Per giungere a capire quale motivazione principale mi ha fatto innamorare del cinema in maniera praticamente immediata, ho dovuto cercare di andare indietro nel tempo nei ricordi più foschi e lontani della mia infanzia. Ho cercato di ricordare quali fossero i primi film che avessi visto sul grande schermo. I film che ricordo con certezza di aver visto in una sala cinematografica, scavando tra immagini poco chiare, sono sicuramente I Goonies, uscito nel 1985, di cui ricordo chiaramente il personaggio di Slot, uomo gigantesco dal volto deforme, il bambino cicciottello, e le invenzioni del ragazzetto dal volto orientale, i baci tra adolescenti, i “tracobetti”, Willy L’orbo e il suo galeone pieno di pietre preziose.

Il secondo film che ricordo è Il Nome della Rosa. Ricordo che mio Zio mi fece entrare in sala nascondendomi sotto il cappotto, ero ancora un bambinetto per quel tipo di film. A differenza di quanto accaduto per I Goonies, film che avrò rivisto un numero incontabile di volte, prima per i fatti miei, da ragazzo, e poi insieme ai miei figli di diverse età, da adulto, Il Nome della Rosa è un film che non ho mai più rivisto. Io nel 1986 avevo appena quattro anni, però posso assicurare di ricordare perfettamente il personaggio del frate dislessico e multilinguistico chiamato Salvatore, la scena di sesso in esterno giorno tra Cristian Slater e una Zingarella dal fisico snello ma energico, e l’indimenticabile scena del frate sovrappeso con testa a palla da biliardo, che sudatissimo si auto flagella frustandosi la schiena. Ricordo anche l’atmosfera Caravaggesca, che anni dopo scoprii fu uno dei capolavori del grande Direttore della Fotografia, Tonino Delli Colli.

Più di trent’anni dopo, facendo il direttore della fotografia, orgogliosamente, mi ritrovo a sostenere ancora le teorie di Delli Colli, regole su come deve essere realizzata un’illuminazione artificiale e di come utilizzare la luce naturale in un film. Di come la luce riflessa non possa essere la luce chiave di una scena, per esempio. Usare la luce riflessa è da stronzi, disse il Maestro in varie occasioni.

A me piace il Cinema!

E comunque sono certo che non c’è mai stato un momento in particolare in cui mi sono accorto di essere completamente ossessionato dal cinema. E’ sempre stato così. A me piace il Cinema! E mi piace tutto, da sempre. Quando per la prima volta vidi un video registratore, i VHS iniziarono a entrare in casa mia con grande copiosità, tra il videonoleggio e le collane di Grandi Film che i vari quotidiani e settimanali legavano alle pubblicazioni del sabato, ero certo che in casa mia arrivassero tra i quattro e i sei film a settimana.

Più o meno era questo l’andazzo. E io per un motivo o per l’altro quei film li vedevo tutti. E se consideriamo che a dieci anni divenni il miglior cliente delle videoteca sotto casa, posso dire senza esagerare minimamente, che tra VHS e film visti in sala cinematografica, tra gli undici e i diciotto anni vedevo una media di sedici film la settimana. Ma ad essere sincero, io i film non li vedevo soltanto. Io li rivedevo. Quelli che amavo di più li consumavo. E presto diventai abbastanza esigente. Consideriamo che in quel periodo era molto raro che non finissi un film, come magari accade oggi, con gli sterminati cataloghi delle piattaforme. Ogni titolo aveva la sua possibilità e si fermava alla singola ma attenta visione, solo nel caso proprio non mi fosse piaciuto per niente. Gli altri li rivedevo sempre almeno più di due o tre volte. Le visioni dei titoli di cui mi innamoravo, non si possono proprio contare. Sarebbe come chiedere quanti baci hai dato alla tua prima fidanzatina dei tredici anni? E alla seconda? Non lo so. Tanti. Gliene ho dati tanti. Tantissimi.

Credo avessi tra i quattordici e i quindici anni. Una volta dissi a mia madre, dopo aver visto Un uomo da marciapiede (Midnight Cowboy, di John Schlesinger): Io credo che se uno fa un film così bello dopo possa anche morire.

Non l’ho detto oggi. Non l’ho detto ieri o dieci anni fa. L’ho detto a quattordici anni. E nessuno poteva pensare che poi avrei fatto il regista, o l’attore, o che avrei lavorato nel cinema. Non ero figlio d’arte a nessuno io. Eravamo a Sassari, figurati se qualcuno poteva prevedere una cosa del genere. Eppure io quella frase l’ho detta col cuore. Ci credevo veramente. Credevo davvero che dopo aver lasciato dietro di se un’opera tanto stupefacente, un essere umano potesse anche sparire. Come se si fosse meritato l’immortalità. Ecco quanto era importante il Cinema per me.

