Verrà presentato in anteprima mondiale al Giffoni Film Festival il film Edith, una ballerina all’inferno, prodotto da Violet Moon e MoKa. La pellicola, liberamente tratta dalla storia di Edith Eva Eger, ballerina ungherese sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, porta la firma di Emanuele Turelli (sceneggiatore), di Marco Zuin (regista), di Lorenzo Pezzano (direttore della fotografia, già collaboratore di Pupi Avati e Marco Paolini), con la partecipazione in qualità di attori principali e narranti di Marco Cortesi e Mara Moschini. L’idea di sviluppare la storia della giovanissima Edith in un film è di Riccardo Viviani e Claudia Ziliani, rispettivamente direttore organizzativo e produttore esecutivo di Violet Moon.

Il film ripercorre le vicissitudini di una sedicenne ungherese dalla persecuzione razziale nell’Ungheria occupata del 1944 per motivi ideologici e religiosi. Edith, infatti, era di origine ebraica e nel film che narra la sua vicenda assistiamo all’arresto, alla deportazione verso il complesso concentrazionario di Auschwitz, alla terribile sopravvivenza nel campo femminile di Birkenau, alle marce della morte, fino alla liberazione, che per lei e la sorella Magda arriverà miracolosamente in un sotto campo di Mauthausen, quando furono estratte da un cumulo di cadaveri da due soldati americani, il 4 maggio del 1945.

Edith secondo i protagonisti

Parlando con Marco Cortesi, uno degli attori protagonisti che Edith, una ballerina all’inferno – già autore e protagonista del film Ruanda di Riccardo Salvetti e, sempre in duo artistico con Mara Moschini, del film per Amazon Il Muro – gli abbiamo chiesto come abbia scoperto questa incredibile storia di determinazione e coraggio.

La storia di Edith è stata un fulmine a ciel sereno durante il lockdown. Eravamo alla ricerca di una storia che dimostrasse la potenza dell’arte contro il male e abbiamo incontrato sulla nostra strada l’idea di due amici (Emanuele Turelli e Riccardo Viviani) che ci hanno parlato di questa vicenda. Ce ne siamo da subito innamorati, il resto lo ha fatto la splendida penna di Emanuele. La storia di Edith é di per sé un film, ricca di aneddoti, ricca di forza narrativa, straripante di elementi cinematografici. Mi ha colpito fin da subito il senso della sua storia: la bellezza dell’arte che vince la brutalità del male. Si é innescata benissimo nel nostro filone narrativo. Fare un film sulla Shoah non é mai facile, ma ci siamo lasciati condurre dalla dolcezza della danza e le nostre parole l’hanno accompagnata. 

Anche Mara Moschini, cardine del duo artistico con Cortesi sin dai tempi in cui i due calcavano i palchi di centinaia di teatri italiani per portare il loro spettacoli di teatro civile e le loro storie ad un pubblico il più ampio possibile, è rimasta particolarmente affascinata dal messaggio che la storia di Edith è ancora capace di far arrivare alle giovani generazioni:

Questo è un film che vede protagonisti molti ragazzi che parlano a loro coetanei della storia di una ragazza della loro età. É la magia che sta alle spalle di Edith. Il messaggio non é uno soltanto ma sono molti: l’arte capace di vincere il male, la passione che spinge l’uomo laddove tutto sembra impossibile, il bene che, nonostante 6 milioni di vittime, vince sul male. Edith era una ragazzina impaurita, condotta in un contesto brutale, ma si é riscoperta una giovane donna coraggiosa, vogliosa di difendere la propria vita e i propri pensieri. É questo che vorrei che i ragazzi percepissero: lottare sempre per la propria vita e il proprio pensiero! E sono certa che così sarà. 
Un film che è un nuovo percorso per i giovani

Prima di arrivare alla prestigiosa anteprima in uno dei principali festival cinematografici per i ragazzi come è il Giffoni, Edith, una ballerina all’inferno ha seguito un complesso e particolare processo progettuale, coinvolgendo direttamente quei giovani a cui il film desidera parlare in via prioritaria (anche se non esclusiva).

Ad esempio, grazie alle coreografie di Santa Borriello e Arianna Guidorizzo e alla loro guida, il corpo di ballo (15 ballerini) è composto unicamente da adolescenti che, al momento delle riprese frequentavano la quarta classe del Liceo Coreutico Tito Livio di Milano. A completare il quadro degli adolescenti presenti sul set, 6 truccatori e parrucchieri selezionati dalle fila di Ok School Brescia, anche loro studenti al quarto anno. Entrambe le scuole hanno lavorato in regime di alternanza scuola lavoro, tanto che il progetto è stato selezionato (dicembre 2021) come una delle due migliori prassi italiane di PTCO e per questo presentato a Roma.

