Ci sono storie che devono essere raccontate. Storie così importanti da rendere impossibile il non portarle a conoscenza del grande pubblico. E che anche i più grandi eventi di cinema non possono sottovalutare. Questo il caso di Women Talking diretto da Sarah Polley, dalla scorsa settimana nelle sale italiane. Durante la lunga notte degli Oscars95, il film si è – meritatamente – aggiudicato – la statuetta per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.

Il diritto di scegliere

Women talking è l’adattamento cinematografico del romanzo Donne che parlano di Miriam Toews. A sua volta, la scrittrice canadese, nel raccontare questa storia nel 2018, si era ispirata a fatti realmente accaduti nella colonia di Manitoba, in Bolivia, nel 2011. Ma, allo stesso tempo, Sarah Polley porta sul grande schermo le storie di tante donne, in tante comunità, in tanti paesi. Il suo film è, infatti, ambientato in un non luogo e si sviluppa in un tempo non definito. Le donne di Women talking potrebbero essersi riunite nel granaio di una remota area rurale statunitense come dietro casa nostra. E la loro discussione essere avvenuta secoli fa, come essere in procinto di svolgersi domani. Questo uno dei punti di forza del film: è una storia universale, riguarda tutte le donne. E cerca di parlare a tutti gli uomini del mondo.

Le protagoniste sono donne di ogni età. Che per anni hanno subito violenze e soprusi. E si ritrovano nella consapevolezza di non poter continuare a vivere così. Devono scegliere. Scegliere se accettare la loro condizione senza lamentele, decidendo di restare in un sistema che le vuole solo madri e succubi del volere degli uomini della comunità. O di partire. Verso una nuova comunità, in cui la loro voce conti, in cui riacquisire il diritto di pensare, di esprimere il loro giudizio.

La trama

Le donne di una colonia mennonita isolata e senza nome scoprono un segreto scioccante sugli uomini della comunità che da sempre controllano le loro vite e la loro fede. Dopo aver sorpreso un uomo all’interno della camera da letto di una giovanissima abitante della comunità, diventa impossibile nascondere che, per molti anni, gli uomini hanno usato anestetici per drogare e violentare le donne e le ragazze di notte, causando spesso gravidanze indesiderate.

La tradizione della comunità è quella di mantenere la donna in uno stato di non scolarizzazione e analfabetismo. Sconvolta da questa rivelazione, Salome (Claire Foy), vittima e ora madre, attacca violentemente gli uomini con una falce prima di essere trattenuta e, mentre gli uomini si allontanano per andare a pagare la cauzione a coloro che sono stati arrestati, riunisce altre sette donne della colonia: Ona (Rooney Mara), Mariche (Jessie Buckley), Agata (Judy Ivey), Greta (Sheila McCarthy), Mejal (Michelle McLeod), Autje (Kate Hallett) e “Scarface” Janz (Frances McDormand). Accanto a loro scelgono di chiamare il maestro dei ragazzi, August Epp (Ben Whishaw), chiamato a verbalizzare quella che sarà la prima occasione di voto per le donne della comunità, ma a restare in silenzio. Perché solo la loro voce ora conta davvero e solo loro potranno prendere una decisione in base alle tre possibili opzioni: non fare nulla, restare e combattere o andarsene.

Women talking Oscar recensione

Oltre i confini della comunità

Sin dalle prime inquadrature, appare evidente che Sarah Polley voglia lasciare che la scena sia interamente dominata dalle Women Talking. Lasciando che siano le donne, finalmente, a parlare. E confinando il solo uomo presente (un emozionante Ben Whishaw, capace di riempire la scena con i suoi silenzi e, anche fisicamente, ad assumere quella posizione di ascolto necessario a far comprendere sia la posizione del suo personaggio e quella che tutti gli uomini spettatori dovrebbero assumere) in un angolo del fienile in cui tutte si riuniscono. Il suo compito non è quello di farsi portavoce delle posizioni degli accusati né di consigliarle sulla scelta migliore. Lui è lì solo perché gli uomini della comunità non hanno mai permesso alle donne di imparare né a leggere né a scrivere, per tenerle pienamente sotto il proprio controllo.

