Nel 1997, dopo diversi anni di carriera da ingegnere elettronico che gli ha permesso anche lunghi periodi di permanenza all’estero, Pivio (Roberto) Pischiutta firma, insieme a Aldo De Scalzi – al suo amico e sodale musicale dai tempi dei Scortilla – gruppo nato negli anni ’70 dal fermento della new wave genovese e che quell’onda l’ha cavalcata con onore fino al 1984, con la pubblicazione del singolo Farhenheit 451 e la partecipazione al Festivalbar di quell’anno – la colonna sonora per l’esordio alla regia di Ferzan Ozpetek, Haman. Il bagno turco.

Da quel momento, Pivio si è pienamente dedicato alla composizione di musica per il cinema, collaborando con alcuni tra i più importanti registi degli ultimi decenni ed accompagnando questa produzione ad alcuni progetti individuali, culminati con il suo ritorno ai live nel 2019. Ovviamente, nella sua Genova e con un giovane videomaker, Matteo Malatesta, a filmare quel momento. Raccontato nel docufilm Nothin’ At All. Abbiamo parlato con lui, ripercorrendo insieme non solo la sua carriera, ma anche i recenti successi decretati dalla pubblicazione di un’edizione speciale della colonna sonora di Diabolik (per la regia dei Manetti Bros., che trovate ancora in sala e vi invitiamo ad andare a vedere), dei progetti audiovisivi legati al suo ultimo album solista, Cryptomnesia, di uno speciale omaggio al Duca Bianco David Bowie.

Nel 1997 tu e il tuo sodale Aldo De Scalzi esordite come compositori di colonne sonore per il cinema con un altrettanto esordiente Ferzan Ozpetek. Cosa ricordi di quella “prima volta”?

Hamam – Il bagno turco è fonte di molti ricordi. All’epoca mi occupavo di cose assai distanti dal mondo della musica applicata, ero ingegnere elettronico e lavoravo in questa veste per il giornale spagnolo El Pais. Con Aldo De Scalzi avevo realizzato un disco, Deposizione, a nome Trancendental (che poi eravamo, appunto, noi due con qualche “piccolo aiuto di nostri amici”). Questo album, per motivi ora troppo complicati da raccontare, era dapprima arrivato alle orecchie di Marco Risi e Francesca D’Aloja, rispettivamente produttore ed attrice protagonista del film d’esordio di Ferzan Ozpetek. Proprio lui dopo un po’ di tempo mi contattò per parlarmi di un suo progetto … la cosa davvero bizzarra è che lui abitava esattamente di fronte a casa mia, a non più di una trentina di metri di distanza ! Da quell’incontro nacque la nostra collaborazione. L’idea era quella di realizzare in dodici giorni la colonna sonora: all’epoca non avevo (e lo stesso vale per Aldo) nessuna idea di cosa significasse scrivere e realizzare le musiche per un film per cui la cosa ci era sembrata assolutamente fattibile.

Ascolta il brano Hamam, tratto dalla colonna sonora del film di Ferzan Ozpetek

Ma tant’è che in effetti in dodici giorni eravamo riusciti a completare l’impegno; a parte alcuni tagli fatti sul primo brano percussivo (peraltro utilizzando le antiche tecniche analogiche della moviola con l’uso della pellicola, niente di digitale), quello che si sente ancora oggi nel film è esattamente quello che avevamo preparato a casa di Aldo a Genova (per comodità avevamo spostato lì tutto l’armamentario). La necessità di chiudere il film in un periodo molto breve era dovuta al tentativo di andare al festival di Venezia, cosa in realtà abortita ma in realtà le sorprese non erano ancora finite. Dopo un po’ Ferzan mi chiamò al telefono (rigorosamente fisso, altri tempi in effetti) per annunciarmi che eravamo stati selezionati dalla Quinzaine des realisateurs a Cannes ! A Cannes ! E quando mai avrei potuto fare un altro film … per di più selezionato per il festival di Cannes. Allora decisi di prenotare un viaggio di un paio di giorni, organizzando autonomamente il tutto e prendendo qualche giorno di ferie dal mio lavoro spagnolo, e, accompagnato da mia moglie Carmen Giardina (che peraltro aveva, anche lei, partecipato al film come attrice), eccomi proiettato da absolute beginner nel rutilante mondo festivaliero. La proiezione fu un trionfo ed io non avevo realmente capito cosa mi stesse succedendo, tant’è che però una volta tornato a Roma per ripartire a Madrid, proprio sul volo Roma-Madrid scrissi di getto il foglio che avrei consegnato alla direzione del giornale e contenente le mie dimissioni immediate ed irrevocabili. Ecco, più o meno tutto è iniziato così … e da allora non ho più smesso. Peraltro, oltre alla soddisfazione di vedere il film proiettato in tutto il mondo, aver venduto 300.000 copie del disco della colonna sonora, con Aldo abbiamo pure rischiato di arrivare all’Oscar (ma questa è un’altra storia … magari ne parliamo un’altra volta).