Il Cinema è sacro

Per me il Cinema era sacro! Quando a vent’anni iniziai a fare le prime esperienze, filmando per scherzo con gli amici, mi scontrai con la sacralità del cinema. Ia mia esperienza di spettatore mi diceva quanto fosse difficile fare un film. Anzi, io ero quasi sicuro che fosse impossibile. Le riprese che realizzavo erano sempre qualcosa di orripilante ai miei occhi. Mi stavo scontrando soprattutto con l’aspetto artigianale di fare un film. Sembra un Film?, era questa la domanda che continuamente mi domandavo mentre filmavo. E quindo molto rapidamente scoprii quanto fosse serio realizzare delle immagini che avessero potenza grafica e che allo stesso tempo raccontassero dei sentimenti. Però non vorrei che qualcuno possa pensare alla povertà dei mezzi che avevamo a disposizione, non è assolutamente quello il motivo.

Cinema Bonifacio Angius

Il cinema è un’attività di certo costosa, ma lo strumento di cui hai bisogno, quello di cui proprio non puoi fare a meno, quello è sempre gratis. I progressi dei mezzi tecnologici non hanno niente a che vedere con la qualità di un opera d’arte. Non lo hanno nella pittura, nella scultura, nel teatro, nella letteratura e soprattutto nella musica. Perché dovrebbe essere diverso per il cinema?

Oggi con delle attrezzature super economiche si raggiungono standard tecnici elevatissimi. Oggi quasi tutto “sembra un film”. Sembra. Sembra, si, ma non c’è stato mai niente di più distante. Questo fenomeno tecnologico non solo non ha migliorato la qualità media di un’opera cinematografica, ha addirittura aumentato in maniera esponenziale il disinteresse verso il Cinema da parte del pubblico. Assistiamo sgomenti ad un numero imprecisato di etichette da appiccicare immediatamente a qualunque film. E quando l’etichetta non è applicabile? Beh, non è un prodotto vendibile, dicono. Oggi si dice Prodotto. Termine osceno che ormai neanche il pubblico stesso si vergogna ad usare. “E’ un buon prodotto”. 

Siamo inermi spettatori di un tragico paradosso e ribaltamento in cui tutto ciò che dovrebbe essere il centro di una qualunque espressione artistica, appare confuso, lontano, incomprensibile. E il centro sta tutto dentro quell’elemento gratuito di cui dicevo sopra. E’ senza ombra di dubbio gratis lo strumento decisivo per giungere alla realizzazione di un ottimo film.

Sono Cabiria

Se non avessi visto Le notti di Cabiria, e se non lo avessi visto proprio in quel momento particolare, probabilmente non ci sarei arrivato così rapidamente. Fortunatamente, nelle mie scorpacciate di film adolescenziali, lasciai fuori Fellini. E per una questione altrettanto fortuita, scoprii la sua filmografia in maniera consequenziale. Lo Sceicco Bianco, I Vitelloni, La Strada, Il Bidone, Le Notti di Cabiria e La Dolce Vita, ebbi la fortuna di vederli di fila tutti in una sala cinematografica in via dell’Ulivo, a Firenze nel 2004. Fu un’esperienza incredibile. Quella sala era sempre gremita. E vedere quel genere di cinema in una visione collettiva, mi fece capire che il cinema sarà sempre uno spettacolo per tutti. Il Cinema sarà sempre Popolare, anche se c’è chi oggi vorrebbe negarlo. 

Cinema Bonifacio Angius

Federico Fellini per me divenne Dio. E mai nessun personaggio mi fece identificare tanto quanto la sua Cabiria, interpretata da Giulietta Masina. Da adolescente ero affascinato dai personaggi del Cinema americano degli anni sessanta e settanta, dal ribelle sfortunato che con rabbia prendeva a pugni in faccia la vita. I personaggi interpretati da Jack Nicholson, Marlon Brando, Paul Newman. Ma io non ero loro. Io ero Cabiria. Un essere umano che più di ogni altra cosa desiderava cambiare vita dal basso della sua solitudine, impotenza e fragilità. Fu quella la chiave sia spirituale ma soprattutto artigianale che aprì in me una grande consapevolezza.

