Tra i sei film che compongono la sezione Rising Sound – Music is the weapon della decima edizione del Seeyousound International Music Festival – che punta a mostrare storie in cui la musica si è rivelata catalizzatrice di trasformazioni – domani, alle 18.15 presso la Sala 1 Cabiria del Cinema Massimo di Torino, vi consigliamo di non perdere il coinvolgente e toccante Little Richard: I Am Everything della produttrice e regista Lisa Cortés. Un documentario ricco di foto di archivio, materiali di repertorio e testimonianze dirette di famigliari, amici, musicisti e studiosi su colui che non è stato solo il pioniere di un genere musicale, ma l’architetto del rock n’ roll. Nonché icona che, nonostante i suoi cambi di direzione e le sue contraddizioni, ha saputo essere un esempio per la comunità queer afroamericana (e non solo). Dagli anni Cinquanta fino ad oggi.

Dopo aver vinto due premio Oscar, un Golden Globe e un premio ai BAFTA per il film Precious come produttrice e aver esordito alla regia, insieme a Liz Garbus , nel 2020 con All In: The Fight for Democracy (raccontando la battaglia di Stacey Abrams contro la soppressione del voto), Lisa Cortés dedica il suo secondo lungometraggio alle radici nere e queer del rock n’ roll.

Guardando alla figura di Little Richard non solo per il suo ruolo nella costruzione di una cultura americana capace di guardare al di là della segregazione razziale attraverso la musica.

Ma anche per la fragilità dell’uomo che ha dovuto negli anni costruire diverse – spesso contrapposte – rappresentazioni di se stesso. Vivendo una vita che si sviluppava su tre binari: la passione religiosa, il rock n’ roll e l’accettazione o meno della propria omosessualità.

Little Richard: I Am Everything non vuole essere (solo) un tributo al vero Re del rock n’ roll, così come di lui diceva Elvis Presley. Ma un riconoscimento, troppo a lungo e spesso negato, di quelle che sono state le imprescindibili radici nere e queer di un innovativo genere musicale che è stato capace, proprio grazie a Little Richard, di abbattere i muri della segregazione e permettere l’incontro tra giovani neri e bianchi d’America.

Gli anni ’50. Dalla Georgia al Chitlin’ Circuit

Cresciuto con il blues come colonna sonora della sua infanzia, Richard Penniman è uno dei 12 figli di un pastore metodista, proprietario di un piccolo locale e di una distilleria illegale a Macon, in Georgia.

Affetto da una malformazione congenita ad un braccio e ad una gamba, dichiaratamente gay e volutamente eccessivo e stravagante nello stile, Little Richard si affaccia al mondo della musica nella costante ed intima contrapposizione tra il suo essere un fervente credente e la sua voglia di libertà.

Così, cacciato dal padre per la sua omosessualità (gli dirà Volevo sette figli maschi. Tu hai rovinato tutto), trova ospitalità presso l’Ann’s Tic Toc, un locale della sua città. Che vantava tra i propri artisti Sister Rosetta Tharpe, giudicata la madre del rock n’ roll.

Lasciandosi ispirare dal suo esempio e dai tanti artisti queer che frequentavano il locale, Little Richard decide di unirsi al Chitlin Circuit. Era un itinerario musicale in cui tutti gli artisti neri e omossessuali potevano trovare un palcoscenico sul quale esibirsi. In questo periodo creerà il suo alterego, Princess LaVonne, che gli permetterà di suonare ed esibirsi come drag queen.

Billy Wright – considerato uno dei principali artisti a cui Little Richard si è ispirato agli esordi, sia dal punto di vista musicale che per la costruzione del suo personaggio – lo aiuta ad ottenere il suo primo contratto discografico. Che porterà ad un immediato successo.

La sua omosessualità e la sua stravaganza continueranno ad essere centrali nella sua produzione. Così come quelle innovative sonorità che stava contribuendo a costruire. Ma che l’America conservatrice non era ancora pronta ad accettare. Little Richard esordisce con brani ancora legati alla tradizionale black music.

Ma la svolta arriverà quando Art Rupe, proprietario della Speciality Records, lo sente casualmente suonare in un locale malfamato in cui si era rintanata Tutti frutti. Il testo in origine era giudicato troppo esplicito, facendo un evidente riferimento ad un rapporto sessuale e a una penetrazione anale. Ma, una volta modificato, diventa un successo immediato, attestandosi nel 1955 come la registrazione più richiesta di sempre.

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Courtesy of Sundance Institute

Dalla race music alle case di tutti gli americani

L’ascesa di dj indipendenti bianchi fa sì che quella che fino ad allora era considerata race music, la musica dei negri per i negri, inizia a diffondersi tra i giovani bianchi americani.

In un’era in cui i teenagers, attraverso la musica, stavano scoprendo la libertà e non erano più disposti a ritornare tra le gabbie imposte dai loro genitori e dalla società.

Little Richard diventa così colui a cui si ispirano alcuni tra i più noti cantanti della pop music americana. Pat Boone e Elvis Presley registrano le loro cover di Tutti i frutti. Che diventano più famose dell’originale. La rabbia nel vedersi copiato e non considerato portano Little Richard a usare un ritmo volutamente velocizzato per la sua successiva hit, Long Tall Sally, convinto che così nessun bianco sarebbe riuscito a copiarlo.