Da allora siete diventati tra i principali e più ricercati compositori per il cinema italiano. Come è (se è) cambiato il modo di lavorare su una colonna sonora?

Come ti dicevo, abbiamo esordito ancora in epoca analogica, anche se noi facevamo già ampio uso di campionatori e di programmi che poi sono evoluti nel tempo in quello che viene utilizzato ancora oggi. Da parte mia, la differenza fondamentale è la consapevolezza con cui ora mi approccio alla scrittura di uno score. All’epoca non avevo alcuna esperienza in merito se non quella raggiunta da anni ed anni di frequentazione delle sale cinematografiche come spettatore. Mio padre aveva iniziato a farmi vedere film già dall’età di tre anni, e quindi sono venuto su a storie in peplum, western, fantascienza, noir (se penso a quanto fossero distanti ed alti, a modo loro, questi stimoli che ho potuto assaporare rispetto a quelli che vengono forniti ora al pubblico giovanile, vabbé, lasciamo perdere), tutto materiale che mi era entrato in circolo e che non aspettava altro che poter uscire allo scoperto. Nelle quasi 200 colonne sonore realizzate in questi 25 anni di attività ho avuto modo di confermare un’unica regola che ho imparato sul campo, vale a dire che non esistono regole. Ed è il motivo per cui riesco ancora a divertirmi, altrimenti avrei probabilmente cercato altre direzioni. Certo, con l’avvento del digitale alcuni tempi di produzione si sono fortemente compressi (se pensi che per i primi film la sincronizzazione sulle immagini avveniva attraverso dei VHS, fatti partire a mano ogni volta perché di automazione non se ne parlava ancora) ma anche le modalità di presentazione delle fasi intermedie si sono fortemente evolute con alcune profonde ricadute  su tutto il processo produttivo: di fatto ora sarebbe impensabile presentare provini realizzati con suoni temporanei di bassa qualità o semplicemente suonati al pianoforte, dato che si suppone (e questo richiede spesso tempi non proprio improvvisati) che con le librerie musicali presenti sul mercato sia possibile creare dei prototipi virtuali sostanzialmente assai vicini al risultato finale in cui potrebbe (ed uso il condizionale non a caso) intervenire un’orchestra vera e propria, sempre che sia richiesto questo tipo di suono. Tutto ciò peraltro sta creando non pochi problemi relativamente al coinvolgimento di musicisti veri e propri nella realizzazione di prodotti rivolti all’audiovisivo, da cui per esempio deriva la fine di molte organizzazioni orchestrali che in passato trovavano proprio nelle colonne sonore una fonte continua di occupazione e che ora spesso vengono percepite come obsolete, in quanto sostituibili (che follia) con gli strumenti virtuali.

Pivio, ospite di Sedicicorto Forlì International Film Festival a ottobre 2021 (Ph. Julia Upali for Sedicicorto)
Come è nato il sodalizio con i Manetti Bros.?

Tutto nasce per l’episodio pilota de L’ispettore Coliandro, intitolato Il giorno del lupo. Per quell’occasione i Manetti Bros. ci avevano contattato e proposto di muoverci nell’ambito della blaxploitation, del poliziottesco e quindi del funky in generale, un mondo musicale che sia ad Aldo che a me ha sempre suscitato grandi entusiasmi (non dimenticare che da bambino quelli erano i tipi di film che andavo continuamente a vedere …). Per cui, dopo una serie di incontri in cui si era discusso con maggiore dettaglio l’idea di partenza ci siamo chiusi in studio con alcuni nostri fidati collaboratori, gli stessi che continuano ad affiancarci anche ora, ed abbiamo “giocato” per una settimana creando la base su cui abbiamo poi costruito quello che è diventato nel tempo il caratteristico suono de L’ispettore Coliandro. E tieni presente che non avevamo la più pallida idea che quel pilota potesse poi dare adito a ben altri 34 film su questo personaggio. Indubbiamente una delle esperienze artistiche che più ci ha segnato nel tempo.