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Nel raccontare questa esperienza di lavoro con un cast così giovane e composto da non professionisti, il regista Marco Zuin ha dichiarato:

Lavorare con ballerine e ballerini di un liceo coreutico senza esperienza di un set cinematografico è stata inizialmente la sfida più grande: la prima cosa che ho detto loro è che non siamo noi i protagonisti del film, è la storia. Che realizzare un film sulla Memoria dell’Olocausto è una grande responsabilità che va affrontata con rigore. Avevamo poco tempo a disposizione (è sempre poco per ogni regista, sia che si tratti di una produzione indipendente come questa che un colossal hollywoodiano) e girare in inverno nella location scelta, per quanto affascinante, non sarebbe stato facile. La sfida si è poi trasformata in sorpresa quando il loro entusiasmo e l’energia inesauribile ha dato una forza inaspettata a tutta la troupe. 
La trama: la danza come strumento per sopravvivere

Edith Eva Eger ora è una forte donna di 94 anni, naturalizzata americana e ormai in pensione dopo aver dedicato quasi tutta la sua vita alla professione di psicoterapeuta e al supporto a giovani vittime di traumi e patologie ad essi collegate.

Ma era solo poco più che bambina, una ragazzina di 16 anni, quel terribile giorno in cui dei soldati delle SS sfondarono la porta della sua casa e sequestrò tutta la sua famiglia. Inizio così il suo viaggio verso l’orrore. A salvarla il suo grande amore per la danza. In una famiglia di musicisti, Edith aveva da tempo deciso che il suo strumento sarebbe stato il suo corpo e la sua professione quella di ballerina. Con la sua danza, allevia la prigionia alle sue compagne e salva la vita a se stessa, attirando l’attenzione di un kapo che si invaghisce di lei e la tiene in vita per continuare a vederla danzare.

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Un filo narrativo potente e coinvolgente quello che in Edith, una ballerina all’inferno si intreccia tra la protagonista e il suo amore per la danza. Chiaro sin dalle prime scene. Non a casa, tra gli scarponi abbandonati dai deportati, troviamo che scarpette rosse che Edith ha voluto portare con sé. Quasi sicuramente un omaggio a quell’unico tocco di colore che Steven Spielberg si concesse nel suo Schindler’s List.

Oltre a quelle, porta con sé un vestitino celeste, che indossava il giorno del suo sedicesimo compleanno. Le ricorda il suo primo bacio e il suo primo amore Eric (deceduto Auschwitz il 26 gennaio 1945, poco prima che l’Armata Rossa liberasse il campo). Non ha altro con sé la giovane Edith. Perché quelle sono le cose più preziose che pensa di avere. La madre le ha insegnato a conservare le cose più preziose nella sua testa, perché da lì nessuno potrà portargliele via.

Grazie a quella passione, Edith (magistralmente interpretata dalla diciassettenne Viola Turelli) troverà il coraggio di danzare di fronte al terribile Mengele (Romeo Tofani), guadagnando cibo aggiuntivo per le lei e le compagne.

Girato interamente tra l’Italia e la Polonia, oltre alle vicende narrate e alla storia di Edith hanno un grande impatto emotivo e simbolico anche le location scelte. Da una parte, le giovani ballerine del Liceo Coreutico Tito Livio fanno rivivere la storia della danzatrice ridando vita al dismesso teatro di Salò, che fu luogo di festa per i gerarchi fascisti durante la repubblica sociale italiana. Dall’altra, le capanne, i cortili e i cupi ambienti del campo di Birkenau sembrano voler riportare lo spettatore alla crudezza di quell’inferno che è stato la Shoah.

In una perfetta ibridazione tra danza, narrazione, inserimento di repertorio di archivio e la potenza di una recitazione teatrale messa abilmente al servizio della pellicola, Edith, una ballerina all’inferno risulta un film coraggioso, potente nel trasmettere il suo invito a non dimenticare e a trovare nelle proprie passioni la forza per affrontare le proprie avversità.

Ad aiutare la riuscita del film indubbiamente la colonna sonora originale, composta da Daniele Gozzetti. Attraverso suoni e atmosfere che ricostruiscono quelli dei “bandelli” di deportati anche noti come “l’orchestra di Auschwitz” e accompagnando i movimenti delle ballerine con delicatezza e sensibilità, la musica diventa narratrice e compagna dello spettatore nella sua commozione.

Dopo l’anteprima al Giffoni Film Festival Edith, una ballerina all’inferno inizierà il suo cammino distributivo. Danzando verso una serie di proiezioni che non potranno che coinvolgere, appassionare ed emozionare gli spettatori.

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