Essere donne in Afghanistan non è semplice. Essere cantanti o musiciste è praticamente impossibile. Il documentario, presentato ieri al Seeyousound, And still I sing di Fazila Amiri, regista afgano-canadese qui al suo primo lungometraggio dopo un’esperienza nella direzione di corti, segue due aspiranti cantanti mentre superano le selezioni di Afghan Star, un talent show televisivo popolarissimo nel Paese.

Sadiqa e Zahra sono cresciute in Pakistan a causa della guerra civile che dall’inizio degli anni novanta ha devastato il loro Paese natale. Nel 2019 tornano in Afghanistan per partecipare al talent show ma chiaramente – e questo è il cuore del documentario – la loro partecipazione e l’eventuale vittoria di una di loro assumono un valore profondamente simbolico, considerato l’ostracismo che i talebani prima e la comunità musulmana integralista poi riservano alle donne che si dedicano alla musica.

Dar voce a tutte le donne

Peccatrici, puttane, tentatrici: ecco come vengono considerate. Dunque il senso più alto del loro perseverare, nonostante le minacce di morte, nonostante la disapprovazione familiare, è dar voce di tutte le donne, aprire gli occhi dell’intero Paese alla possibilità che una donna possa dedicarsi a qualsiasi carriera, possa essere insomma padrona del proprio destino, senza l’approvazione o la concessione di un uomo. Se Sadiqa afferma di voler far sentire la mia voce di donna per testimoniare quanto siano talentuose le donne afgane, Zahra dichiara che il suo obiettivo è che sia una donna a vincere perché gli uomini possano bruciare di gelosia. Amiri fotografa due ritratti di donne forti, indipendenti e coraggiose.

Non è un caso che la loro mentore – dentro e fuori il programma – sia la giudice del talent Aryana Sayeed, cantante afgana affermata a livello internazionale che ha trasformato la sua passione per la musica in strumento utile a portare avanti le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne afgane. Aryana è infatti un’attivista politica a sua volta minacciata di morte: dopo che in un concerto parigino aveva indossato un abito color carne, verso di lei era stata emanata una fatwa in diretta TV e solamente girando un video in cui bruciava quel vestito era riuscita a calmare momentaneamente gli animi.

SYS9 And Still I sing

Seguendo parallelamente queste tre donne nelle loro riflessioni sul canto, sulla politica, sulla situazione femminile in Afghanistan, And Still I Sing è efficace nel presentare un quadro sociale costantemente sull’orlo del baratro: Amiri accompagna le sue protagoniste dal 2019 al 2021, ovvero fino al ritorno dei Talebani a Kabul dopo l’abbandono del Paese da parte degli americani.
Già dalle prime sequenze del film emergono da un lato il retaggio culturale maschilista proprio della società afgana (Sadiqa parla della ferita al braccio causata dallo zio, arrabbiato perché era uscita di casa da sola senza il permesso di un uomo), dall’altro il terrore delle donne al solo pensiero che possano tornare al potere i Talebani (Immagina se tornassero i Talebani: cosa faremo? Non posso immaginarlo).

La nostra recensione

Pur essendo strumento tipico del documentario sociale-narrativo, l’alternanza tra il privato delle protagoniste e il pubblico dei materiali d’archivio sulla guerra civile o delle scene di strada raggiunge lo scopo di inscrivere perfettamente le storie individuali delle cantanti nella storia collettiva del Paese. Scopo raggiunto anche da sequenze assai significative, come quella in cui Aryana si confronta con l’imbrattamento del murale in cui era raffigurato il suo primo piano: se il deturpamento riflette la non accettazione di un ruolo pubblico assunto da una donna e il rifiuto di qualificare come “eroina” una cantante, la reazione di Aryana, forte e simbolica (ovvero farsi fotografare con le dita medie alzate davanti al disegno sfregiato), ribadisce la forza e il coraggio di queste donne.

SYS9  And Still I sing

Ciò che emerge dai ritratti descritti da Amiri è il fatto che queste donne non agiscono per sé stesse: si sentono sempre e comunque parte di una comunità femminile e alle loro compagne chiedono sostegno perché l’intera società possa progredire. Il voto richiesto da Sadiqa nella sua simil-campagna elettorale tra le donne per vincere Afghan Star è finalizzato alla vittoria simbolica di una donna in una trasmissione dove per tredici anni hanno vinto solo uomini. E infatti quando la ragazza è esclusa non esita un momento a farsi alleata dell’amica Zahra perché il collettivo è più importante del singolo.

La vittoria di Zahra segna davvero un momento storico nel paese, non soltanto a livello mediatico: si percepisce che l’Afghanistan è alle soglie di una presa di coscienza, di un grande cambiamento, ma è fondamentale che le donne si sostengano a vicenda. Deve cambiare la mentalità delle donne stesse: devono imparare a vedersi come individui completi, autonomi, senza un uomo a gestirle. E tutto questo può passare anche da una vittoria ad un talent show.

Purtroppo la Storia è intervenuta pesantemente in questo processo: nell’agosto del 2021 i Talebani sono rientrati a Kabul. Aryana e Zahra, esposte ormai pubblicamente in quanto artiste e perciò peccatrici, sono state costrette a fuggire dall’Afghanistan e portano avanti con determinazione la loro battaglia anche attraverso la musica, che rende la vincitrice di Afghan Star fiera di essere la voce delle donne senza voce.
La speranza è che ogni donna afgana possa presto farsi sentire con la propria voce.

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