Susan e Christopher Edwards sono una affiatata coppia che vive a Dagenham, nella periferia est di Londra. Lei fa la bibliotecaria, lui il contabile. La loro un’esistenza quieta, costruita attorno alla volontà di sostenersi a vicenda e alla comune passione per il cinema del passato. Soprattutto per i film western, con Susan che trascina Christopher nel suo viscerale amore per Gary Cooper e tutti i suoi memorabilia, di cui la donna è collezionatrice compulsiva. La loro, in apparenza, una vita semplice e morigerata. Una coppia quasi banale, senza particolari scossoni nella loro relazione. Fino al 2014. Quando, dopo una breve latitanza in Francia, tornano in Inghilterra e si consegnano alla polizia. L’accusa: l’omicidio e l’occultamento dei cadaveri dei genitori di Susan, avvenuti ben 15 anni prima.

Gli Edwards furono condannati a 25 anni di carcere per omicidio volontario. Tuttora si dichiarano innocenti. E la loro storia, le indagini della polizia britannica e l’inchiesta e il processo che ne scaturirono ebbero un’incredibile risonanza sulla stampa e le tv britanniche.

Dalla vicenda di questa coppia inglese e dalle accuse che vennero loro rivolte nasce Landscapers. Un crimine quasi perfetto, miniserie in 4 episodi, disponibile su Sky e Now. La regia è stata affidata al giovane 35enne Will Sharpe, attore/regista, vincitore nel 2021 di un Premio BAFTA per la sua interpretazione nel film BBC Giri/Hajii e giudicato dal Guardian come una dei migliori rappresentanti del cinema indipendente inglese. Ma Landscapers nasce da un’idea e dalla magistrale sceneggiatura (scritta a quattro mani con Sharpe) di Ed Sinclair, che confeziona quattro episodi destinati a nostro giudizio a porre le basi per un profondo cambiamento nella struttura del genere true crime.

Alla base dello sviluppo narrativo della serie, infatti, la volontà di sperimentare con il genere e tra generi. Se, da una parte, la struttura è quella tradizionale della fiction, con una chiara visione romanzata, soprattutto nella spiegazione del rapporto che univa gli Edwards, dall’altra Sinclair e Sharpe uniscono – in un equilibrio ibrido mai scontato ed altamente dinamico – l’utilizzo di diverse fotografie (con passaggi spesso anche repentini da un accesso colore ad un bianco e nero che richiama ai film western tanto amati dalla coppia) e il passaggio a diversi registri narrativi, che vanno dal poliziesco tout court (soprattutto nella parte che riguarda il riportare i serrati interrogatori che i due subirono nella fase iniziale dell’inchiesta a loro carico), al western stesso (funzionale al raccontare la fuga dalla realtà propria di Susan e la volontà di Chris di presentarsi come suo eroe/salvatore), passando per il true crime, con l’inserimento (sul finale di ogni episodio) di stralci di reali servizi televisivi trasmessi all’epoca dei fatti dai tg britannici.

Landscapers – Un crimine quasi perfetto diventa così uno dei prodotti seriali più sperimentali degli ultimi anni, capace di offrire un immaginario filmico assolutamente rivoluzionario su uno dei generi ormai più gettonati della serialità moderna. Sinclair – con i suoi dialoghi serrati e coinvolgenti e una serie di monologhi dall’impressionante impatto emotivo – e Sharpe – le cui immagini traspirano un amore per l’arte cinematografica del passato con il quale carica maniacalmente ogni inquadratura – offrono al pubblico la possibilità di assistere ad un nuovo modo di approcciare la serialità crime, portando lo spettatore a perdersi, letteralmente, tra ciò che è verità e ciò che appare come finzione. Fino a sottolineare come e quanto entrambi gli scenari perdano di importanza di fronte al loro essere assolutamente entrambi plausibili. E quel sottolineare a inizio di ogni episodio il fatto che i due protagonisti continuino a professare la propria innocenza, diventa cifra stilistica di due autori che vogliono solo fare cinema. Senza caricare il loro lavoro di giudizi morali che possano in alcun modo influenzare la qualità artistica della loro serie.

Questo incredibile approccio rivoluzionario dato a Landscapers – Un crimine quasi perfetto è indubbiamente reso possibile non solo dalla bravura dei suoi autori, ma anche dal fatto di aver affidato i ruoli dei protagonisti a due interpreti dall’indiscussa bravura quali Olivia Colman (che, per la prima volta, si cimenta con una parte scritta appositamente per lei dal marito) e David Thewlis (per alcuni, il Professor Remus Lupin della saga di Harry Potter, per gli appassionati di serie tv è Varga nella terza stagione di Fargo e per gli amanti del cinema indipendente è tra i coprotagonisti del discusso Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman).

La Colman interpreta con garbo e rispetto Susan, senza mai rendere macchiettistica questa donna, descritta piuttosto nel suo cercare di fuggire alla sofferenza del suo passato rifugiandosi in un mondo fantastico. Nella sua interpretazione, l’attrice inglese cerca di offrire al pubblico una donna sola, convinta che la sua esistenza possa aver senso solo nell’amore per suo marito o nella convinzione che lui possa trasformarsi nel suo salvatore, capace come il suo idolo, Gary Cooper, di arrivare a salvarla in qualsiasi momento per portarla con sé in un’appassionata cavalcata verso l’orizzonte dell’impossibile. A Thewlis, invece, il compito di caricare il suo Chris di tutta la frustrazione che lo ha portato a sentirsi schiacciato dagli eventi e la rabbia di aver forse deluso la sua Susan. Il non essere riuscito a proteggere la moglie dalla sua costante fragilità e l’umiliazione di essere stato lui, con la sua stessa debolezza, a metterli in pericolo guida lo sviluppo narrativo del personaggio per tutta la durata della serie. E la prestazione attoriale di Thewlis è magnifica nel far percepire allo spettatore la sua incapacità di gestire emotivamente il necessario equilibrio tra l’amore per la moglie e la volontà di difendere se stesso.

In Landscapers – Un crimine quasi perfetto lo spettatore troverà, racchiusi in soli 4 episodi della durata di poco meno di un’ora ciascuno, il connubio perfetto tra intrattenimento puro, inchiesta e grande cinema. Scoprendosi a guardare il bordo della testata del proprio divano, per cavalcare verso il nuovo orizzonte della serialità indicato da Sinclair e Sharpe.

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