Cinema è autenticità

Fu un concetto che capii molto lentamente. La prima cosa che scoprii è che la bellezza è legata a filo doppio con l’autenticità di quello che filmi. L’estetica, l’onestà e la sincerità, si muovono sempre all’unisono. Vanno di pari passo con quello che senti nel profondo.  E’ l’affezione che hai verso ciò che stai mettendo in scena che conta. Perché se riesci ad arrivare a credere che quanto messo in scena sia una parte di te da condividere con tutti, per poter finalmente urlare al mondo la tua verità, in un vortice di sentimenti sinceri, in cui lo schermo cinematografico annulla tutti i freni inibitori,  e così ogni paura, ostacolo, che spesso rende invivibile la tua inutile vita, si trasformerà in un tripudio di gioia, fare cinema sarà un’occasione che non ti potrai permettere di sprecare. Non la potrai sprecare perché nel profondo riuscirai a immaginare quanto sarà liberatorio il momento in cui dirai al mondo: Eccomi qua, questo sono io. Diventerà una questione di vita o di morte. Te lo giuro, my love.

Da qui in maniera molto diretta ci possiamo riallacciare facilmente con quella sacralità che il Cinema porta con se, che poi non è altro che la creazione di un mondo immaginario e parallelo rispondente all’urgenza del suo autore. E questo sarebbe un “prodotto”? – Ma prodotto ci sarà tua sorella. Questa è la mia vita!

In una recente intervista, l’amico e Maestro Daniele Ciprì, dichiara che in Italia facciamo un cinema orrendo, e spiega anche la ragione: Oggi i registi italiani non lavorano per passione, ma perché fa figo fare il regista. Senza accorgersi, aggiungo io, che questa mentalità balorda renderà i registi sempre meno interessanti, veramente poco fighi. Semmai dei fighetti. Oggi il cinema italiano è composto per lo più da fighetti. Facce da fighetti totali ai vertici di un movimento cinematografico  un tempo tra i più importanti e popolari del mondo. E il pubblico non ha bisogno di fighetti. Il pubblico ha sempre amato gli artisti, quelli veri, quelli che hanno il fuoco. E che sono artisti perché amano la creazione, non gli articoli di giornale o i fotografi.

C’è chi parla di autorialità, di genere, di botteghino. Senza sapere che un film di genere può anche essere d’autore e può fare successo anche al botteghino. E questo lo insegna la storia del cinema, non io. Una grande percentuale di film campioni d’incasso sono sia film di genere che d’autore. Che poi, cosa significa il termine D’autore? Niente. Assolutamente nulla. Ed è qui che arriva il vero tasto dolente. Il sistema produttivo. Le etichette. Le fonti di finanziamento. I produttori. I Fighetti. Gli Artisti. Il Pubblico. Ci sono opere che hanno esiti straordinari nei festival e che invece in sala diventano repellenti.

Trovare il motivo nell’inadeguatezza del pubblico è davvero una vigliaccata. Gli spettatori dei festival sono diversi. Vorreste sapere il perché? Andate a un festival e lo capirete da soli. E comunque, se un autore si convince di essere un genio, perché glielo hanno detto in sei a un festival, dovrebbe andare di corsa dallo psichiatra.

Tra “prodotto” e Arte

Posso prendermi con una certa tranquillità la licenza di esternare il fatto che un progetto che riuscirà ad incamerare maggiori fondi economici dai vari enti che li erogano debba avere queste caratteristiche:

  • A supporto del progetto deve capeggiare un produttore affidabile. Con alle spalle progetti di media visibilità e qualche partecipazione a Festival Internazionali con cui ha mantenuto degli splendidi rapporti.
  • Un copione che non abbia punti in cui sia razionalmente attaccabile. Che tratti di temi già ampiamente discussi e con fazioni ben delineate. Quindi immigrazione si, tossicodipendenza ni. Può essere anche un racconto totalmente privo di slanci vitali. Meglio essere piatti ma giusti. Degli sceneggiatori ubbidienti, di quelli che riescono a farsi piacere la minestrina riscaldata.
  • E un regista, magari anche sceneggiatore, altrettanto mansueto e paziente. Di quelli che se lo chiami e gli comunichi che il film è rinviato “a tra due anni”, non solo resta muto, ma quasi ti ringrazia.

Mi sembra chiaro che un artista con il fuoco sacro che gli brucia nel Corazon, qui non ci stia a fare un bel niente. Perché un artista di slanci vitali ne ha parecchi. Magari certe volte cambia idea. Perché se l’Artista sente puzza di dado Star, magari te lo viene a dire con gli occhi fuori dalle orbite. Perché lui il Cinema lo ama. E soprattutto se a un Artista gli rinvii il film “a tra due anni”, quello si incazza di brutto, e magari si mette a gridare. Si ricorda che era il suo sogno di una vita intera, e quindi si sente autorizzato a mandare a quel paese il produttore con tutto il suo albero genealogico. E il produttore sa benissimo che tutto questo non serve per incamerare il massimo dei fondi a disposizione. E infatti tutto ciò non accadrà mai. Si andrà avanti con la squadretta decisa inizialmente, e probabilmente il progettino prenderà il punteggio più alto a ogni gara.