Sono gli anni in cui trae ispirazione dalle sonorità al piano di Ike Turner e dalle voci delle iconiche Joe May, le Clara Ward Sister e Marion Williams. Little Richard non costruisce la sua musica come un collage di queste influenze – come stavano facendo con lui i cantanti bianchi. Ma crea una amalgama che rende questo azzardo di esperienze musicali solo sue.

La sua musica riuscirà così ad abbattere le barriere, andando a generare un totale stravolgimento nello status quo della cultura americana. Era nero, omossessuale, famoso. Cantava di sesso esplicito.

Ma nell’America puritana di allora questo non sembrava una minaccia. Proprio per il suo dichiararsi apertamente gay e, di conseguenza, non rappresentare un pericolo per le tantissime giovani bianche che lo seguivano ad ogni esibizione.

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Tra tormento religioso e voglia di rock n’ roll

Dopo una serie di deliri e visioni apocalittiche durante un tour in Australia, Little Richard si ritrova tormentato dal fatto che il suo stile di vita possa allontanarlo dalla regione e istigare la rabbia di Dio. Decide così di abbandonare la propria carriera musicale, rinnegare la sua omosessualità per seguire la via del Signore. Si iscrive all’Oakwood College, scuola seminarista per neri degli Avventisti del Settimo Sigillo.

Il tormento religioso lo porterà non solo a rinnegare se stesso e la sua passata vita, ma anche la sua musica. Tanto da offrirsi di ripagare ogni disco venduto e a invitare chi ancora ne fosse in possesso a bruciarli. Durante gli studi incontrerà Ernestine Harvin, che sposerà e di cui diventerà marito devoto.

Il bisogno di soldi con cui mantenere la propria famiglia (compresa quella di origine, di cui si occuperà fino alla sua morte) lo portano ad accettare un tour in Europa. A Liverpool incontrerà quattro ragazzi che gli chiedono una foto. Scopre che stiano tirando su una band, anche se non si sono ancora mai esibiti, e decide di portarli con sé. Stanno nascendo i Beatles. Nel 1963, una giovane cover band viene invitata ad aprire i suoi concerti. I membri del gruppo si ispirano a lui per imparare a gestire il palco e il pubblico durante le loro esibizione. Sono i Rolling Stones.

Le innovazioni che Little Richard era riuscito a portare nella musica internazionale stanno diventando uno stile adottato da giovani che riusciranno ad ottenere molto più successo di lui. Facendo la sua musica.

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Ritorno agli eccessi, voglia del perdono divino e di riconoscimento: State zitti

State zitti. Era una frase ricorrente pronunciate da Little Richard. Durante le esibizioni, sul palco, nel corso delle interviste televisive. Era un accorato appello dell’uomo che brama di essere riconosciuto per la sua musica, non per il suo stile di vita o per la sua sessualità.

Uno dei grandi pregi che troviamo in Little Richard: I Am Everything è quello di coinvolgere allo stesso modo volti noti dello show business musicale (Tom Jones, Mick Jagger, Paul McCartney, Keith Richard, Billy Porter), le testimonianze dirette di chi ha lavorato a stretto contatto con Little Richard e importanti studiosi di storia afroamericana e queer.

Tra questi ultimi, le parole più struggenti sono quelle di Zandra Robinson, chiamata a interrogarsi sull’altalena di dichiarazioni e smentite sulla sua sessualità che hanno caratterizzato non solo la carriera, ma tutta la vita di Little Richard. Era lui stesso, come più volte ricordato nel corso del documentario, a dare diverse e spesso divergenti rappresentazioni di se stesso.

La fortissima influenza che la rigida formazione religiosa ha avuto sulla sua esistenza lo hanno portato spesso a rinnegare se stesso.

Ma se Little Richard non sempre era pronto ad accettare la sua omosessualità, veniva giudicato uomo eccessivamente presuntuoso quando pretendeva che il mondo riconoscesse il suo essere stato ispiratore, pioniere ed architetto del rock n’ roll. Lottando – tra i primi – per un corretto riconoscimento dei diritti sulle sue canzoni da parte delle etichette discografiche che lo avevano avuto sotto contratto e che grazie a lui avevano fatto enormi profitti. Di cui lui non poteva godere. Cercando, a prescindere dalle fasi di cambiamento e negazione che ha vissuto, di essere un esempio di libertà per i giovani che lo seguivano.

Riconoscimenti che sono arrivati solo nel 1997. Quando gli viene conferito l’American Music Award of Merit proprio per il suo essere stato quel Re del rock n’ roll che aveva sempre saputo di essere.

Come lui stesso disse davanti alla platea commossa che gli stava finalmente attribuendo quel riconoscimento:

C’è voluto tanto. E lo aspettavo

Ora abbiamo anche un film come Little Richard: I Am Everything a ricordarci di essere riconoscenti alla comunità nera e queer americana per averci regalato il rock n’ roll.

Scopri il programma di Seeyousound10, a Torino dal 23 febbraio al 3 marzo 2024.

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