È il 1918 e se ora i libri di storia lo ricordano come l’anno in cui finì la Prima guerra mondiale, all’epoca appariva solo come la prosecuzione di uno dei più grandi massacri di massa della storia. All’ospedale militare i soldati feriti arrivano sempre più numerosi sui carri, senza celebrazione alcuna, perché lasciare il fronte è visto come una sconfitta e i perdenti non possono essere festeggiati. I medici capiscono presto che gran parte dei presenti sono dei simulatori e che le ferite che li costringono ai letti d’ospedale non sono frutto di sfortuna o eroismo, ma di autolesionismo con lo scopo ultimo di fuggire dagli orrori della guerra. 

Lo stoico Stefano (Gabriel Montesi) segue i suoi pazienti in modo ossessivo, minacciandoli con il tribunale militare ogni volta che dubita della natura delle loro ferite. I simulatori per lui occupano solo letti utili in ospedale e distraggono dalla cura dei veri eroi di guerra. Giulio (Alessandro Borghi ma potrebbe benissimo essere Daniel Brühl), al contrario, si dimostra più comprensivo e al contempo criptico, come se i suoi pensieri dovessero essere celati in un angolo remoto della sua persona. Tra loro due vi è Anna (Federica Rossellini), fortemente discriminata fin dall’università per aver deciso di affrontare una carriera nella medicina. La donna, osservando dai margini la situazione in ospedale, si accorge presto di come le condizioni di alcuni pazienti si aggravano all’improvviso, tra mutilazioni, infezioni e momentanee disabilità.

Campo di Battaglia, il nuovo film di Gianni Amelio presentato in Concorso Ufficiale all’81° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ora nelle sale di tutta Italia con 01 Distribution, si posiziona nel filone delle migliaia di film di guerra presentati ogni anno, però offrendo uno sguardo diverso, grazie alla propria collocazione nella geografia bellica. Non ci troviamo nel “Campo di battaglia” vero e proprio, ma nei tempi di guerra è difficile trovare gli effettivi confini del conflitto e anche un luogo adibito alla cura si trasforma in un’estensione del fronte.

Stefano e Giulio son due facce della stessa medaglia, un continuo atto di addizione e sottrazione reciproca, una partita a scacchi dove nessuno è davvero in grado di vincere, mentre Anna si trova a fare da ago della bilancia, capendo i motivi e i moventi di entrambi. Fino all’ultimo atto, la sceneggiatura firmata da Amelio insieme al collaboratore Alberto Taraglio trova una precisione e una sicurezza che da tempo mancavano nel cinema del regista. Nel costruire l’ospedale come luogo narrativo, dando l’idea del grande numero di pazienti presenti, il film dimentica l’approfondimento dei suoi protagonisti che rimangono estremamente esili, nel caso di Anna specialmente la sua affermazione come donna nel mondo della medicina è un input mai esplorato che avrebbe meritato più attenzione.

Le debolezze di Campo di Battaglia arrivano con l’ultimo atto che sceglie di allargare lo sguardo dall’ospedale all’attualità di quegli anni, concentrandosi dunque sull’epidemia di Spagnola. È chiaro che vi sia un intento di riportare alla mente la recente pandemia, ma la scelta di spostare il focus minaccia la stessa potenza del film.

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