Tu e Aldo avete composto anche la colonna sonora del loro ultimo film, Diabolik. Quanto conoscevi il personaggio delle sorelle Giussani e come e quanto ti sei ispirato al fumetto?

Sono nato nel 1958; quando Diabolik vedeva le stampe per la prima volta io avevo solo 4 anni. Ne avrei dovuto aspettare almeno altrettanti per leggere le copie che mi padre acquistava all’epoca, per cui, anche se probabilmente all’epoca non avevo tutte le necessarie informazioni per comprendere appieno la caratura del personaggio, ricordo che mi piacevano le sue storie così distanti dalle altre mie frequentazioni (ero un appassionato lettore de Il monello e del Corriere dei piccoli ma pochi anni dopo, nel 1970, sarei diventato marveliano convinto). Insomma, l’imprinting era già bello presente e per diverso tempo ho continuato ad immergermi nelle storie di Clerville. Tuttavia, più che una specifica ispirazione al fumetto, direi che per la scrittura della colonna sonora di Diabolik con Aldo ci siamo rivolti ai ricordi sonori di quel periodo, alle sperimentazioni con i primi synth ed alle atmosfere dei thriller di Hitchcock musicati da Bernard Hermann o ai film d’azione con le mirabolanti orchestrazioni di Lalo Schifrin.

Le 33 tracce accompagnano scena per scena il film. Guardandolo si ha la sensazione che le note accompagnino (fino quasi a guidare) i movimenti degli interpreti. A volte, la musica parla più di loro. Come (se) avete cercato questo effetto?

In realtà i brani musicali realizzati per il film sono molti di più, stiamo parlando di oltre 100 minuti di musica, quasi tutta orchestrale. Anche in questo caso tutto nasce dagli incontri con i Manetti Bros. e con loro avevamo concordato un approccio orchestrale, con i punti di riferimento di cui parlavo prima. E in quegli ambiti noi ci siam mossi avendo peraltro in testa l’obiettivo di costruire il tutto con un tema portante, possibilmente sempre presente, anche se in maniera a volte non troppo esplicita, in tutta la colonna sonora. D’altronde un personaggio iconico come Diabolik meritava un segno distintivo che ne richiamasse continuamente la presenza, anche nel caso in cui fisicamente non era presente su scena. La scrittura, iniziata verso la fine del 2019, si sarebbe conclusa intorno a febbraio 2020, ma per l’insorgere della pandemia, abbiamo dovuto attendere parecchi mesi prima che si creassero le condizioni minime per entrare in sala di registrazione con tutti i musicisti previsti. Per garantire l’ambiente più sicuro possibile per chi avrebbe eseguito gli oltre 100 minuti di musica originale previsti su scena, con il fondamentale aiuto degli storici collaboratori Luca Cresta e Claudio Pacini, l’impianto orchestrale è stato smembrato in micro gruppi di non più di 5/6 persone alla volta. Ma, incredibilmente, il risultato finale suona esattamente come se tutta l’orchestra fosse stata coinvolta nella stessa sessione di registrazione.

L’uscita del film è stato accompagnato dalla pubblicazione di un doppio vinile in versione limitata e numerata. Cosa puoi raccontarci di come sia nata questa edizione così speciale?

Il nostro lavoro per il film Diabolik è stato editato e prodotto dalla nostra società di edizioni Creuza e dalla Curci con la gestione dell’uscita in vinile della storica etichetta discografica Carosello. Con Alfredo Gramitto Ricci, il patron delle edizioni Curci, abbiamo concordato dapprima l’uscita in vinile e poi, vista la mole di lavoro fatta per il film, l’dea di un doppio vinile. La nostra è chiaramente una scelta un po’ pazza (francamente non ricordo di un’uscita in doppio vinile di una colonna sonora da non so quanto tempo) ma è anche una presa di posizione politica ben precisa, contro la “liquidità” delle proposte musicali attuali. Personalmente trovo insopportabile una fruizione distratta e limitata nel tempo, già alla fonte costruita per assecondare la presunta soglia di attenzione (di pochi minuti) del pubblico. Io insisto nella mia crociata per un ascolto musicale consapevole e che dia spazio all’approfondimento.

