti nella loro umanità, al di fuori della retorica e delle mezze verità di giornali e televisioni, desiderosi di non infrangere l’aura di miti molto remunerativi.

TFF40 La bella stagione recensione

La bella stagione è un documentario diretto da Marco Ponti ispirato ad un memoire scritto a quattro mani da Gianluca Vialli e Roberto Mancini. Inizia a Genova nel 1989 con quella che non era ancora, anzi non lo era affatto, la grande Sampdoria di Vujadin Boskov, e termina a Wembley con la vittoria della nazionale italiana agli europei del 2020, il cui staff tecnico ero composto quasi completamente da ex-sampdoriani campioni d’Italia.

Sampdoria: le origini del successo

All’origine c’è un presidente intelligente, Paolo Mantovani, che non solo assembla un’ottima squadra, ma impone uno stile rispettoso ed elegante non proprio diffuso tra i proprietari di squadre di calcio. Ha un allenatore geniale, Vujadin Boskov, diventato maestro di vita suo malgrado se è vero che molte sue massime resistono da più di trent’anni. Nel film sono entrambi onnipresenti nelle parole dei protagonisti ma si vedono poco perché parlano i vivi, e, come si suol dire, fuori dai denti. Parlano tutti e dicono soprattutto il non detto, scoperti e sinceri come quelli che hanno visto tutto, vinto molto e non gli importa più niente delle convenzioni. I giocatori ci sono quasi tutti, in ordine alfabetico: Ivano BonettiToninho CerezoGiuseppe DossenaMarco BrancaToninho CerezoGiuseppe DossenaGiovanni InvernizziMarco LannaAttilio LombardoRoberto ManciniMoreno ManniniGiulio NuciariGianluca PagliucaFausto PariLuca PellegriniGianluca Vialli e Pietro Vierchowod. Special guest il magazziniere, una miniera di retroscena, e le signore Boskov e Mantovani e Beppe Bergomi a rievocare un cazziatone tra lui Mancini che costò ad entrambi due giornate di squalifica.

La storia dello scudetto 1989-1990 tiene la gran parte del film, e crea già di per sé una suspence perché fu una vittoria tutt’altro che lineare e scontata. Quell’anno passa soprattutto nei racconti dei giocatori, arguti, brillanti, vivaci, fuori dai cliché, oltre che nei filmati di repertorio con riassunti brevissimi delle partite chiave, nel bene e nel male. I giocatori parlano molto di loro ma ancora di più dei loro compagni e descrivono una squadra che si rivela quasi perfetta proprio nelle dinamiche umane. Quasi perché la storia di Luca Pellegrini, gravemente infortunato e mai più rientrato per non sconvolgere i nuovi equilibri di squadra che nel frattempo si erano consolidati, resta una ferita non del tutto sanata.

Il film corre “come cervo che esce di foresta” e si vorrebbe che non finisse mai. Si ride e si piange senza un attimo di tregua, si crede a tutto ma chissà se è tutto è vero, comunque non importa, a noi piace così.

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