Presentato nell’ambito della 81a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il cortometraggio 101%, prodotto da One More Pictures con Rai Cinema, per la regia di Serena Corvaglia. Un progetto realizzato in collaborazione con la Polizia di Stato per sensibilizzare il pubblico più giovane verso tematiche quali l’abuso dell’utilizzo dei social media e i rischi di un amore tossico e violento. Nel cast, Andrea Arru, Daniele Davì e Giulia De Lellis (alla sua prima esperienza cinematografica).

La trama

101% è un cortometraggio che punta il faro sull’impatto della tecnologia e le sfide psicologiche delle generazioni più giovani. La storia di Riccardo (Andrea Arru), il suo affidarsi ad un’applicazione scaricata sul cellulare per superare la timidezza e riuscire a far colpo sulle ragazze, è comune a molti. Che spesso sviluppano una crescente dipendenza dagli strumenti digitali per l’incapacità di creare solidi legami umani.

Il suo incontro con Cupido (Daniele Davì) sembra essere la soluzione. Riccardo crede di aver trovato finalmente il suo guru, la persona che sarà ingrado di dirgli cosa dire e quale sia il modo migliore di esprimersi per conquistare una ragazza. Fino a scoprire che la semplice proposta di un gelato insieme, di un vedersi nella vita reale, sia molto più semplice e appagante del consiglio statistico di un algoritmo.

In parallelo, troviamo la storia di Teresa (Giulia De Lellis), sorella di Riccardo. La ragazza vorrebbe vivere in libertà la sua spensieratezza, la sua gioventù e il suo sogno di diventare attrice. Ma si scontrerà contro un fidanzato geloso e possessivo. Il suo è un amore che rischia di essere pericoloso.

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L’intervista alla regista, Serena Corvaglia

Qual è il tuo rapporto con i social?

Per me i social sono innanzittutto una vetrina. Li approccio più per lavoro che per necessità. Poi, chiaramente, sono anche uno strumento ludico e quindi può capitarmi di divertirmici. Però cerco di evitare di condividere la mia vita più privata. Quindi, il mio è un rapporto è essenzialmente strumentale.

In 101% usi il rapporto tra social e adolescenti anche per sottolineare un disagio relazionale che i giovani d’oggi vivono. E i social diventano una sorta di maschera. Come hai affrontato questo discorso?

Sempre di più i social stanno diventando uno strumento di creazione della propria identità. Che, però è un’identità costruita su qualcosa che non essite. Perché usiamo i social per mostrare la bella vita che facciamo, i nostri bei vestiti, cosa mangiamo. Tutti, più o meno, svolgiamomo questo tipo di attività online.

Quello che volevo raccontare attraverso questo cortometraggio è che non possiamo sempre e solo subire la pressione di questa cultura performativa, ma dobbiamo trovare un modo anche per accettare la nostra inadeguatezza. Buttarci. Come fa Riccardo nel cortometraggio. Rischiando anche di sembrare degli sfigati. Ma capendo che questo rischio dell’improvvisazione sia proprio parte della bellezza della vita. Questo vuole essere il messaggio che portiamo con 101%

Nel cortometraggio c’è un doppio binario narrativo. Da una parte, la questione dei social. Dall’altra, quella della violenza di genere. In questo secondo caso, sembra che tu voglia rivolgerti a un pubblico più adulto.

Non è voluta questa direzione sul pubblico. L’obiettivo è quello di non crocifiggere i social e la tecnologia soltanto. Attraverso la storia di Teresa, noi vogliamo raccontarfe che comunque l’inadeguatezza esiste nella vita reale. Lei, attraverso una relazione che non è amore ma che lei scambia per tale, si trova a capire, come Riccardo, che non è lei a controllare le sue scelte. Questo doppio binario sta proprio a sottolineare che la dicotomia non sia tra vita reale e social. Ma dell’utilizzo personale che facciamo degli strumenti che abbiamo.

Nel cortometraggio troviamo una interessante scelta di cast. Tutti attori giovani. Molti alla loro prima vera esperienza davanti alla macchina da presa. Cosa cercavi e hai chiesto loro?

Ovviamente, a ciascuno ho chiesto di portare qualcosa dei diverso. E ciascuno ha portato qualcosa di personale nel cortometraggio. Partendo dal protagonista, Andrea (Arru) è quello con un po’ più di esperienza degli altri e lui, ad esempio, ha portato molto di sè nel personaggio. Mi piaceva molto la scelta di Andrea Arru, perché si poteva cadere nel tranello di trovare un ragazzo magari non bellissimo che usava i social per nasconderlo. Invece, il senso di inadeguatezza fa parte di ciascuno di noi. Anche di chi è un bel ragazzo, ma potrebbe comunque avere problemi a comunicare e sceglie di rivolgersi ai social. Andrea ha una grande affinità caratteriale con il personaggio di Riccardo.

Con Giulia (De Lellis) abbiamo fatto un discorso sensazionale di preparazione. Si è approcciata al personaggio con grande impegno e professionalità e anche lei mi ha portato tantissime proposte per il suo personaggio. Per me è stata assolutamente una scoperta.