Oltre alla musica per il cinema, non hai abbandonato i tuoi progetti musicali individuali. Dal 1° gennaio tu e Matteo Malatesta state pubblicando sui vostri social alcuni videoclip speciali dal tuo album Cryptomnesia. Come è nata questa idea?

Con Matteo Malatesta è in corso da tempo una fattiva collaborazione nata qualche anno fa con un primo documentario. Quando il 3 maggio del 2019 sono tornato a calcare un palco come cantante, dopo 35 anni di assenza in questa veste, sto parlando di un concerto tenutosi alla Claque di Genova in cui avrei proposto dal vivo per la prima volta parte del mio catalogo solista con una band propriamente detta (peraltro composta da musicisti che collaborano con Aldo e me nelle nostre colonne sonore per cinema e tv), ho immediatamente pensato di coinvolgere Matteo nel tentativo di fissare in qualche modo quell’esperienza. Poi, nel momento in cui abbiamo a mettere insieme le immagini, ci siamo resi conto che avevamo per le mani qualcosa di più articolato che non la “mera” documentazione di un concerto e così ci siamo messi a costruire, con tempi molto tranquilli, un film, Nothin’ At All, che è diventato invece l’occasione per esporre, oltre ad un’idea musicale, un’idea ben più ampia, di ciò che è diventato oggi il mondo dell’arte e della cultura in generale. E dato che squadra che vince (si fa per dire) non si cambia, avendo poi fatto uscire un album solista, Cryptomnesia, nato in piena pandemia, e non avendo mai promosso veramente la mia musica con adeguati video, abbiamo pensato di costruire qualcosa di organico, tre uscite per altrettanti brani, a cadenza quasi settimanale, vale a dire Mask, Cryptomnesia ed infine Resistance is futile.

Tutti questi video (che peraltro mi vedono in un modo o nell’altro protagonista) saranno pieni di citazioni, anche esplicite, a quelli che entrambi consideriamo piccoli capolavori della cinematografia passata, basti pensare che l’ultimo, Resistance is futile, farà ampio riferimento a Zardoz, il film del 1974 di John Boorman con un fantastico Zed interpretato da Sean Connery. I tre video poi verranno raccolti  con un adeguato fil rouge ad unirli su un supporto decisamente inaspettato, il VHS! Mi domanderai, perché il VHS? La risposta è semplice: perché siamo pazzi. E quindi, in quanto tali, ce lo possiamo permettere. Ma magari ne riparleremo a tempo debito. Come puoi forse immaginare, anche questa scelta per un media totalmente desueto ed inadeguato al mercato attuale ha una sua bizzarra e politica logica.

Altro progetto tra musica e audiovisivo è il B-Movie dedicato a David Bowie, uscito l’8 gennaio. Quale il tuo legame con il Duca Bianco e perché questo omaggio?

75 anni fa, l’8 gennaio 1947, nasceva David Robert Jones, meglio noto come David Bowie. Inutile nascondere quanto sia stato un artista che ha segnato un’epoca, anzi più di una, fonte di ispirazione per molti artisti, suoi coetanei e successivi. Quest’influenza si è fatta sentire pesantemente anche nei miei confronti ed è indubbio che il debito artistico che provo nei suoi confronti è altissimo. Durante il concerto di cui parlavo prima, avevo ripreso 3 cover di David Bowie dal suo cosiddetto periodo berlinese.

Guarda B-Movie, tributo di Pivio a David Bowie, estratto dal docufilm Nothin’ At All

Quei tre brani in realtà provenivano da un disco tributo, Lodging a scary low hero (titolo che ovviamente gioca con i titoli dei quattro dischi prodotti all’epoca da Bowie e Brian Eno) che avevo realizzato nel 2017 completamente da solo, ma la possibilità di suonarli con una band vera e propria era tutt’altra cosa. B-Movie corrisponde al recupero di quell’irripetibile momento, ma è diventato anche il nostro modo per omaggiare l’arte di quel fondamentale artista nel giorno dell’anniversario della sua nascita, con un tocco tutto personale ed una testimonianza finale che credo racconti molto del mio legame col Sottile Duca Bianco.

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