Se questo box office di fine estate è indubbiamente nel segno del biopic Oppernheimer di Christopher Nolan (che in 4 giorni ha incassato oltre 5 milioni di euro), è bello vedere come l’opera seconda di uno degli sguardi femminili più genuini e intraprendenti del nostro cinema si attesti al nono posto dei film più visti della settimana. Parliamo di La bella estate, di Laura Luchetti, in sala dal 24 agosto dopo l’anteprima internazionale al Locarno Film Festival.

Dal romanzo al grande schermo

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Cesare Pavese, La bella estate racconta il fiorire sentimentale di Gina (Yile Yara Vianello), da poco trasferitasi con il fratello Severino (Nicolas Maupas, già diretto da Laura Luchetti nella serie Raiplay Nudes) dalle campagne piemontesi in una Torino pre-bellica, ma già in odor del più becero fascismo mussoliniano.

Mentre il fratello stancamente frequenta la facoltà di lettere e si mantiene come lampionaio, Gina trova lavoro presso l’atelier della Signora Gemma (Anna Bellato) come sartina, scoprendo un gusto ed una manualità capaci da subito di ottenere la fiducia della sua datrice di lavoro che le affida commesse con importanti clienti della Torino bene.

Gina, per la prima volta, ha l’occasione di provare la libertà di poter decidere del proprio destino, della propria vita, delle amicizie da frequentare. Senza il pesante fardello di sentirsi giudicata dalle convenzioni familiari. Vuole vivere e scoprire tutto sull’amore e trovare l’uomo giusto per lei. L’incontro durante una refrigerante gita al fiume con Amelia (Deva Cassel) sconvolgerà le sue certezze e il suo equilibrio. Facendole scoprire parti di sé e sentimenti che fino ad allora non aveva mai immaginato possibili e provato.

La bella estate film recensione
Yile Yara Vianello e Deva Cassel in una still di La bella estate di Laura Luchetti, ora in sala

Scegliere come amare

Nelle sue note di regia per presentare al pubblico svizzero il suo La bella estate, Laura Luchetti ha dichiarato:

Questo film parla di una ragazza e del suo corpo che cambia, trasportata dal desiderio di esistere, di essere vista e amata. Si trova in quel momento della vita in cui si diventa adulti, in cui si trattiene il fiato e si mette in atto la più grande libertà: scegliere come amare.

Gina vuole sapere tutto sull’amore. La sua voglia di libertà ed indipendenza sembra andare in collisione con i discorsi accorati su famiglia e valori pronunciate dal Duce che ascolta distrattamente alla radio. La sua giovane età la porta ancora a sentirsi in dovere di portare rispetto al fratello, unica figura maschile di riferimento che ha, e fargli sempre trovare la cena in caldo al suo ritorno dal lavoro. Ma la Torino di fine anni ’30 è viva, piena di cultura, europea, tutta da scoprire. Sarà l’intraprendente Amelia a fargliela scoprire. A portarla tra i pittori bohemiens che le faranno provare per la prima volta l’ebbrezza di perdere il controllo di se stessa con un sorso di assenzio. E la voglia di conoscere il proprio corpo, di imparare ad amarlo. Come scopre di amare quello di Amelia.

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Oltre il pregiudizio

Con una sensibilità ed un’attenzione particolare allo sviluppo sentimentale femminile che aveva già mostrato nel suo esordio, Fiore gemello, e nell’ancora precedente cortometraggio Sugar love (sempre prodotto da quella Kino Produzioni di Giovanni Pompili che ha nuovamente voluto investire sul suo sguardo), Laura Luchetti con La bella estate offre al suo racconto una freschezza e un coraggio non pienamente espressi nel romanzo di Cesare Pavese.

Il rapporto tra Gina e Guido (Alessandro Piavani), il giovane pittore di cui la ragazza si invaghisce e con cui avrà le sue prime esperienze sessuali, è molto più esplicito di quanto non troviamo nelle pagine pavesiane. Ma ci viene offerto con uno sguardo quasi capovolto rispetto al romanzo.

Lo vediamo, infatti, attraverso gli occhi di Gina, percependo il suo senso di incompiuto, di non sentito. Senza giudicarla. Anche la scelta della location per lo studio del pittore – un palazzo abbandonato e decadente – sembra volerci riportare non solo ad una povertà economica dettata da un lavoro e da uno stile di vita non pienamente accettato dalla società dell’epoca, ma anche ad un senso di cupezza. Che, invece, non ritroviamo nelle solari e luminose scene in cui Gina incontro Amelia. Sarà proprio in lei che la giovane protagonista troverà il suo equilibrio più intimo, il suo futuro.

Quando Gina accetterà di non provare più vergogna per quello che sente di essere, saranno la vita e la malattia di Amelia a farle capire quanto l’amore possa essere crudele, fugace. E doloroso.

Laura Luchetti gioca con il pregiudizio lungo tutto lo sviluppo del film. Lo fa regalando al pubblico che quasi si aspetta una piccola produzione una Torino maestosa. Ricca di spunti creativi e prigioniera di un destino che ha relegato durante in ventennio fascista una delle città italiane più europee al ruolo di mera spettatrice degli eventi. Lo fa con semplici movimenti di macchina, che a volte sembrano voler far sentire potente – seppur non nei crismi cinematografici – il vibrare di una camminata sulle strade acciottolate del centro. Come se quelle evidenti vibrazioni servissero a farci entrare nei cuori in subbuglio delle sue protagoniste.

Lo fa offrendo la parte di una delle protagoniste ad una esordiente Deva Cassel. Nipote e figlia d’arte (suo nonno è l’attore e ballerino Jean-Pierre Cassel, mentre i suoi genitori sono gli attori Monica Bellucci e Vincent Cassel), Laura Luchetti la fa scendere dalle più prestigiose passerelle d’alta moda per farle vestire i panni sensuali, ma a livello interpretativo insidiosi di Amelia. Una donna moderna, dalla sessualità non convenzionale per un’epoca in cui alle donne veniva chiesto di essere solo di supporto ai loro uomini. E che, con uno sguardo profondo e pungente ad ogni inquadratura, sembra voler urlare al mondo di lasciarla libera. Deva Cassel accetta e vince pienamente la sfida posta dalla sua regista, offrendo al suo personaggio una grinta ed una forza che non sono comuni in una attrice esordiente così giovane (ha solo 19 anni).

La purezza della sua prorompente bellezza serve anche a far risplendere al suo fianco l’interpretazione, toccante e dirompente, della sua collega Yile Yara Viannello. Uno volto anticamente moderno ed uno sguardo pieno di speranza. Quella che, siamo certi ci porteranno a rivedere lei e la giovane Deva laddove sembrano di meritare assolutamente di stare: sul grande schermo.

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