Un incontro casuale, uno sbadiglio di troppo e la vita di Calista, ventunenne greca in attesa di capire quale orientamento dare al suo futuro, prende una direzione decisamente inaspettata.

È il 1976; Calista è in vacanza da sola negli Stati Uniti e un errore di prenotazione su un autobus le fa incontrare Jill, una ragazza inglese con la quale nasce una breve ma intensa amicizia che porterà Calista ad accompagnare l’amica ad una cena con “un noto regista di Hollywood” che lei non ha mai nemmeno sentito nominare: Billy Wilder.

Questo è il riassunto dell’incipit del coinvolgente romanzo di Jonathan Coe intitolato Mr. Wilder and Me (Io e Mr Wilder nella versione italiana), che affida alla voce narrante di una Calista ormai adulta e madre di due figlie il racconto di un’esperienza di vita che si apre a descrivere sia un mondo – quello del cinema – con gli occhi di chi di quel mondo non fa(ceva) parte, sia una personalità – Mr Wilder, appunto – descritta nella sua complessità psicologica, caratteriale e artistica.

L’ossatura del romanzo è infatti costituita dalla partecipazione di Calista alla produzione del film Fedora di Wilder, dapprima come interprete (parte delle riprese si svolse in Grecia e a lei viene affidato l’incarico di tradurre al regista le domande dei giornalisti), poi come assistente personale dello sceneggiatore Iz” Diamond. Io e Mr Wilder è strutturato in sei capitoli, ognuno corrispondente ad una città dove Calista trascorre un periodo della sua vita, ma all’interno di ogni capitolo vi è alternanza tra i due piani temporali del presente e del passato, cosicché il racconto della realizzazione di Fedora non si delinea come un semplice flashback bensì come un tassello fondamentale per la costruzione della personalità di Calista.

La maestria di Coe offre al lettore una narrazione perfettamente centrata sul personaggio, sposandone a tal punto la soggettività da non mitigarne gli eccessi sentimental-melodrammatici, che emergono in particolare nella relazione con le figlie o nella descrizione dell’innamoramento per Matthew.

Sebbene Io e Mr Wilder possa essere letto e ottimamente goduto anche come semplice romanzo, il suo principale punto di interesse, almeno agli occhi dei cinefili o dei semplici appassionati di cinema, è l’incursione letteraria nel mondo cinematografico, corredata da un ritratto umanissimo di uno dei più grandi Maestri della settima arte. Nel romanzo infatti episodi ed elementi storici coesistono con altri frutto dell’invenzione letteraria di Coe.

Il fatto che Calista, cresciuta in Grecia in quella che lei stessa definisce “una piccola bolla di felicità” (“C’era il mondo esterno, il mondo della politica e della storia, e poi c’era il mio mondo privato, quello della musica e della famiglia; due mondi che non si incontravano mai”), senza alcuna conoscenza del cinema né tantomeno di Billy Wilder (“Per me un regista cinematografico era un giovanotto in tuta con un cappellino da baseball in testa che gridava “Stop!” e “Azione!” mentre se ne stava acquattato dietro la cinepresa in posizione atletica”), permette a Coe di offrire una rappresentazione del regista austriaco ben lontana dall’agiografia. Pur senza evidenziarne i difetti caratteriali, l’autore costruisce Billy Wilder come un vero e proprio personaggio letterario, con le sue fragilità, la sua malinconia, ma anche con il suo particolare umorismo e l’amore per i piaceri della vita (il buon cibo, l’arte, la compagnia). Nella sua letterarietà, Io e Mr. Wilder si rivela ben documentato e circostanziato: assai fluido nello svolgimento della storia e nello stile, è corredato da un’appendice in cui si rivelano le fonti di molti degli episodi che compaiono nel racconto, nonché di moltissime frasi pronunciate nel romanzo da Mr Wilder stesso. Coe dimostra dunque grande padronanza della scrittura anche nell’avvicinarsi a un personaggio complesso come quello di Wilder, di cui riesce a farci comprendere la personalissima visione del mondo riportando direttamente o indirettamente il suo punto di vista. Vengono infatti i brividi quando egli inizia a raccontare, rivolgendosi a un giovane tedesco della società produttrice di Fedora che intende sostenere teorie negazioniste, la sua giovinezza negli anni del nazismo: sulla pagina la rievocazione prende la forma di una sceneggiatura (“INT. GIORNO. UN CAFFE’. DIDASCALIA: “Berlino, 1933””) e in una sorta di narrazione per scatole cinesi (Calista racconta che Wilder racconta che…) la protagonista riporta una storia rielaborandola secondo lo stile, il linguaggio, la forma d’espressione propriamente identificativa del Billy Wilder narratore. Una scelta audace, dal punto di vista letterario, ma vincente per coerenza intrinseca al testo: lo scrittore inglese fa narrare al regista la propria esperienza attraverso il racconto di Calista (un personaggio la cui prima funzione all’interno della produzione di Fedora è quella di interprete), che la “concretizza” in un registro linguistico che è quanto di più cinematografico possa occupare la pagina scritta di un romanzo (e quanto di meno “letterario” ci possa essere, nell’accezione comune del termine). D’un tratto, le immagini parlano con la voce di Billie/Billy (a seconda che sia prima o dopo il trasferimento negli USA), mentre l’orrore della guerra e della Shoah si manifesta in tutta la sua tragicità.

Se è vero che formalmente Calista è la protagonista del romanzo, Io e Mr Wilder è in realtà un dialogo continuo tra due poli in cui Coe si fa strada per esplorare da un lato il cammino verso la realizzazione personale e professionale di una donna, dall’altro la psicologia di una figura mitica della settima arte, colta in un momento di crisi e debolezza: nel 1976 Wilder stava attraversando un periodo di difficoltà in seno all’industria produttiva cinematografica perché i suoi ultimi film non avevano replicato il successo dei suoi mitici capolavori quali L’appartamento o A qualcuno piace caldo, e guardava con disillusione e sconforto alle nuove leve del cinema hollywoodiano come Spielberg, Coppola e Scorsese, “giovani barbuti” dall’innegabile talento che però non avrebbero mai potuto “fare dei film seri perché non hanno vissuto le due guerre”. In quegli anni, Wilder si sentiva profondamente incompreso dal pubblico e il suo ritenersi anacronistico si rivela sin dal primo dialogo con Calista: “Noi veniamo dalla scuola di Lubitsch. Non ci piacciono le cose troppo esplicite. Preferiamo ciò che è sottinteso, amiamo suggerire e lasciare che sia il pubblico a tirare le somme”.

E questa specie di presentazione suona anche come dichiarazione di poetica della stessa prosa di Coe quando scrive di Wilder: ne tratteggia il carattere facendolo emergere dai gesti e dalle parole, senza dilungarsi in inutili descrizioni. A riprova di questo (e della complessità del personaggio Billy Wilder, sia letterario sia storico) valga la considerazione su Schindler’s List che Billy esprime a Calista nel loro ultimo incontro: “Penso che sia un grandissimo film. Uno dei più grandi mai realizzati. Migliore di quello che avrei potuto fare io”.

Per scoprire la profonda motivazione di questo giudizio, però, e per guardare a Billy Wilder con occhi diversi, dovrete avventurarvi tra le pagine di questo romanzo.