Licht – Stockhausen’s Legacy

di Oeke Hoogendijk

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Aus licht, Karlheinz Stockhausen, Pierre Audi, Kathinka, Suzee, Johanna, Wojchiech, Lisenka of Hester,

Non si può dire di aver convissuto con la musica del Novecento senza essersi immischiati con Karlheinz Stockhausen. Immischiati, perché nella sua contemporaneità Stockhausen ha pagato più di uno scotto alla sua eccentricità, alla sua personalità a dir poco assertiva, alle sue scelte esoteriche in un periodo storico in cui schierarsi politicamente era la norma, spesso al centro di polemiche che oscuravano la qualità della sua produzione musicale.

Il racconto di Licht segue due filoni entrambi appassionanti: l’allestimento dello spettacolo e la ricostruzione della personalità di Stockhausen attraverso le testimonianze della sua famiglia molto allargata: due mogli ufficiali, sei figli, due muse codificate e, non viste ma presenti nelle testimonianze, numerose amanti più o meno passeggere.

Nel 2019 la Nationale Opera di Amsterdam in collaborazione con l’Holland Festival mise in scena una sintesi del monumentale Aus Licht, il ciclo diviso nei sette giorni della settimana concepito e musicato da Stockhausen negli ultimi trent’anni della sua vita. Lui stesso non vide mai per intero il suo lavoro, completato ma non rappresentato in tutte le sue parti. L’opera originale dura ventinove ore, nell’occasione sintetizzate in quindici, ambientate in un vecchio gasometro di Amsterdam trasformato in contenitore più o meno versatile. Un’impresa titanica, in lotta con l’interno dell’edificio, fondamentale nella concezione musicale del compositore che vedeva lo spazio come uno strumento aggiunto nonché come area mobile in cui spostare le scene. Vediamo molto presto Pierre Audi, affermato regista d’opera con molti impegni contemporanei in giro per l’Europa, scontrarsi con Kathinka Pasveer e Suzanne Stephens-Janning, destinatarie ufficiali dell’eredità artistica di Stockhausen, nonché prime interpreti di Aus Licht rispettivamente come flautista e clarinettista. La sua esperienza di regista d’opera cozza contro le sicurezze di queste due immense interpreti, che ribattono alle sue obiezioni a colpi di partitura. Lui vorrebbe, ma Karlheinz non voleva: fine della discussione. Sono impressionanti le scene che riguardano l’organizzazione delle prove, scandita lungo due anni di lavoro, con un numero enorme di interpreti, di cui ciascuno, a conti fatti, aveva diritto a sessioni di due giorni e mezzo, però distanza di mesi.

In parallelo corrono le testimonianze dei figli, delle ex-mogli e delle muse ufficiali, ovvero Pasveer e Stephens-Janning. Stockhausen è stato un padre difficile e un marito infedele che riusciva però a far convivere mogli e amanti nella stessa casa. Quasi tutti i suoi sei figli sono musicisti di grande valore, e quasi tutti sono entrati in un duro conflitto con il padre che li considerava parte della sua opera e non persone con volontà propria. Una figlia fu allontanata e misconosciuta perché rifiutò da subito di imparare a suonare e a recitare e a muoversi come voleva il padre. Restano invece sempre soavi e motivate la Pasveer e la Stephens-Jannings, le uniche rimaste a vivere nella grande casa, titolari di un posto nella tomba del maestro, una a destra e l’altra a sinistra, nonché direttrici dei corsi di musica che ogni estate si tengono alla Stockhausen Foundation for Music a Kürten. Sono loro che hanno guidato, dolci ma inflessibili, la messa in scena olandese.

Sullo sfondo, ma vorremmo che passasse in primo piano, un flusso continuo di musica di stupefacente bellezza. Ogni anno che passa aggiunge qualcosa al lavoro di Stockhausen, la sua esattezza, necessità, oggettiva perfezione si manifestano con chiarezza. Una musica bella come una terra nuova vista da lontano, immaginata esattamente come deve essere e com’è.

Il gran finale del documentario è un omaggio alle strumentiste che interpretano il celebre Helycopter Quartett, un lavoro inserito nel Mittwochs (Mercoledì) che non si dà quasi mai perché prevede che i quattro interpreti si alzino in volo con quattro elicotteri, all’interno dei quali ognuno suona la sua parte da solo ma in perfetto sincrono con gli altri, mentre il rumore dei rotori aggiunge la sua voce non scritta, ma fondamentale. Vediamo le ragazze, vestite in diversi colori fluo, salire ognuna sul proprio elicottero e suonare in volo con le cuffie nel tentativo di ascoltare quello che stanno facendo le altre. In sala quattro schermi le mostrano mentre risuona la loro musica amplificata. Fantastiche.

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Helycopter Quartett

Il film è molto ben riuscito, in giusto equilibrio la le vicende della rappresentazione e la ricostruzione della personalità di Stockhausen con le parole dei suoi familiari. Ben scelte le poche immagini d’archivio, tra cui una breve ripresa del compositore mentre dirige un coro con gesti misurati, precisi, efficaci e l’espressione del volto che comunica con misura le intenzioni. Impossibile sbagliarsi.

Daniela Goldoni

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