In Confiteor anche Edoardo Pesce

Girano il film senza ne strilli ne strepiti. Lo montano e vanno in un bel festival. Dopo sei mesi uscirà in sala.  Raggiungerà un incasso di 34 mila euro di cui dovranno dare il venticinque per cento a uno stanco distributore e il trenta ai vari esercenti. Il film è costato due milioni e mezzo. Ma è tutto a posto. Il guadagno è ben coperto da producer fee e tax credit.

Benissimo. E il titolo del film? – Cosa? – Il titolo di questo film? – Ah, non se lo ricordano neanche loro.

La verità nuda e cruda è che di questo ipotetico film nessuno ricorderà mai nulla. Ma per il sistema produttivo non è assolutamente importante. Siamo davanti a un totale fallimento. Sia Artistico che Industriale. Però il “prodotto” è stato a uno tra i festival di Venezia. Di Roma. Di Cannes. Di Torino. E’ stato a Toronto! E tutto si riduce al fatto che una decina di critici ne hanno parlato in maniera entusiastica. Tutto qua.

Non sembra un po’ pochino per un progetto costato circa due milioni e mezzo di fondi pubblici a cui hanno lavorato un centinaio di persone? Non è qualcosa di molto triste? E da cosa viene questa tristezza? Ve lo dico io da dove viene. I pochi incassi? Non proprio. I numeri non sono tutto. A mio avviso la cosa triste è che questo film non vivrà più. Non vivrà più perché gli è sempre mancato, fin dalla sua gestazione, un elemento fondamentale. Uno strumento insostituibile per la realizzazione di un’opera cinematografica. “Ma se avevano due milioni e mezzo!”, direte, “Cosa gli poteva mancare?” No. Siete fuori strada. Quell’elemento fondamentale è sempre gratis.

Ed è come se fosse un seme. Un seme che solo un Artista possiede. Un seme che prende vita dentro di lui. Ma se togli l’artista perché pensi sia un elemento disturbante per incamerare i fondi necessari alla produzione, praticamente quel film non nascerà mai. Perché anche in quei pochi numeri non è riuscito a creare un suo pubblico. Perché forse ci si è dimenticati che un film dovrebbe durare nel tempo. E cosa è che lo fa durare nel tempo? La gente. Il pubblico. Io a quindici anni, quando con gli occhi incrociati, mi immergevo in quel mondo parallelo chiamato Cinema. In quella magia vera. La magia insita nei pericolosi slanci vitali che un Artista vuole urlare nel suo film. E questo maledetto film cresce lentamente dentro di lui, nei suoi sogni, nelle sue notti insonni, nelle sue deliranti speranze di gloria. Questo fa un Artista. Sogna.

Avvicinarsi alla verità

Sapete cosa è il Cinema? Un trucco. Una grande bugia. Una bugia dove avvicinarsi alla verità è l’unica cosa che conta. Non si può mentire in un film. Perché se lo fai rompi l’incantesimo.

Ora vi faccio un semplice esempio. Andare al cinema non è come andare a votare. Uno non vale uno. A livello economico è chiaro che si. Però uno spettatore che si innamora di un film non vale quanto lo spettatore del solito remake pensato esclusivamente per l’incasso. Perché per quanto possa incassare, anche se l’amore è cieco, nessuno si innamorerà mai di un’operazione solamente commerciale. Di un mio film si, questo ve lo posso garantire. Non ha fatto di me un uomo ricco, ma ve lo garantisco. E uno spettatore innamorato sarà un veicolo in cui un film potrà vivere in eterno. E uno spettatore puro, vergine, è sempre e solo quello che viene a vedere il tuo film in sala.

Purtroppo o per fortuna, sono detentore di molti record per il cinema italiano. E’ vero, ma non mi sembra questo il momento per citarli tutti. Se ve ne frega qualcosa, andateveli a cercare. Adesso ne citerò soltanto uno.  Nel 2021 ho realizzato l’unico film in Italia, entrato in ogni standard qualitativo professionale, senza l’utilizzo di nessun fondo pubblico. Si, proprio così. Fondi pubblici zero. E andò bene:

  • Unico film Italiano in concorso Internazionale al Festival di Locarno
  • Film della critica
  • Uscita in sala con media copia più alta d’Italia
  • Premio Petri
  • Miglior Regia e Miglior film giuria dei giovani al Festival di Annecy in Francia
  • Terzo al Ciak D’Oro come Miglior Regista, e uno straordinario successo di critica.

