Esistono molti modi di definire l’amore. Alcuni lo descriverebbero come uno scambio reciproco di amore, affetto e altri sentimenti oppure come un’ideale di perfezione da inseguire in modo estenuante, altri come una parte essenziale delle nostre vite, qualcosa di ineffabile e impossibile da mettere a parole. Proprio per questa sua natura l’amore ha sempre solleticato la fantasia degli artisti, portandoli a rappresentarlo nei modi più diversi e fantasiosi. In un certo senso ogni storia parla di amore, che si voglia o no: è il motore di ogni narrazione, perché è il motore di ogni azione umana. Uno dei registi forse più appassionati a questa indagine dei nostri sentimenti è Luca Guadagnino, che l’ha resa il fondamento della sua stessa carriera. Da Io sono l’amore a Chiamami col tuo nome, passando per A Bigger Splash, ha guardato all’amore, ai suoi confini, al punto di non ritorno in cui può spingere l’essere umano, considerandolo una forza incontrastabile a cui ciascuno si può solamente arrendere.
In una filmografia devota all’amore, non sorprende che Bones and All, il suo nuovo film presentato in questi giorni alla 79° Mostra d’arte cinematografica di Venezia, torni su queste tematiche, ma con occhi diversi, al contempo più veraci e pudici del solito, e soprattutto mescolandole all’altro grande fil rouge della sua carriera: l’horror più semplice e umano, raramente esterno all’essere umano. Tratto dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis (ancora inedito in Italia) per la sceneggiatura del collaboratore storico di Guadagnino David Kajganich, Bones and All è difficilmente ascrivibile a un unico genere cinematografico – è un racconto di formazione, un road movie, un dramma famigliare, una tragedia romantica, un horror splatter – e son proprio tutte queste forme narrative artistiche, spesso vissute come contrastanti e armoniche al contempo, a permettere a Guadagnino di rinnovarsi e di migliorarsi.
Maren (Taylor Russell, che dopo Waves continua a dimostrarsi una delle migliori attrici della sua generazione) ha provato per la prima volta il desiderio di mangiare carne umana a 3 anni. Da quel momento, ogni volta che si è ritrovata a cedere ai suoi istinti, è stata costretta dal padre a cambiare stato e nome in modo tale da non essere marchiata a vita da qualcosa che non può minimamente controllare. Un giorno decide di partire per trovare la madre di cui il padre (André Holland) non le ha mai voluto raccontare niente e durante questo viaggio incontra altre persone come lei: prima il vecchio Sully (il terrificante Mark Rylance), desideroso di spiegarle i segreti del loro cannibalismo, e poi il solitario Lee (Timothée Chalamet), di cui presto si innamora.
Maren e Lee son due persone che esistono ai margini, non solo della società ma anche delle loro stesse vite, piene di paure e tormenti che preferiscono seppellire nel retro delle loro menti. Desiderosi di sfuggire alle loro stesse vite, il viaggio che intraprendono alla ricerca di una madre che più che essere qualcuno di fisico è una mera idea li porta a non potersi più nascondere e ad arrendersi a loro stessi.
Bones and All è un film che funziona per contrasti: l’orrore delle scene violente è ingigantito dalla delicatezza del rapporto che lega i suoi protagonisti e allo stesso tempo quell’amore funziona proprio perché posizionato in un teatro tragico fatto di rovine e morte. Guidato dalla potente interpretazione di Taylor Russell (un nome da tenere indubbiamente d’occhio anche in ottica Award Season), Bones and All è un’opera silenziosa, che anche nei momenti più crudi rimane poetica, viscerale, capace di trovare anche nella violenza momenti di amore e commozione.