Quelle nel fienile sono donne che non hanno mai varcato i confini della comunità. Né quelli geografici, tanto da non sapere nemmeno in quale regione o paese del mondo si trovino. Né quelli che avrebbero potuto far loro credere che esistessero leggi diverse da quelle stabilite dai loro uomini e dalla fede.

Women talking Oscar recensione

Women talking si presenta come un complesso intreccio di paure e speranze. In cui la dedizione religiosa a cui sono state educate sembra scontrarsi con la volontà di non accettare più di essere umiliate dagli uomini. In cui l’aver accettato per anni – da sempre – di essere violate sia nel fisico che nell’anima non significa arrendersi all’idea che le loro esistenze, come quelle dei loro figli, debbano continuare ad essere incentrate sul terrore, la violenza, l’impossibilità stessa di poter pensare.

Un cast tutto al femminile (più uno)

Il racconto cinematografico – seppur profondamente teatrale nella messa scenica – di Sarah Polley riesce a risultare di così forte impatto anche grazie al prezioso contributo che uno straordinario cast di attrici ha saputo dare alla regista canadese.

Se, da un lato, ad una delle co-produttrici del film, Frances McDormand spetta il ruolo della veterana della comunità che non conosce un’altra vita possibile e non osa anche solo pensare di poter vivere in altro modo, a due straordinarie interpreti quali Judith Ivey e Sheila McCarthy spetta il compito di guidare le più giovani nella consapevolezza che non sia troppo tardi per vivere una vita più felice. Le due donne, sentono il peso della responsabilità di aver taciuto per così tanti anni, di non aver lottato prima per evitare che le violenze e i soprusi a cui loro avevano accettato di sottostare non ricadessero anche su di loro. E non debbano ricadere sui loro figli.

Tre attrici che dimostrano – più delle statuette assegnate agli Oscars95 per le migliori interpretazioni femminili – come e quanto Hollywood non possa permettersi di dimenticarsi di loro. Se vogliono evitare di avere delle rappresentazioni di così alto livello e profondità.

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Accanto a loro, tre dei volti più forti nel nuovo panorama americano. Rooney Mara, Claire Foy e Jessie Buckley sembrano dialogare, scontrarsi, litigare e sostenersi allo stesso tempo in ogni scena di Women Talking. Sempre con la stessa forza e incisività. Offrendo alle loro protagonista la forza necessaria ad urlare la loro volontà di dire basta ad un sistema, patriarcale e maschilista, che vuole decidere per loro.

Ma, soprattutto, nelle loro interpretazioni appare evidente il loro sentire il peso della responsabilità che Sarah Polley sembra affidare loro: quello di mostrare come il perdonare non debba implicare la rinuncia a lottare per i loro diritti.

Donne che parlano agli uomini

Con Women Talking, Sarah Polley non intende, esclusivamente, portare al cinema un film femminista. Certo, durante i suoi ringraziamenti ritirando il premio assegnatole dall’Academy, non ha evitato di fare una battuta sul come, per ricordarsi del ruolo che le donne dovrebbero avere nel mercato cinematografico, lei abbia dovuto mettere la parola donne nel titolo.

Ma il film della Polley non è fatto (solo) per le donne. Loro conoscono già quelle storie, quelle dinamiche, quelle violenze e quei biechi tentativi di soffocare le loro voci. Sono elementi che, in un modo o nell’altro, accompagnano la vita di ogni donna lungo tutta la loro esistenza.

Women talking vuole parlare agli uomini. Anche per quello l’unico uomo in scena viene chiamato a restare in silenzio e limitarsi a riportare per iscritto le parole delle donne riunite. Il destinatario di quel verbale sarà proprio lui. Affinché sia testimone tra gli uomini. Che devono ugualmente scegliere: se restare, in modo egualitario, accanto alle loro donne. O accettare di lasciarle partire. Restando soli.

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