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Daniele Davì è stato anche lui estremamente giusto per quello che cercavamo. Mi sono innamorata di lui perché – pur non conoscendolo, ammetto – da quel momento ho amato la sua natura comica. Ha proprio un talento naturale per tutto ciò che è tono comico.

Dopo l’anteprima a Venezia81, il corto è disponibile su Rai Play. Quindi avrà un’ampissima diffusione. Cosa speri che il pubblico riesca a cogliere da questo tuo lavoro?

Spero che sia di stimolo a mettersi in gioco e a non cadere nel tranello di poter trovare una strada facile e sicura per comunicare affidandosi agli strumenti che ci sono e ci saranno di intelligenza artificiale. Io sono un’entusiasta della Artificial Intelligence. Però lo strumento lo dobbiamo gestire noi. In questo caso, quando noi ci rivolgiamo alla Artificial Intelligence per comunicare, spegniamo le idee.

Allo stesso modo, guardando alla storia di Teresa, spero che passi l’idea che ci sono tanti step da fare per rendersi conto che quella che si sta vivendo è una relazione tossica. Spesso si confonde la gelosia per amore, il senso di controllo lo si accetta per amore della propria persona. Invece bisogna subito cogliere i campanelli di allarme e denunciare quando necessario alla Polizia di Stato.

Intervista a Andrea Arru

Come è nata la tua voglia di partecipare a questo progetto?

Dopo che mi è stato proposto, ho accettato quasi subito. Sia per il fatto che sarebbe stato presentato in anteprima in un contestro così importante e prestigioso come quello della Mostra di Venezia. Sia perché tratta temi che al giorno d’oggi ritengo siano assolutamente attuali. Ovvero, la nostra dipendenza dai social e il non riuscire a fare ormai nemmeno le cose più basilari senza. Come, ad esempio, succede al mio personaggio, Riccardo, che ha difficoltà a provarci con una ragazza. Sembra una cosa facile. Ma viene spinto a farlo usando una app.

Che rapporto hai con i social? Come è cambiato da quando sei diventato un personaggio pubblico?

Come ogni mio coetaneo, penso ci siano sia lati positivi che negativi nell’utilizzo dei social. Io personalmente, temo siano più una dipendenza che altro. Ma che, se usati con cervello e come strumento per arricchirsi di informazioni a cui altrimenti non avremmo accesso, possa essere un posto dove trovare molto. Ma, allo stesso modo, dove si possono travare anche tante informazioni false, ottenendo informazioni a cui un giovane non dovrebbe avere accesso. Su internet non ci sono filtri. Spesso anche ai giovani arrivano informazioni che non dovrebbero arrivare loro in quel modo.

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Il mio primo cellulare lo ho avuto intorno ai 10 anni. Internet l’ho scoperto e iniziato a utilizzare verso quell’età. E devo dirti che il mio rapporto è molto cambiato. Se prima lo usavo sopratutto per giocare o guardare qualche video su YouTube, piano piano è diventato anche un lavoro. Da quando sono diventato attore, c’è anche il lato social da considerare nella mia professione. Credo però debba continuare anche a essere uno svago, come succede a tutti i miei coetanei.

Quanto la timidezza del personaggio di Riccardo ti appartiene davvero?

Io mi identifico moltissimo in Riccardo sotto questo aspetto. Perché sono un ragazzo molto timido. L’ho sempre detto e continuo a esserlo. Anche io, come lui, ho cercato di usare i social nello stesso modo. Ma continuo a pensare che la vecchia maniera sia il modo migliore. Soprattutto per relazionarsi con gli altri.

Uno degli aspetti interessanti in questo corto, è che si parla di un bel ragazzo che, nonostante questo, sembra non trovare strumenti per far colpo su una ragazza. Lo vivi davvero.

Purtroppo è proprio così. Fa parte di me. Della mia timidezza. Ma è in noi che dobbiamo trovare gli strumenti per affrontarla. Non sui social.

La timidezza e la difficoltà di relazionarsi agli altri sono elementi che ritroviamo spesso nei personaggi che hai interpretato. Ti spaventa il contatto con il pubblico?

Molto. Mi spaventa un sacco. La paura di parlare in pubblico è una cosa con cui devo imparare a confrontarmi. Però mi piace poter arrivare a tante persone. Ma ho ancora timore ad esporre troppo di me. Ho paura di non essere d’accordo con tutti e che molti possano non esserlo con me. Ma fa parte anche questo del gioco.

Ricordiamo che, nonostante già una prolifica carriera – partita da Glassboy di Samuele Rossi (che trovate su PrimeVideo), che passa per il cortometraggio 101% e che culminerà con la sua prossima partecipazione al film Il ragazzo dai pantaloni rosa per la regia di Margherita Ferri – Andrea Arru è un giovane attore di 17 anni. Che come tutti i suoi coetanei ha ancora tanto tempo per crescere, sia personalmente che professionalmente.

Questo il messaggio che crediamo debba arrivare ai ragazzi dopo aver visto 101%: non affidatevi troppo all’algoritmo e non smettete mai di credere in voi stessi.

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