Alcuni dissero che era il miglior film degli ultimi quarant’anni e che io ero il miglior regista italiano. Metà delle attrici e attori italiani più noti mi contattarono personalmente, volevano lavorare tutti con me. Addirittura? Bella la vita.

Si, lo so. Dopo quest’articolo starò antipatico a più persone, mi sarò fatto qualche nemico. Ma tanto. Tanto che mi frega. Dopo tutti questi ottimi risultati avevo sperato che il mio prossimo film sarebbe stato sostenuto alla grande. Voi che pensate?

Niente di niente. Figuratevi che c’è una notissima istituzione che in quegli anni in cui io chiesi il sostegno al mio nuovo film, finanziò circa settecento film. Settecento, non sette.

Come avrò fatto, mi sono chiesto, ad aver scritto un progetto tanto brutto, per non essere nemmeno entrato tra settecento spazi. Non ci dormivo la notte. Avrò fatto del male a qualcuno, ma a chi? Io non frequento i salotti del cinemino italiano. E nel frattempo mi confrontavo. Vedevo film bugiardi. Uno dietro l’altro. Quei maledetti “prodotti” di cui nessuno possiede quell’elemento famoso. Si, quello gratis. Il Cuore. L’Anima. La Passione. L’Amore. Comunque ci siamo capiti.

Nessuno è indispendabile

E poi ho semplicemente capito che, nel 2021, quando feci quel film, dimostrando di fatto che nessuno è indispensabile, a quelli che invece si credono “indispensabili”, non è piaciuto. E nel mentre continuavo a sentire gente che sparava balle, su balle, su balle. Alla fine mi sono abituato.

E poi che ho fatto? Dopo aver piagnucolato per altri tre, quattro mesi, ho fatto il film. Il mio miglior Film di sempre. Con un cast eccezionale e il budget di più alto valore di tutti i miei film precedenti. Penserete che sono milionario. In realtà sto in affitto, e faccio fatica a pagare le bollette.

Però ricordate? E’ sempre gratis l’elemento fondamentale e indispensabile alla realizzazione di un’opera cinematografica. Soltanto che non lo puoi fatturare. Che poi vabbè, almeno questo, se no finisce che ci devo pagare anche le tasse. E poi per me, è sempre stata questione di vita o di morte, questa volta più che mai. E allora ho ripensato al grande Tonino Delli Colli. La semplicità dei miei sentimenti e l’istinto mi hanno guidato. Non ho mai mai usato formule preconcette per ottenere un certo risultato. Ho lavorato con gli esseri umani che avevo accanto. Ho lasciato che fossero serpenti, gufi, conigli, lepri. Alla fine sono rimasti solo i migliori. Meravigliosi esseri umani. E poi vai con l’intuizione, con quello che in quel momento provavi di pancia, cercando di mantenere i sentimenti dei personaggi dentro per tutta la durata delle riprese. Il guaio è che quei sentimenti molto spesso erano gli stessi che provavo nella vita. E fu lì che il set divenne per me un luogo in cui scaricare la tensione. Un luogo in cui potermi divertire con ciò che nella vita invece mi faceva tanto soffrire. Sul set potevo ridere in faccia al dolore che avevo provato davvero. Era come se potessi parlargli. Adesso comando io, e ti mostro per quello che sei. E quando comando io non mi fai più male. Pensavo.

Nessuno sarà mai capace di togliermi una tale soddisfazione. Ed è per questo che alla fine sono riuscito a girare il mio Kolossal, dove tutto ciò che conta, sta dentro il famoso rettangolo. Quella finestra che si illumina al buio, e vi porta nel mio mondo, che poi, se mi conoscete già, lo sapete bene che quello è anche il vostro di mondo. Perché un film una volta su uno schermo, non appartiene più al suo autore. Un film è realizzato per appartenere a tutti. Oggi, domani, tra dieci anni. Anche quando il suo autore non sarà più sulla terra, potrebbe accadere che il suo film apparterrà a chi è nato proprio il giorno della sua morte. E questo, anche se potrebbe sembrare funereo, è invece il gioco più bello e vitale che esiste. Però ci vuole un Artista da una parte, e uno spettatore innamorato dall’altra.  Altrimenti, tempo sprecato.

Ph. copertina: Nanni Angeli

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